Home Cronaca Emergenza neve, “Occorre un cambio di paradigma”
Legambiente Appennino Reggiano contrario all'innevamento artificiale

Emergenza neve, “Occorre un cambio di paradigma”

2112
9
Una stazione sciistica

Come cambia il turismo invernale nell’era della crisi climatica? A questa domanda e alle altre mille sottese, che ci raccontano una montagna in difficoltà, ha cercato di rispondere “Neve Diversa”, il dossier 2023 presentato da Legambiente nazionale a Torino, con fondamentali ricadute sui nostri monti dell’Appennino Reggiano. Un titolo che parla di una neve sempre più rara – a causa dell’aumento delle temperature nevica sempre di meno, con impatti negativi sulla stagione sciistica – ma anche di una neve modificata. Perché si ricorre sempre più spesso a innevamenti artificiali per riuscire a garantire la stagione, con notevole esborso di risorse economiche da parte dei Comuni interessati. Una neve costosa, molto costosa alla lunga distanza. E dunque non sostenibile da parte di tutti. Questo il parere condiviso da Legambiente Appennino Reggiano, attraverso la sua presidente Filomena Mola, secondo la quale la situazione è destinata a peggiorare.

Che scenario si intravede dunque per il nostro Appennino Reggiano?

Lo scenario dovrebbe considerare un cambio, in primis, di paradigma. - è la pronta risposta di Mola - Per attrarre i turisti, interni e dall’estero, l’Appennino deve adeguarsi al nuovo che avanza, ai necessari cambiamenti. Turismo esperienziale, un turismo lento, che preveda numerose opportunità per il turista non sciatore, come le visite ai borghi, la formazione di cooperative di comunità, le escursioni in ciaspolate, il trekking e altre attività mirate. È tempo di pensare a un nuovo modello di turismo invernale e a reindirizzare meglio le risorse del PNRR”.

Neve artificiale, pratica poco percorribile secondo Mola: “Se si continua a spararla dai cannoni si inquina ulteriormente l’ambiente, attraverso gli additivi usati per mantenerla sul manto erboso. È infatti un tipo di accanimento che spreca risorse ed energie che andrebbero ristudiate e incanalate diversamente”.

La preparazione di nuovi impianti, o il potenziamento di quelli in essere per Legambiente provocano un notevole impatto sul suolo e sulla natura, dal punto di vista idrogeologico, nei paesi dell’Appennino.

E se negli anni Ottanta la neve artificiale era a integrazione di quella naturale, ora costituisce il presupposto indispensabile per una stagione sciistica, a tal punto che i comprensori per sopravvivere richiedono sempre nuove infrastrutture. In regione si registrano 6 comprensori sciistici un po’ chiusi, un po’ no - con aperture tardive e incertezza sull’apertura di volta in volta. Tra questi, il caso esemplare Cerreto Laghi, che comunica gli aggiornamenti in diretta, sperando che arrivi la nevicata giusta per preparare il manto nevoso.

Nel report, Legambiente ricorda che il 2022 è stato l’anno più caldo e secco in oltre due secoli in Italia. È la fine di un’epoca, che però dev’essere accompagnata da un nuovo modo ecosostenibile di ripensare il turismo insieme a un nuovo approccio culturale. Per questo è fondamentale sostenere le buone pratiche che si stanno sviluppando nelle nostre montagne.

Buoni e cattivi esempi. Nel report spazio anche a una settantina di buone idee, ossia di storie di giovani e meno giovani che hanno deciso di puntare su sostenibilità e senso di comunità, ma vi si trova anche un’analisi critica su alcune ‘cattive idee’ che non stanno facendo bene alla montagna. Non sorprende trovare tra i casi nocivi per la montagna la proposta della nuova seggiovia Polla – Lago Scaffaiolo, sul Corno alle Scale. Esempi come quello del Corno alle Scale dimostrano che è insensato puntare sulla monocultura dello sci. Al contrario, un esempio da seguire per la diversificazione delle attività montane è quello della Cooperativa di comunità Valle dei Cavalieri, a Succiso (RE), che grazie all’impresa della proloco ha saputo dare seconda vita ad un paesino destinato allo spopolamento, sperimentando nuove offerte turistiche e puntando sulla produzione di prodotti locali.

9 COMMENTS

  1. Come al solito i veri sapientoni che sanno di tutto e in realtà non solo non conoscono l’Appennino alto ma nemmeno quello basso. Oltretutto sentire Reggiani che consigliano l’Appennino Bolognese sul da farsi è veramente l’assurdo totale. Continuate a dire che i cannoni inquinano ma non sapete nulla siete mai andati in una località a vedere come funzionano? perchè non fate analizzare la neve ‘ cosi’ magari avete le idee piu’ chiare. La sig.ra Mola ( probabilmente non è mai stata al Cerreto) prima di parlare dovrebbe informarsi e non dar aria ai denti.

    Le ricordo che nelle Domeniche appena trascorse al Cerreto grazie alla neve sia tecnica che naturale erano presenti piu’ di 5000 sciatori a settimana, e voi volete sostituire questi numeri con cooperative di comunità, e altre attività tipo turismo lento enogastronomico o con le biciclette? Le ricordo anche che il Cerreto nei mesi invernali da lavoro a piu’ di 100 persone , le sembrano pochi? Ma perchè non incentivate il vs turismo in altre zone non à obbligatorio insistere sul cerreto e le località invernali giusto? Da ultimo le ricordo che il Cerreto è già da anni che promuover attività extra sci ma me lo lasci dire i numeri fanno ridere. Secondo la sua logica visto che piove meno sarebbe opportuno non coltivare piu’ pomodori grano ecc . Mi saprebbe anche dire che differenza c’è fra le sovvenzioni x l’agricoltura e quelle del turismo invernale’?
    Fin che la tecnologia disponibile permette di sciare e mantenere le attività legate alla neve è giusto insistere.

    alessandro m

    • Firma - alessandro m
  2. Quando sento queste interviste rimango sconvolto dalle inesattezze (per non dire altre parole) che leggo. Faccio alcune importanti precisazioni:
    1) ancora oggi, dati alla mano ( e senza possibilità di essere smentito) il turismo dello sci produce un reddito per la collettività che NESSUNA altra attività può neanche lontanamente avvicinare.
    2) Ancora oggi e penso per sempre l’unica sopravvivenza per la montagna, ovunque essa sia, è data dal turismo della neve, se questo venisse meno ci sarebbe un ulteriore e decisivo spopolamento della montagna che quindi non potrebbe essere più presidiata lasciando spazio a frane, smottamenti, terreni incolti e quanto di peggio possa succedere ( e ne abbiamo ampi esempi dove purtroppo gli impianti sono stati abbandonati) senza pensare alle popolazioni che la abitano che sarebbero costrette a trasferirsi in città affollandole ancora di più e aumentando il problema del lavoro.
    3) ogni attività collaterale al turismo della neve è sicuramente la benvenuta, ciaspolate, turismo lento, trekking, cooperative di comunità, ma rimane comunque complementare e produce numeri ridicoli che non potrebbero “dare da mangiare ‘ ché a poche famiglie!!!!
    4) l’assurdità più grossa che viene scritta ( figlia del fatto che probabilmente chi scrive oltre a non essere infornata non sa proprio come funziona) è che per fare la neve artificiale si usano non si sa quali additivi chimici!! Mai falsità più grande fu scritta ( e lo dico vantandomi di essere un buon conoscitore del funzionamento della neve programmata). La neve programmata ( così si chiama) non è altro che una miscela di acqua e aria niente più, niente meno!
    5) Comunico alla inesperta Signora di legambiente che è ampiamente dimostrato che la neve programmata E’ ECOLOGICA!!! Sì, forse sembra un’affermazione un po forte, ma se ci si pensa bene, ed il caso di Cerreto Laghi ( ma non solo) ne è l’esempio più concreto, infatti produrre neve significa pompare acqua a monte (prelevandola da valle), per poi farla ricadere a valle al momento dello scioglimento andando a rimpinguare le falde acquifere!!!
    6) È altresi falso che Il creare e/o potenziare gli impianti di innevamento programmato possano provocare impatti nocivi e/o dannosi per il terreno o l’ambiente ( basta che questi vengano fatti secondo le norme e con il massimo rispetto ambientale).
    7) Ricordo infine che le piste da sci non sono fabbriche ( come quelle che si costruiscono in pianura senza preoccuparsi più di tanto dell’ambiente), ma sono semplicemente PRATI che non inquinano e non deturpano l’ambiente.
    Ognuno di noi montanari ha sempre avuto e sempre avrà massimo rispetto per la montagna e per il proprio territorio, molto di più di quei fantomatici signori che vivendo in città con tutte le comodità a portata di mano, vogliono fare la morale, chiedendo ad altri di fare rinunce, quando essi stessi non fanno niente per migliorare la situazione. Per coerenza, tutti questi signori, dovrebbero iniziare ad eliminare dalle proprie abitudini l’uso del cellulare, del computer, della televisione, del frigorifero, della corrente elettrica ecc. Quando questi signori dimostreranno di fare ciò, allora magari si potrà pensare di modificare i programmi sulla montagna. I montanari sono stanchi di essere trattati dai burocrati di Bologna e/o Roma come se fossero una riserva indiana, dove altri decidono per loro ( senza peraltro dare il buon esempio).
    Concludo affermando che è veramente il tempo di farla finita con l’integralismo ambientale!! Salvaguardia del territorio certamente, ma compatibilmente alle esigenze delle popolazioni che quei territori li abitano!!

    • Firma - AlessandroZampolini
  3. Se si fossero ascoltati di più gli ambientalisti anche in passato, non si sarebbe arrivati ad essere impreparati sul cambio climatico. Gli interessi economici oggi si fanno preparandoci a un futuro che non è più quello degli anni ottanta. Non c’è peggiore sordo di chi non vuol sentire.

    Simona Sentieri

    • Firma - Simona Sentieri
    • Simona, in parte i cosiddetti ambientalisti si possono anche ascoltare, ma solo dopo essersi accertati che siano informati (correttamente) e abbiano collegato il cervello prima di parlare…non in stile Greta..
      ad esempio, non volere dighe, neve artificiale e puntare solo sulla mobilità elettrica è ignoranza pura, vuol dire non conoscere le basi, vuol dire non guardare oltre la punta del proprio naso..

      • Firma - Andrea
  4. Allora, oggi ci sono quasi venti gradi e siamo all’inizio di marzo con una crisi idrica che fa gia’ paura. Scriviamo essendo, in qualche modo, interessati a questo botta e risposta sull’innevamento artificiale e, più in generale, sulla neve in Appennino, in quanto imprenditori di una realta’ dell’ospitalita’ in valle del Secchia e guide ambientali escursionistiche. Premesso che abbiamo nel cuore le difficoltà di chi vive attorno alla neve, vorremmo dire la nostra, perché riteniamo che tutta la questione dell’investimento sulla neve merita un dialogo allargato e non un confronto che sembra quello di un incontro di boxe. Allora, in fila e cercando di essere sintetici:
    Chi, oggi, prova a confutare evidenze scientifiche che, non solo sono sottoscritte dalla scienza, ma sono sotto gli occhi anche dei comuni mortali, pecca di una miopia incomprensibile.
    E, siccome e’ l’evidenza dei fatti che dice che la neve viene sempre meno, fa impressione chi si ostina a difendere una posizione contraria.
    Detto questo, bisogna dire che, non solo la neve viene sempre meno come quantità, ma anche come periodo dell’anno coperto dalle precipitazioni.
    Cio’ significa che il periodo possibile per un buon innevamento si e’ contratto in maniera impressionante.
    Questa cosa fa dispiacere, ma e’ un dato di fatto.
    Ma quello che si sta riducendo in maniera impressionante e’ anche, e questo forse e’ ancora più impressionante, il volume delle precipitazioni.
    Non so se ricordate la scorsa estate come era ridotto il terreno. Andare nel bosco vedeva tornare ricoperti di terra come fosse talco, perché il terreno era assetato.
    Detto questo, vorremmo contribuire a questa discussione con alcune affermazioni:
    Prima di tutto, non riteniamo che le sorti dell’Appennino siano appese alle scelte relative alla neve, perché quello e’ un discorso molto più complesso e per il quale bisognerebbe avere il rispetto della visione globale.
    Ora, considerato che il periodo di innevamento naturale e non si stringe sempre di più, cosa dovrebbero fare gli altri imprenditori dell’ospitalità e del turismo per vivere? Se tutte le sorti dell’Appennino poggiassero sulle scelte della neve come dovremmo vivere tutti altri noi?
    Allora, ecco qui un’altro Punto di vista.
    Nella nostra esperienza di accoglienza, che data ormai da anni, possiamo dire che gli ospiti che giungono da noi per andare a sciare al Cerreto o a Febbio o al Ventasso rappresentano nemmeno l’1% del totale.
    Giusto per dire dove vanno:
    Al lago del Ventasso, alla Pietra di Bismantova, alle Sorgenti del Secchia, sul crinale, ai laghi cerretani, a fare escursioni a Valbona, dove Andrea realizza bellissimi trekking fra natura e animali, al Cerreto con i Briganti, a Cerwood, ……. e in tante altre situazioni e appuntamenti che questa valle offre.
    Il problema vero di tutto questo ragionamento, secondo noi, sta invece nel punto di vista di partenza.
    Una corretta promozione del territorio non si muove facendolo a pezzi e promuovendolo in maniera disarticolata e, peggio, di parte.
    Al contrario, lo promuove come insieme di realta’ e opportunità che insieme fanno un’offerta articolata. Se l’intera valle fosse promossa, anche dal punto di vista turistico, con un racconto coerente, tutti ne trarrebbero vantaggio.
    Per esperienza possiamo dire che un ospite che viene per diversi giorni, per esempio, difficilmente viene per fare la stessa attività per giorni e giorni.
    Noi, per fare solo un esempio banale, abbiamo avuto ospiti venuti per andare a Cerwood, che però un giorno dopo ci hanno chiesto cosa potevano fare o vedere. Addirittura quelli che erano venuti per Cerwood ci hanno chiesto dove potevano vedere i reperti di Bismantova ( e sono impalliditi quando noi imbarazzati abbiamo risposto a Reggio, a proposito di promuovere l’Appennino….).
    Quindi, scusate, ma il discorso che l’Appennino degli alberghi, dei B&B, dei ristoranti e delle altre realtà sparse nell’alta valle vive solo se si difende la neve al Cerreto Laghi o altrove non e’ proprio praticabile.
    Crediamo, invece, che una promozione del territorio coerente, con un disegno nella testa e a tutto tondo, aiuterebbe l’Appennino dell’ospitalita’ e anche quello che ora vive di neve.
    Probabilmente, aiuterebbe quest’ultimo, a cercare altre vie di soluzione al problema.
    Poi, dopo aver rinnovata l’empatia per le difficolta’ di chi vive con la neve, una precisazione ci sembra d’obbligo: ma chi aiuta gli altri imprenditori e i negozianti che sono il vero presidio dell’Appennino? L’Appennino si salva se si discute come fare a tenere qui le famiglie se chiude la scuola, se chiude il negozio, se l’ospedale diventa un relitto.
    Allora chi tiene botta in Appennino e’ il fruttivendolo o il negoziante che non va a cercare i contributi se non arriva a fine mese perché non ci sta dentro e altre situazioni. Poi, a proposito delle 5.000 della neve, vorremmo fare presente che ne facciamo centinaia solo noi che siamo una piccola realtà che, sommata alle altre, fa numeri, ma numeri che coprono tutto l’arco dell’anno, non solo qualche Altro esempio: quando in passato gestivamo l’Ecomaratona del Ventasso in un fine settimana affluivano in Appennino anche un migliaio di persone fra partecipanti e accompagnatori. Persone che dormivano, pranzavano nei ristoranti, ….
    Il punto di vista sull’Appennino che si concentra sulla neve, scusate, non serve all’Appennino ma neanche a chi di neve vive.
    Allora, visto che il Comune di Ventasso e’ il più grande Comune montano dell’EmiliaRomagna, nonche’ sede parte di un Parco Nazionale, c’e’ qualcuno che può alzare l’asticella su questo dibattito sulla neve? Giusto perché così si va solo a sbattere.

    Vincenzo Castellano e Rosi Manari

    • Firma - Vincenzo Castellano e Rosi Manari
  5. Vorrei esprimere sommessamente la mia opinione.
    Non siamo ignoranti e neppure trogloditi come qualcuno ha scritto forse un po’ stupidamente, quanto meno non coloro che si adoperano per fare bene quello che fanno con impegno, dedizione e massimo zelo.
    Concordo con Simona che probabilmente il pensiero degli ambientalisti anni 1980/1990 fu tacciato di integralismo, oggi però dobbiamo convenire fosse un pensiero maggiormente attento a quanto avveniva a livello climatico e di sostenibilità ambientale e di cui oggi i cambiamenti climatici in atto ci stanno presentando il conto.
    Sono anche in parte d’ accordo con quanto scrive Zampolini.
    Le pratiche alternative al turismo invernale in montagna ( lo sci e’ comunque prevalentemente ) sono in grado di fare da contorno e se anche non si è stati lungimiranti in passato nel diversificare l’ offerta turistica in montagna relegandola esclusivamente al turismo legato allo sci, dobbiamo però stare con i piedi per terra perché quel tipo di turismo capace di riempire ad esempio Cerreto Laghi con oltre 5000 presenze come fa presente Zampolini, non ha possibilità immediata di sostituzione con altro ed altrettanto attrattivo.
    Pertanto dobbiamo fare in modo, credo, di fare di necessità virtù, coniugando l’ offerta turistica invernale in montagna prevalentemente o meglio quasi esclusivamente basata sullo sci, con altre buone pratiche capaci di ampliare l’ offerta turistica con pacchetti diversificati oltre allo sci.
    Concludo suggerendo a Zampolini, se mi posso permettere, di cercare il dialogo con quelli che ha definito ” i burocrati che da Bologna e/o da Roma vogliono relegarci ad una riserva indiana ( nativi Americani ), perché la collaborazione con le istituzioni ( che bene o male esistono e con le quali dobbiamo ns malgrado lavorare ) può essere d’ aiuto a garantire un futuro nel ns appennino alle prossime generazioni ed a tutti coloro che vorranno comunque e malgrado tutte le difficoltà ed i disagi, restare a vivere la loro vita in questi ns stupendi borghi.
    Sollecito pertanto un dialogo franco e costruttivo per cercare e trovare soluzioni coordinate, non escludendo nessun attore capace di portare il proprio contributo.
    Insieme si può riuscire !!
    Cordialità.

    Vittorio Bigoi

    • Firma - Vittorio Bigoi