Eccoci arrivati ad aprile, così il mio ciclo di raccontarvi ciò che accadeva una volta mese per mese, l’ho finito.
Adesso l’hai capito Giovanni? Ogni volta che mi incontravi mi dicevi che ne avevo saltato qualcuno.
No, ho cominciato l’anno scorso con maggio e finisco con aprile, sapete le idee alle volte arrivano in ritardo, li rimetterò in fila come si deve nella prossima raccolta (forse).
Torniamo ad “aprile, dolce dormire”, certo d’accordo col proverbio fino ai vent’anni, dopo ci sono stati i “gorgheggi” dei miei figli a tenermi ben sveglia e ringrazio Dio ogni giorno per avermeli donati.
La mamma diceva anche “aprile ogni goccia un barile”, una volta era il mese delle grandi piogge che inzuppavano bene il terreno arrivando fino alle radici più profonde, così aiutava i boschi a rinverdire, i prati a riempirsi di erba medica e il frumento cominciava a verdeggiare tremolando, appena mosso da un venticello leggero e questi grandi campi, prendevano vita e si muovevano leggeri come le onde di un mare verdissimo.
Era anche il tempo che i pastori emigrati in autunno, verso le nostre pianure o la toscana, facevano ritorno alla loro amata montagna. Allora il tragitto lo facevano esclusivamente a piedi, con varie fermate settimanali, si fermavano a far ripulire dalle vecchie erbe i prati e i campi che i contadini assegnavano a loro in cambio di burro e formaggio di pecora, sempre molto apprezzato.
Vedevi questi pastori che comandavano il gregge con sonori fischi ottenuti mettendosi due dita fra le labbra e poche parole in gergo urlate qua e là, giravano col lungo bastone intagliato dalle loro stesse mani nei momenti di calma e il famoso ombrellone di grossa tela verde con l’impugnatura rossa, tracolla. Molte volte li vedevi con sto ombrellone aperto per ripararsi dal sole o da qualche scroscio di pioggia, mentre le pecore ripulivano perfettamente il campo e allo stesso tempo lo concimavano. Naturalmente seguite a vista da due “Maremmani” che ti facevano paura solo a vederli da lontano. Certamente erano bravi carcerieri che seguivano il gregge passo, passo, appena poi una pecora si attardava ecco il cane che arrivava a rimproverarla e la faceva congiungere alle altre e magari era una mamma con l’agnellino nato da poco con l’ombelico ancora penzoloni che la seguiva a fatica traballando sulle zampette e belando disperato. Allora il pastore lo prendeva in braccio e lo portava dalla mamma e notavi in lui un barlume di tenerezza nascosto sotto l’aspetto trasandato e burbero.
Aprile il mese che ricorda la Pasqua, la messa cantata, la chiesa stracolma di persone, col portone spalancato per farla seguire anche da quelli che non avevano trovato posto dentro. Don Cilloni che faceva la predica, con la sua voce tagliente e gli occhi di ghiaccio che scrutavano ogni viso e tutti stavano attenti per paura di essere colti in fallo da questo predicatore molto bravo e molto severo.
Appena finita la messa le mamme correvano a casa per far trovare il pranzo pronto, capelletti nel brodo di gallina e per noi più poveri la ciambella dura da pucciare in due dita di vino dolce, mentre la zuppa inglese era riservata alle mense dei ricchi, io però poi l’assaggiavo in casa della mia dolce zia Wilma alla Macchiusa, che ogni pomeriggio mi accoglieva con un favoloso sorriso come quando si riceve un dono.
Come dicevo le mamme correvano a casa ma sul sagrato cominciava la festa, lo “scoccino” con quelle belle uova colorate, rosse, blu, gialle, le risate dei giovani, le chiacchiere degli anziani, il rincorrersi dei bambini, il vestito leggero primaverile sfoggiato proprio in quel giorno, era tempo di rinnovamento. Il lungo inverno era finito, ci aspettavano giornate più lunghe riscaldate dal sole, più caldo, si ricominciava a vivere all’aperto era tempo di festa.
Naturalmente questo succedeva quando l’inverno era veramente inverno con nevicate abbondanti e gelate notturne fin dai primi di novembre, quando a Castelnovo si sciava senza bisogno di fare 50 chilometri per poterlo fare.
Cominciavano a fiorire i “balìn” che sono ciliegie selvatiche o se preferite chiamatele pure visciole. Nei boschi nuvole bianche sui pendii della mia amata Pietra, ecco che ci sono cascata un’altra volta, l’ho definita mia ma so benissimo che è di tutti. Dovete sapere che in passato Castelnovo era diviso in tanti borghi, qui da questa parte finiva con Bagnolo che arrivava al Polivalente, poi si allungava per circa 50 metri con la Montadella tutto lì. Dopo erano campi, prati, rive, il cimitero, poi i pendii della Pietra e noi che abitavamo in quelle casupole lassù eravamo denominati “qui ed la Preda” perciò se noi eravamo quelli della Pietra Lei apparteneva a noi perciò, potevamo dire che Lei era nostra (o forse non era così) Torniamo alle fioriture di aprile, ai ciliegi che continuavano a mostrare le loro chiome bianche, dietro le cascate dei ruscelli, mentre il sottobosco era punteggiato da ciclamini selvatici a svariati e tenui colori, mentre gli scoiattoli sopra la testa facevano la “sberlansa” l’altalena da un ramo all’altro e in lontananza sentivi il canto del “cucù” che richiamava la femmina.
La mia capra la famosa “Zerbina” aveva messo al mondo due caprettini che si divertivano a saltellarmi attorno tentando di slegarmi i nastri che mi tenevano i capelli, usando i loro teneri dentini, mentre io seduta in mezzo al prato mi concedevo questo bellissimo gioco e sopra di me i fiori rosa del pesco appena sbocciati e mossi da una leggera brezza, guardavano divertiti.
Elda Zannini