Home Cultura Elda racconta: Le rogazioni

Elda racconta: Le rogazioni

800
5

Ci lamentiamo spesso, perché non esistono più le stagioni, o troppo sole, o troppa acqua, o siccità, ecco questa è quella che ultimamente ci fa riflettere di più.

Ultimamente ci siamo affidati alla tecnologia, pensando che lei avrebbe risolto tutto, però se ci pensiamo bene, ancora non è riuscita ad ottenere a comando, il bello o il cattivo tempo.

Arrivo subito al nocciolo della questione, ma perché non si fanno più le rogazioni, in dialetto “al rugasiun”, come in passato?

Le rogazioni erano processioni propiziatorie per la buona riuscita delle seminagioni arricchite da preghiere e da atti penitenziali.

Don Ivo Bersotti diceva che l’unica arma da combattimento del popolo di Dio era la preghiera e la penitenza, ora però pare che siano stati dimenticati i formulari dove si trovano preghiere per il tempo di guerra, di carestia, di siccità, di eccessiva pioggia, di terremoto e così via. Quella preghiera pubblica tanto rispettata in passato le cosiddette “rogazioni”, caduta quasi in disuso.

Eppure non portavano via molto tempo, si tenevano solo due volte all’anno, la prima in primavera, la seconda in autunno. Mi risulta che ultimamente non siano più obbligatorie, ma neppure che siano state abolite.

Peccato che non si facciano più, esprimevano solo la fiducia dei cristiani verso Dio, speriamo che quest’usanza venga ripresa, perché se ci guardiamo attorno ce n’è veramente bisogno.

Torniamo a dire:

 “Sorgi o Signore e aiutaci a liberarci per amore del Tuo nome”.

 Facciamolo anche noi come sono state riscoperte e molto apprezzate in Veneto.

Ricordo che quando c’erano le rogazione, ogni famiglia che aveva un pezzo di terra partecipava, mandando due o tre rappresentanti, alle volte c’erano famiglie intere.

L’Arciprete indossava il lungo piviale viola e un suo mezzadro, quasi sempre Marino che era ancora scapolo gli reggeva “al parlinsìn ed l’acqua santa”, cioè l’aspersorio, lo faceva lui perché i chierichetti a quell’ora erano già a scuola. Si cominciavano le invocazioni uscendo dal portone della chiesa, dietro al prete tre o quattro donne con una candela in mano, poi la processione si svolgeva attorno al sagrato invocando:

“A peste, fame, et bello? …Libera nos Domine!

“A fulgure et tempestate? …Libera nos Domine!

“A flagello terre motus? …Libera nos Domine!

“A omni malo?... Libera nos Domine!

Non era che una sola preghiera unita in una sola voce del popolo rivolta verso il cielo.

Poi il sacerdote arrivato vicino al muro del sagrato accompagnato sempre dalle invocazioni, faceva ampi segni di croce, prima a levante, poi a ponente, poi verso mezzogiorno e alla fine a settentrione e cospargeva tutte le parti con abbondante acqua benedetta, continuando a ripetere le invocazioni e tutti cantando rispondevano “Libera nos Domine”, mentre Pellegrino sul campanile faceva sentire il rintocco lento di una campana.

Alla Pieve si facevano così, ma so che nell’alto appennino si usava farle lungo le mulattiere fermandosi vicino alle “Maestà” poi arrivavano sulla cima di qualche monte dove era posata una croce di ferro e lì dall’alto la benedizione arrivava dappertutto

 Qualche giorno dopo, se serviva dell’acqua, veniva la pioggia, se invece serviva il sole, quello tornava.

So che voi su quest’ultimo pensiero sorriderete e non ci crederete, ma io c’ero, ho visto e ci credo.

Elda Zannini.

5 COMMENTS

  1. Ricordo bene i tempi in cui, quando il cielo minacciava tempesta, c’era chi per scongiurarla bruciava ramoscelli di ulivo benedetto, così come rammento i due bastoni posti a croce presenti in tantissimi campi per proteggere il raccolto da pericoli di vario genere.

    Poi è successo che molte delle nostre consuetudini siano state abbandonate, se non irrise, quasi fosse una sorta di riscatto dalla superstizione e da ingenue credulità, così come più d’un valore tradizionale è stato banalizzato, e semmai sostituito da altrettanti “disvalori”.

    Dopo un tale insieme di trasformazioni, e innovazioni, che avrebbero dovuto renderci più “padroni di noi stessi”, se oggi tiriamo un qualche bilancio, scopriamo invece che siamo forse più fragili e smarriti (il che dovrebbe indurre a tenerci stretti i valori ancora rimasti)..

    P.B. 19.03.2023

    P.B.

    • Firma - P.B.
  2. A Gottano don Danilo , quando si diceva la messa al Santuario delle Formiche, faceva portare in processione la Madonna intorno all’oratorio e recitava la formula in latino. Per me che venivo da una grande città ,ero giovane e spensierata , mi faceva sorridere l’ invocazione “libera nos Domine a peste a fame a bello”, la trovavo antiquata ed un tantino inutile. Fresca di maturità pensavo, con tutti i progressi della scienza, della medicina, quando mai ci sarebbero più state la peste, la fame , ma soprattutto la guerra . Ritenevo che fosse roba arcaica, io ero nata 10 anni dopo la fine della guerra, ero in un’età dove mi sembrava roba di un tempo lontanissimo. Noi eravamo i figli del benessere, scuole, villeggiature, elettrodomestici per tutti gli usi in ogni casa ,cibo a volontà . Ed invece ci siamo confrontati con il covid e la guerra dove di sicuro regna anche la fame.

    MaRu

    • Firma - MaRu