Riceviamo e pubblichiamo
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Nell’articolo dedicato all’ultimo pastore di Monteorsaro, alla domanda che consigli darebbe per ripopolare la montagna e i suoi borghi, Mirko Zamboni risponde: "Occorre lavoro, per richiamare i giovani, le famiglie. Ma di lavoro qui ce n’è poco. Bisogna arrangiarsi con quel che si trova”.
La natura, il verde, la tranquillità, il parco, sono graditi ma non bastano a trattenere o ad attrarre in modo permanente giovani e famiglie: è con questa realtà che dobbiamo fare i conti. L’alto appennino, sul piano demografico, ha superato il cosiddetto “punto di non ritorno” ovvero non è più in grado - con il patrimonio umano disponibile - di invertire il declino demografico.
L’iniziativa su popolazione ed economia del nostro appennino dell’Ottobre scorso del circolo Toniolo (al Parco Tegge di Felina) ci ha ricordato che quando la normale amministrazione non riesce a fermare l’emorragia è lecito invocare interventi straordinari mirati a creare occupazione e radicare nel territorio nuove famiglie.
Ne ricordo uno previsto dalla “legge sulla montagna” (n° 97/94) votata dal Parlamento della nostra Repubblica che all’art. 14 dispone: Il CIPE e le Regioni emanano direttive di indirizzo tendenti a sollecitare e vincolare la pubblica amministrazione a decentrare nei comuni (montani ndr) attività e servizi dei quali non è indispensabile la presenza in aree metropolitane, quali istituti di ricerca, laboratori, università, musei, infrastrutture culturali, ricreative e sportive, ospedali specializzati, case di cura ed assistenza, disponendo gli stanziamenti finanziari necessari.
C’è un buon numero di enti/società/fondazioni regionali tra Vigilati, Partecipati e Controllati dei quali non è indispensabile la presenza in aree metropolitane e che potrebbero essere trasferiti in aree montane alleggerendo l’asse della via Emilia ad alta densità abitativa ed alto inquinamento. Per l’appennino sarebbe una boccata di ossigeno provvidenziale.
Il decentramento di queste strutture (a partire dall’Assessorato alla montagna che più propriamente dovrebbe stare in montagna!) consentirebbe il mantenimento di servizi pubblici e privati (bar, negozi, ristoranti, alberghi, …) in appennino, aiuterebbe a crearne di nuovi e darebbe una spinta propulsiva all’economia locale e, in particolare, a quella del crinale. In ogni caso sarebbe davvero il segnale di una forte volontà politica di riequilibrio del territorio.
Enti, fondazioni varie (danza, teatro, …) centrali di acquisto, stazioni appaltanti, centri studi, e ricerca, che vivono col sostegno della Regione, perché non possono essere trasferite in appennino? Volendo non c’è che l’imbarazzo della scelta: basterebbe rispettare la volontà del Parlamento.
Giuseppe Bonacini
Visto che la legge sulla montagna risale al gennaio 1994, e sono pertanto trascorsi da allora quasi trent’anni, viene spontaneo pensare che sia mancata la volontà politica per dar corso al “decentramento” di cui qui si parla, oppure che tale dislocazione sia di fatto molta complessa e difficoltosa, se non impraticabile.
Nel frattempo non sono mancati quanti si sono arrangiati con quel che si trova – come ricordato nelle prime righe di questo articolo, che richiamano quello sull’ultimo pastore di Monteorsaro – ma la cui intraprendenza, in una con l’impegno profuso, non sembra trovare nei fatti il sostegno che invece meriterebbe.
E’ sicuramente ragionevole e motivato il ritenere che dal decentramento in discorso il nostro territorio potrebbe trarre indiscutibile beneficio, ma realismo vuole che si debba intanto contare e puntare su chi, di propria iniziativa, continua ad esercitare la rispettiva attività in montagna, o viene casomai ad insediarvela.
Se il mio ragionamento sta in piedi, ove di volesse dar man forte a detta “imprenditorialità”, intesa nelle sue varie espressioni e nei vari settori, che ha fin qui permesso la tenuta del tessuto socioeconomico montano, si potrebbe agire con agevolazioni fiscali utilizzando le risorse previste nel citato art.14 della legge sulla montagna.
P.B. 06.03.2023
P.B.
L’articolo 14 assegna a Regioni e CIPE la straordinaria possibilità di trasferire nei territori montani enti, strutture e organismi con funzione di “riequilibrio territoriale.” Le agevolazioni fiscali sono previste in altri articoli.
La domanda da porre alla Regione (a cui compete la programmazione territoriale) è: perché tenere nella affollata e inquinata Bologna enti e strutture (a cominciare proprio dall’Assessorato alla montagna!) che potrebbero essere decentrate in appennino apportando un importante beneficio socio economico a quel territorio?.
Io non vedo particolari difficoltà a questo decentramento, concordo sulla mancata volontà politica e rilevo che non c’è la percezione delle conseguenze drammatiche del collasso demografico del nostro appennino.
Sul “realismo politico” segnalo che l’autorevole demografo Antonio Golini nel saggio “Il malessere demografico in Italia” scrive una considerazione che egli stesso definisce cinica (e che io trovo illuminante):
“”Il malessere demografico dei piccoli e piccolissimi comuni montani potrebbe essere visto come un modo indolore di razionalizzare insediamenti di popolazioni … oramai considerati non più sostenibili dal punto di vista della organizzazione del territorio. Infatti la loro rivitalizzazione socioeconomica …. richiederebbe investimenti produttivi e/o infrastrutturali troppo onerosi e poco accettabili dalla corrente sensibilità ambientalista. In questa ipotesi si potrebbe attribuire al ‘laissez faire’ delle autorità centrali e locali precisi – anche se non consapevoli e non sempre auspicabili – significati e obiettivi””.
Giuseppe Bonacini
Mi fa piacere che Giuseppe Bonacini abbia ritenuto di prendere in considerazione il mio commento, il che fa differenza con chi affida a Redacon le proprie opinioni ma poi, in modo abbastanza autoreferenziale, si guarda bene dal rispondere a chi esprime tesi più o meno diverse, e questo distinguo vale soprattutto allorché si tratta di argomenti complessi, ma al tempo stesso importanti, in ordine ai quali un po’ di confronto non guasterebbe, anche se non può essere di certo risolutivo e determinante (ma se guardassimo soltanto a quest’ultimo aspetto smetteremo allora di inviare a Redacon i nostri rispettivi punti di vista).
Quanto al futuro della montagna, non va ovviamente escluso che manchi “la percezione delle conseguenze drammatiche del collasso demografico del nostro Appennino”, e che prevalga ormai una “sensibilità ambientalista” contraria a determinati investimenti produttivi e/o strutturali, e c’è pure chi pensa che lo spopolamento della montagna interessi poco o nulla a quanti, da non residenti della montagna, la preferiscono poco antropizzata e rinaturalizzata, e casomai sempre più popolata da fauna selvatica, ossia una rivitalizzazione che risponde soprattutto ad una logica per così dire “vacanziera”, che fa a meno del tessuto sociale..
Di fronte a tali “mentalità”, o ci rassegna lasciando fare, come si usa dire, oppure si cerca di percorrere una “subordinata”, ossia qualcosa che non vada a scontrarsi col “pensiero dominante”, almeno fino a quando resterà tale, subordinata che io intravedo nel sostenere ed incoraggiare le attività tradizionali del nostro territorio, verso le quali non dovrebbe esservi alcuna “ostilità”, almeno c’è da auspicarlo, e tenuto altresì conto che vi sono montanari cui non mancano ingegnosità, spirito d’iniziativa, ecc …., come dimostrato dal caso di Monteorsaro (il sostegno attuato tramite benefici fiscali mi parrebbe quello più semplice e rapido da realizzare).
P.B. 07.03.2023
P.B.