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H.D. e la bellezza della sfida

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Nella sua ricerca di un linguaggio cristallino, senza fronzoli che ostacolassero la poesia pura, Hilda Doolittle (1886-1961) accolse subito la proposta del famoso poeta Ezra Pound (quando famoso non era ancora) di farsi chiamare solo con le iniziali. Hilda era nata in Pennsylvania da un padre astronomo e madre amante della musica e dell’arte, genitori istruiti e benestanti che le fornirono i mezzi per un’ottima istruzione. Si fidanzò con Pound nonostante la disapprovazione della famiglia e si trasferì come lui a Londra, che era diventata la nuova patria di altri esuli letterati americani, il più famoso dei quali fu T.S.Eliot. Sia Eliot che Pound diventeranno pietre fondanti della poesia moderna, Pound acquisterà purtroppo notorietà anche per il suo appoggio a Mussolini, e tuttavia i versi di H.D., pur essendo meno conosciuti, hanno tutti i caratteri della grande poesia, della poesia frutto di un profondo lavoro interiore e linguistico. La poetessa in effetti precorrerà molti dei sentieri che i modernisti più noti percorreranno dopo di lei: si disse addirittura che la definizione di poesia degli Imagisti, un gruppo di cui facevano parte anche Pound ed Eliot e che mirava all’uso del linguaggio colloquiale e della parola precisa, non puramente decorativa, attraverso immagini immediate, concentrate e asciutte fu creata apposta per definire la sua poesia. I versi che leggiamo sono costruiti su una metafora allargata,  ovvero una metafora su cui si basa l’intero testo: un giardino secluso diventa il correlativo oggettivo dei sentimenti dell’autrice. Il correlativo oggettivo è uno strumento che T.S.Eliot spiega in un suo saggio come “una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi” che hanno lo scopo di evocare un'emozione particolare. Il saggio di Eliot è del 1920, ma possiamo vedere che H.D. aveva già chiaro come utilizzarlo anni prima. 

Sheltered Garden (1916)

I have had enough

I gasp for breath

 

Every way ends, every road

every foot path leads at last

to the hill-crest-

then you retrace your steps,

or find the same path on the other side,

precipitate.

 

I have had enough-

border-pinks, clove-pinks, wax lilies,

herbs, sweet-crest.

 

O for some sharp swish of a branch-

there is no scent of resin

in this place,

no taste of bark, or coarse weeds,

aromatic, astringent-

only border on border of scented pinks

 

Have you seen fruit under cover

that wanted light-

pears wadded in cloth

protected from the frost,

melons, almost ripe,

smothered in straw?

 

Why not let the pears cling

to the empty branch?

All your coaxing will only make

a bitter fruit—

let them cling, ripen of themselves,

test their own worth,

nipped, shrivelled by the frost,

to fall at last but fair

with a russet coat.

 

Or the melon—

let it bleach yellow

in the winter light,

even tart to the taste—

it is better to taste of frost—

the exquisite frost—

than of wadding and of dead grass.

 

For this beauty,

beauty without strength,

chokes out life.

I want wind to break,

scatter these pink-stalks,

snap off their spiced heads,

fling them about with dead leaves—

spread the paths with twigs,

limbs broken off,

trail great pine branches,

hurled from some far wood

right across the melon-patch,

break pear and quince—

leave half-trees, torn, twisted

but showing the fight was valiant.

 

O to blot out this garden

to forget, to find a new beauty

in some terrible

wind-tortured place.

Giardino Riparato (1916)

Ne ho abbastanza

Mi manca il respiro

 

Ogni via finisce, ogni strada,

ogni sentiero conduce infine

alla cima della collina-

poi ritorni sui tuoi passi,

o trovi la stessa pendenza sull’altro lato,

a precipizio.

 

Ne ho abbastanza-

bordure di fiori rosa, garofanini rosa, gigli di cera,

erbe aromatiche, crescione dolce.

 

Oh, sentire lo sferzare acuto di un ramo-

non c’è profumo di resina

in questo posto

niente gusto di corteccia, di erbacce comuni, 

aromatiche, toniche-

solo bordure su bordure di fiorellini rosa profumati.

 

Hai visto la frutta coperta

che anelava alla luce-

pere avvolte in stracci,

protette dalla brina,

meloni, quasi maturi,

soffocati nella paglia?

 

Perché non lasciamo che le pere si aggrappino

al ramo vuoto?

Tutte le vostre lusinghe produrranno solo

un frutto amaro-

lascia che si aggrappino, che maturini da sole,

che mettano alla prova il loro valore,

morse, asciugate dal gelo,

che cadano alla fine ma belle

rivestite del color della ruggine.

 

O il melone-

lascia che schiarisca fino a diventare giallo

nella luce invernale

persino aspro al gusto-

è meglio avere il sapore del gelo-

il gelo squisito-

che dell’ovatta e dell’erba morta.

 

Perché questa bellezza,

bellezza senza forza,

soffoca la nostra vita.

Voglio che il vento rompa,

sparga questi steli rosa,

spezzi i loro capi speziati,

li scagli tutt’intorno con le foglie morte-

sparga sui sentieri ramoscelli,

rami staccati,

trascini grandi rami di pino,

proprio sull’aiuola del melone,

rompa la pera e la mela cotogna-

lasci alberi a metà, lacerati, torti,

ma che mostrano che la lotta è stata valorosa.

 

Oh, cancellare questo giardino

dimenticare, per trovare una bellezza nuova

in qualche luogo

terribile torturato dal vento.

Ezra Pound

Cosa c’è di più ambito di un giardino riparato? Con ogni sentiero che ti porta sulla cresta della collina, e tu puoi tornare indietro o fare lo stesso percorso in discesa. Adornato di bordure rosa e di erbe fragranti. E invece no. I versi iniziali ci dicono che l’autrice ne ha abbastanza. Questo giardino protetto le toglie il respiro. Desidera la sferzata di un ramo, l’odore di resina, il gusto di corteccia, di erbe selvagge, aromatiche. Invece trova solo bordure domestiche di fiorellini rosa.  Nella quinta strofa ci viene chiesto se abbiamo visto frutti a cui è stata tolta la luce, avvolti come nell'ovatta, coperti dalla paglia per proteggerli dal gelo. Però le parole “wanted” e “smothered” ci fanno capire che questa protezione non è vista positivamente: la prima parola indica che qualcosa di necessario è venuto a mancare e la seconda indica il soffocamento. Quindi questo giardino che protegge è come una prigione che soffoca. Nella strofa successiva H.D. si chiede perché non si lasciano le pere penzolare dal ramo, perché non le si lascia maturare da sole, tanto le nostre attenzioni ci daranno solo dei frutti amari. Perché non lasciamo che il melone assaggi l’inverno, il gelo? Forse diventerà aspro, ma il gelo è “squisito”, di gran lunga preferibile alla copertura data da “erba morta”. Il cuore della poesia è nel sesto verso della sesta strofa (certo non è un caso perché si tratta anche della metà esatta della poesia): “test their own worth”, “mettere alla prova il loro valore”. Che soddisfazione c’è a crescere in un giardino protetto, senza sfide, senza battaglie, senza lottare? Che bellezza è la bellezza ottenuta senza sforzo, senza lacrime, senza sangue? La risposta è nell’ottava strofa: è una bellezza che toglie aria alla vita, la soffoca. La vita in un giardino riparato non è vita. Quello che serve è il vento che spezza i fiori delicati, che sparge le foglie morte, che copre il sentiero di ramoscelli, che scaglia rami di pino sulle piante di melone, che lascia dietro di sé ferite e detriti ma che può dimostrare che “la lotta è stata valorosa”. E’ un canto al coraggio, al valore di ciò che si è ottenuto combattendo, uno sprone a lasciare i giardini protetti delle nostre vite tranquille e ad affrontare il vento che sferza all’aperto, ad avere la forza di spogliarsi degli abiti che la società ci cuce addosso e ad essere chi siamo realmente scoprendo una nuova bellezza in una distesa flagellata dal vento. H.D. vivrà una vita che sarà un continuo combattere le restrizioni del tardo periodo vittoriano in cui era nata, rivendicando il diritto di avere le stesse libertà di un uomo e negando una femminilità tradizionale e imposta. Avrà relazioni sentimentali con uomini e donne, creerà una famiglia in cui due donne, lei e  la romanziera britannica Bryher (Annie Winifred Ellerman) cresceranno la figlia di Hilda e viaggeranno per l’Europa. Nella sua ricerca interiore entrerà anche in analisi con Freud, proprio nel periodo in cui i nazisti avevano annesso l’Austria e le strade di Vienna erano testimoni della violenza dei sostenitori di Hitler.

Orfeo ed Euridice in un dipinto di Jean-Baptiste Camille Corot

Nel suo percorso poetico H.D. si affidò ad un altro suo amore: i miti e la cultura greca antica. Li studiò in gioventù e poi li utilizzò, come farà anche Eliot, come linguaggio per esprimersi, per ordinare la sua esistenza rivivendo i miti passati nel presente. Nei versi che seguono, tratti da una lunga poesia,  H.D. ripropone il mito di Euridice il cui marito, Orfeo, aveva ottenuto dagli dei di andare a riprenderla dall’Ade, l’inferno, dove era finita a causa del morso di un serpente. Unica condizione era che Orfeo non la guardasse prima che fossero tornati sulla terra. Purtroppo Orfeo si voltò ed Euridice fu condannata a tornare negli inferi. Se leggete di questo mito in un qualunque libro o sito, troverete che si dirà che a causa del suo gesto “Euridice gli è (a Orfeo) tolta per sempre”: ci si concentra sulla perdita dell’uomo anziché su quella, molto più dura, della donna. Il voltarsi di Orfeo è decisamente la riaffermazione di quanto gesti apparentemente banali possano avere terribili conseguenze, ma anche di quanto i gesti superficiali di un uomo possano condizionare la vita di una donna. La poetessa rilegge appunto il mito attraverso gli occhi di Euridice che si rivolge ad Orfeo con rimprovero ma anche con la consapevolezza di saper resistere.

Eurydice (1925)

So you have swept me back,

I who could have walked with the live souls

above the earth,

I who could have slept among the live flowers

at last;

 

so for your arrogance

and your ruthlessness

I am swept back

where dead lichens drip

dead cinders upon moss of ash;

…..

why did you turn back,

that hell should be reinhabited

of myself thus

swept into nothingness?

…..

if I could have caught up from the earth,

the whole of the flowers of the earth,

if once I could have breathed into myself

the very golden crocuses

and the red,

and the very golden hearts of the first saffron,

the whole of the golden mass,

the whole of the great fragrance,

I could have dared the loss.

…..

yet for all your arrogance

and your glance,

I tell you this:

…..

hell is no worse than your earth

above the earth,

hell is no worse,

no, nor your flowers

nor your veins of light

nor your presence,

a loss;

…..

Against the black

I have more fervour

than you in all the splendour of that place,

against the blackness

and the stark grey

I have more light;

…..

At least I have the flowers of myself,

and my thoughts, no god

can take that;

I have the fervour of myself for a presence

and my own spirit for light;

 

and my spirit with its loss

knows this;

though small against the black,

small against the formless rocks,

hell must break before I am lost;

 

before I am lost,

hell must open like a red rose

for the dead to pass.

Euridice (1925)

Quindi mi hai rispedita indietro,

io che avrei potuto camminare con le anime viventi

sulla terra,

io che avrei potuto dormire tra i fiori vivi

infine;

 

quindi per la tua arroganza

e la tua spietatezza

sono rispedita indietro

dove i licheni morti gocciolano

ceneri morte su muschio cinereo

…..

perché ti sei voltato

che l’inferno fosse nuovamente abitato

da me così

ridotta a nullità?

…..

se avessi potuto prendere dalla terra,

tutti i fiori della terra,

se anche una volta sola avessi potuto respirare dentro di me

i veri crochi dorati

e i rossi,

e i veri crochi dorati del primo zafferano,

l’intera massa dorata,

l’intera grande fragranza

avrei potuto rischiare la perdita.

…..

tuttavia a causa della tua arroganza

e del tuo sguardo,

ti dico questo:

…..

l’inferno non è peggiore della tua terra

sulla terra,

l’inferno non è peggiore,

no, neppure i tuoi fiori

neppure le tue vene di luce

né la tua presenza,

una perdita;

…..

A confronto del nero

io ho più fervore

di te in tutta la lucentezza di quel posto,

a confronto dell’oscurità 

e del grigio desolato

io ho più luce;

…..

almeno io ho i fiori di me stessa,

e i miei pensieri, ciò che nessun dio

può togliermi;

ho il fervore di me stessa come presenza

e il mio stesso spirito come luce;

 

e il mio spirito con la sua perdita

sa questo;

sebbene piccolo a confronto del nero,

piccolo a confronto delle rocce senza forma,

l’inferno dovrà distruggersi prima che io sia perduta;

 

prima che io sia perduta,

l’inferno dovrà aprirsi come una rosa rossa

così che i morti possano passare.

Dopo il rimprovero di Euridice per l’arroganza di Orfeo che con un solo gesto l’ha distrutta, la donna trova in se stessa la forza di reagire. La luce del suo spirito è più lucente di quella di Orfeo perché è messa a confronto con l’oscurità dell’inferno, non con la luce della terra. Sebbene lei possa sembrare una piccola cosa, tuttavia si rifiuta di considerarsi perduta, l’inferno stesso si piegherà e fiorirà come una rosa carnosa, l’immagine della vita più completa, al passaggio di ogni anima defunta. La vita è una sfida continua, un eterno alternarsi di inferno e paradiso e possiamo vincere solo se troviamo dentro noi stesse la luce che ci illumini il percorso.

 

1 COMMENT

  1. Grazie per le poesie stupende di una poeta forse ai più sconosciuta ( me compreso), e testi che delineano con chiarezza e semplicità la vita dell’artista ed il suo lavoro poetico.
    Complimenti.
    La poesia è viva. Viva la poesia.

    Riccardo Gazzini

    • Firma - Riccardo Gazzini