Per Seamus Heaney (1939-2013), Premio Nobel per la letteratura nel 1995, scrivere era come lavorare la terra, vangando si porta alla luce la terra calpestata dai nostri antenati e le loro vite rivivono nelle nostre. Nella poesia che segue, la terra ha donato uno strano frutto.
Strange Fruit (1975)
Here is the girl's head like an exhumed gourd.
Oval-faced, prune-skinned, prune-stones for teeth.
They unswaddled the wet fern of her hair
And made an exhibition of its coil,
Let the air at her leathery beauty.
Pash of tallow, perishable treasure:
Her broken nose is dark as a turf clod,
Her eyeholes blank as pools in the old workings.
Diodorus Siculus confessed
His gradual ease with the likes of this:
Murdered, forgotten, nameless, terrible
Beheaded girl, outstaring axe
And beatification, outstaring
What had begun to feel like reverence.
Strano Frutto (1975)
Ecco la testa della ragazza come una zucca esumata.
Col viso ovale, la pelle color delle prugne secche, noccioli di prugna invece dei denti.
Hanno tolto le bende alle felci bagnate dei suoi capelli
Ed hanno esposto il loro intreccio,
Lasciato che l’aria toccasse la sua bellezza di cuoio.
Capo di sego, tesoro perituro:
Il suo naso rotto è scuro come una zolla d’erba,
Le sue orbite vuote come pozze in vecchi impianti.
Diodoro Siculo confessò
La sua iniziale inquietudine di fronte a quelli come lei:
Assassinata, dimenticata, senza nome, terribile
Ragazza decapitata, che fissa lo sguardo sull’ascia
E sulla beatificazione, che fissa lo sguardo
Su ciò che cominciava a sembrare venerazione.
Nel 1939 Billie Holiday, allora ventiquattrenne e già nota interprete jazz, cantò per la prima volta i versi composti da un insegnante ebreo-russo del Bronx, Abel Meeropol. La canzone si chiamava ‘Strange Fruit’ come la poesia di Heaney. Meeropol aveva scritto i versi dopo essere stato traumatizzato dalla foto del linciaggio di due giovani neri a Marion, Indiana. Nella pastorale campagna del sud degli stati Uniti, dice il testo, tra il profumo delle magnolie, gli alberi portano strani, osceni frutti che insanguinano le foglie e le radici: dai rami penzolano i corpi dei giovani neri linciati dalla folla. Heaney aveva ben presente il significato degli strani frutti della canzone quando decise di usare lo stesso titolo per la sua poesia: in questo caso lo strano frutto è la testa decapitata di una giovane donna recuperata dal sottosuolo. La testa è come una zucca, dalla pelle color delle prugne secche, i denti come noccioli scuriti dal terreno torboso, le trecce come felci bagnate, l’incarnato come cuoio, il tesoro della sua testa come sego, il grasso per le candele.
Perché questo viso è ora come cuoio, del colore delle prugne secche? Perché la testa di questa ragazza è un esempio di quelli che sono i ‘bog bodies’, i corpi mummificati recuperati nelle torbiere, cui Heaney dedicò diverse poesie, colpito, anche lui come Meeropol, dalle foto di questi ritrovamenti. L’Irlanda del Nord è la patria di Heaney e tutta l’isola abbonda di torbiere. L’acqua particolarmente acida delle paludi dove si forma la torba, la temperatura bassa e l’assenza di ossigeno preservano i cadaveri rendendo la loro pelle simile al cuoio, come la “leathery beauty”, “bellezza di cuoio”, della poesia, mantenendo anche gli organi interni e tingendo tutto di un intenso colore marrone scuro. Questi corpi, spesso vecchi di millenni, sono stati trovati nelle torbiere di vari paesi del nord Europa e molte volte la conservazione è tale che la persona sembra semplicemente addormentata. I capelli, con diverse acconciature, avvolgono il capo, le dita presentano unghie intatte e, nel caso di uomini, si notano i corti peli della barba che pare essere stata appena tagliata. A volte parti di abbigliamento coprono ancora il corpo, come nel caso dell’uomo di Tollund, in Danimarca, che indossa un berretto posato sulla testa di un viso che davvero pare possa aprire gli occhi da un momento all’altro e distendere le rughe della fronte.
Ma nonostante il loro aspetto di persone cadute nella dolcezza del sonno, non c’è nulla di rassicurante in queste morti. Molti di loro hanno ancora attorno al collo il cappio, i loro corpi presentano segni di tortura e violenza, proprio come la ragazza di Heaney di cui è stato esumato solo il capo, che ha il naso rotto, è stata uccisa, decapitata, ed ha fissato lo sguardo sull’ascia che cadeva. Nella poesia Digging, Scavare, Heaney ricorda il padre ed il nonno piegati a lavorare la terra. Del nonno dice: “My grandfather could cut more turf in a day / than any other man on Tower’s bog”, il nonno tagliava il suolo di torba, che pare densa cioccolata, in pezzi rettangolari che venivano messi a seccare per essere poi bruciati nei caminetti. Suo nonno ne tagliava più di tutti. Tanti dei ‘bog bodies’ furono recuperati da uomini come il nonno di Heaney, mentre sudavano sulla terra. Il poeta ci dice che lui non userà la zappa, bensì la penna: come il nonno scavava nella terra, lui scaverà nelle parole, trovando il legame tra il passato ed il presente: “I began to get an idea of bog as the memory of the landscape, or as a landscape that remembered everything that happened in and to it”, “Cominciai a farmi l’idea di una torbiera come della memoria del paesaggio, o di un paesaggio che ricordava tutto quello che era successo al suo interno”. I corpi recuperati nella torba vengono dal passato, ma rispecchiano il presente: dell’uomo di Tollund, ritrovato in Danimarca nel 1950, Heaney dirà che ha la stessa faccia di tanti irlandesi che si possono incontrare oggi. Il sacrificio di quest’uomo avvenuto, come quello della ragazza Strano Frutto, per chissà quale dio o chissà quale terrore, lega ciò che è stato con ciò che è, lega le paure dei nostri antenati con le nostre, i loro riti coi nostri, la loro violenza con la nostra.
Qual era lo scopo di queste morti? Forse placare gli dei? O erano una forma di punizione? La violenza segue un filo continuo dai corpi delle torbiere, alla ragazza decapitata, ai neri linciati, al presente di Heaney. Questo ‘presente’, la poesia fu pubblicata nella raccolta del 1975, era quello dei Troubles, i Disordini in Irlanda del Nord. Era la stagione delle lotte violente dell’IRA, l’Esercito Irlandese Repubblicano, per l’indipendenza dal Regno Unito. Heaney mette sullo stesso livello il sacrificio dei moderni combattenti con quello degli antenati che risorgono dalla torba grazie a uomini come suo padre e suo nonno, non istruiti, che hanno la zappa come strumento, mentre lo strumento del poeta, la penna, serve ad interpretare il ripetersi della storia.
L’accento sull’importanza della storia è anche nel riferimento a Diodoro Siculo, lo storico del 1° secolo avanti Cristo, che aveva scritto dei popoli del nord Europa e che, come si dice nella poesia, era rimasto turbato dai loro riti. Come Diodoro, Heaney guarda il capo della ragazza e la immagina fissare, forse con sfida, l’ascia che la ucciderà, magari donandole la beatificazione nel martirio, ma la vede anche fissare chi l’ha riportata alla luce, dalle sue vuote cavità oculari, a sfidare ancora l’atteggiamento di riverenza di chi l’ha scoperta. Cosa passa nello sguardo di chi sta per morire, immolata in un misterioso sacrificio, e cosa rimane di questo sguardo nei suoi resti? C’è un’affinità tra chi è morto e chi vive e si chiede il perché di una morte. C’è una corrente di sentimento tra i resti di un defunto e chi questi resti se li ritrova tra le mani. E’ la domanda di come possiamo interpretare ciò che sentiva e pensava chi non c’è più e l’interrogativo di cosa resterà di noi.
Grazie a Ornella Gigli, per la bellissima e al contempo terrificante poesia di Seamus Heaney, al testo pieno di rimandi, agli intrecci ed agli interrogativi che la storia e la poesia portano con sè.
Complimenti.
Riccardo