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LE VOCI DELLA POESIA

Maya Angelou e il coraggio di rialzarsi

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Maya Angelou (1928-2014) diceva che la virtù più importante è il coraggio, senza il coraggio nessun’altra virtù può essere costante. Questa sua poesia esorta tutti a rialzarsi sempre dopo i colpi della vita.

Still I Rise

You may write me down in history

With your bitter, twisted lies,

You may trod me in the very dirt

But still, like dust, I'll rise.

Does my sassiness upset you?

Why are you beset with gloom?

’Cause I walk like I've got oil wells

Pumping in my living room.

Just like moons and like suns,

With the certainty of tides,

Just like hopes springing high,

Still I'll rise.

Did you want to see me broken?

Bowed head and lowered eyes?

Shoulders falling down like teardrops,

Weakened by my soulful cries?

Does my haughtiness offend you?

Don't you take it awful hard

’Cause I laugh like I've got gold mines

Diggin’ in my own backyard.

You may shoot me with your words,

You may cut me with your eyes,

You may kill me with your hatefulness,

But still, like air, I’ll rise.

Does my sexiness upset you?

Does it come as a surprise

That I dance like I've got diamonds

At the meeting of my thighs?

Out of the huts of history’s shame

I rise

Up from a past that’s rooted in pain

I rise

I'm a black ocean, leaping and wide,

Welling and swelling I bear in the tide.

Leaving behind nights of terror and fear

I rise

Into a daybreak that’s wondrously clear

I rise

Bringing the gifts that my ancestors gave,

I am the dream and the hope of the slave.

I rise

I rise

I rise.

Ma io mi rialzo

Mi puoi denigrare nella storia

Con le tue amare, contorte bugie,

Mi puoi calpestare nella terra

ma io, come polvere, mi rialzo.

La mia sfacciataggine ti turba?

Perché sei così incupito?

Perché cammino come se avessi pozzi di petrolio

Che scaturiscono dal salotto.

Proprio come le lune ed i soli,

Con la certezza delle maree,

Proprio come le speranze che si alzano alte,

Io mi rialzo.

Volevi vedermi spezzata?

Con la testa piegata e gli occhi abbassati?

Con le spalle cadenti come lacrime,

Indebolita dal mio pianto profondo?

La mia arroganza ti offende?

Non te la prendere troppo

Se rido come se avessi miniere d’oro

Da scavare nel cortile sul retro.

Puoi spararmi con le tue parole,

Puoi tagliarmi coi tuoi occhi,

Puoi uccidermi col tuo odio,

Ma io, come l’aria, mi rialzo.

La mia sensualità ti sconvolge?

E’ una sorpresa

Che io danzi come se avessi diamanti

All’incontro delle mie cosce?

Dalle capanne della vergogna della storia

Io mi rialzo

Da un passato radicato nel dolore

Io mi rialzo

Sono un oceano nero, che guizza ampio,

Sono portata dal rigonfiarsi e cadere della marea

Lasciando dietro me notti di terrore e paura

Io mi rialzo

Nella pienezza di un un giorno che è meravigliosamente chiaro

Io mi rialzo

Portando i doni che i miei antenati hanno donato,

Io sono il sogno e la speranza dello schiavo.

Mi rialzo

Mi rialzo

Mi rialzo.

Nel Gennaio del 1993 Maya Angelou recitò una sua poesia, scritta giusto per l’occasione, alla prima inaugurazione del Presidente Bill Clinton. Il titolo della poesia è ‘On the Pulse of Morning’, ‘Al Battito del Mattino’, ed è un richiamo a tutti i popoli che hanno costruito l’America a unirsi e salutarsi con un semplice ‘Good Morning’, ‘Buongiorno’, cancellando l’ignoranza, la corsa verso il profitto che ha sporcato la terra, la guerra, il cinismo. E’ un canto a riunirsi per tutte le genti, inclusi i ‘diversi’, a sollevare il viso nella consapevolezza che le nostre vite sono state riscattate dalle sofferenze di chi è venuto prima di noi perché “History, …/ Cannot be unlived, but if faced / With courage, need not be lived / Again”, “La storia … non può essere cancellata, ma se affrontata / con coraggio non deve essere vissuta / nuovamente”. Ovvero se abbiamo il coraggio di affrontare le difficoltà che la storia, il passato, ci presenta possiamo cambiarla, la storia.

Questa incitazione è ben chiara anche nella poesia ‘Ma io mi rialzo’, ed è un’esortazione che prima di essere espressa a parole Maya Angelou ha vissuto con una vita lunga, avventurosa e piena di coraggio. Lei apparteneva alla razza svalutata e denigrata per secoli negli Stati Uniti, i neri. All’età di tre anni Maya, che allora si chiamava Marguerite Annie Johnson, e suo fratello Bailey, che di anni ne aveva cinque, furono caricati da soli su un treno, con un cartellino attaccato al polso, che li portò da Long Beach, California, a Stamps, Arkansas, un percorso di quasi 3000 chilometri. Ad aspettarli c’era Annie Henderson, la nonna paterna che aveva acconsentito ad accogliere i bambini dopo il divorzio dei genitori.

Stamps, Arkansas, era esattamente uno di quei posti dove, come nella poesia, i neri erano offesi dalla storia e calpestati nella polvere. La piccola cittadina era fortemente segregazionista, c’erano in effetti due Stamps, una per i bianchi ed una per i neri. Maya ricordava la paura di quando doveva recarsi nella zona bianca e la sensazione che i bianchi non fossero reali, che non fossero veri esseri umani, tanto inspiegabile era l’odio nei loro occhi quando si posavano sul viso di una persona nera. Il Ku Klux Klan era tanto potente nell’area che i suoi membri giravano per Stamps senza coprirsi con i tradizionali cappucci bianchi. Nelle notti in cui il Klan era in perlustrazione tutti i maschi neri adulti erano in pericolo. Anche lo zio Willie, pur essendo invalido, doveva essere nascosto dai bambini sotto mucchi di patate e cipolle.

Maya aveva però un protezione contro l’odio, la protezione di qualcuno che Maya bambina pensava fosse dio, ovvero la nonna Henderson, Mommy. Annie Henderson era una donna di grande fede e acume, ma era anche una donna d’affari. Era la proprietaria dell’unico ‘Store’, un negozio dove si vendeva praticamente di tutto, della parte nera di Stamps e possedeva terra dove abitavano bianchi poveri. Le figlie di alcuni di questi bianchi erano spesso offensive nei confronti di Mommy, ciò che faceva infuriare la bambina, ma la nonna le insegnò come mostrarsi indifferente a tutte le offese, comportandosi con dignità, come se avesse “pozzi di petrolio nel salotto”, “miniere d’oro nel cortile sul retro”, “diamanti all’incontro delle cosce”. Maya imparò a capire la bellezza dei neri, del loro portamento, del loro fisico, della loro storia, a comprendere “i doni che i suoi antenati avevano portato”. Imparò a rialzarsi. E saper rialzarsi le sarebbe servito presto. Quando Maya aveva sette anni i bambini andarono a vivere con la madre e la sua famiglia a St. Louis. Purtroppo fu qui che la bambina, a neanche otto anni, subì lo stupro da parte del compagno della madre. La bimba finì in ospedale e lo stupratore in prigione per un giorno ed una notte. Dopo poco fu ritrovato il suo corpo: era stato picchiato a morte, probabilmente dagli zii di Maya. Quando la polizia venne a dare la notizia a casa della nonna materna, i bambini stavano giocando. Maya sentì quello che i poliziotti stavano dicendo e, nella sua logica di bambina di neanche otto anni, pensò che il fatto di aver pronunciato il nome del suo stupratore dopo che il fratello glielo aveva chiesto, ma anche dopo che il suo assalitore le aveva detto che se lo avesse fatto suo fratello sarebbe morto, avesse ucciso l’uomo. Credette che la sua voce, il nome uscito dalle labbra, avesse avuto la forza di causare la morte di una persona. Decise allora di non parlare più, di non usare più la sua voce per non mettere altri in pericolo. Nessuno riuscì a dissuaderla e i bambini furono rimandati da nonna Henderson.

La resistenza e la dignità della donna continuarono a farla sentire protetta, a rialzarsi come le onde di un “nero oceano”. E la nonna la protesse sempre, come quella volta che Maya aveva un fortissimo mal di denti e Mommy la portò dal dentista bianco perché non c’era un dentista nero a Stamps. Ma nonostante la donna pensasse che il dentista fosse in debito con lei perché lei gli aveva prestato soldi durante la depressione seguita al crollo della borsa nel 1929, il medico rispose che avrebbe piuttosto messo le mani in bocca ad un cane che ad un nero. Allora Mommy si fece dare gli interessi sul prestito, ciò che non aveva avuto intenzione di chiedere, per portare Maya dal più vicino dentista nero.

Ma ora c’era anche qualcosa e qualcun altro che veniva in aiuto di Mommy. I libri. I libri ed una donna, un’insegnante di nome Mrs. Flowers. Mrs. Flowers portò Maya nella biblioteca della scuola per bambini neri e col tempo le fece leggere tutti i libri che conteneva oltre ad altri presi in prestito dalla scuola bianca. La bimba lesse e memorizzò intere opere e sonetti di Shakespeare, che non riusciva a capire come potesse essere bianco, più quelle di tanti altri autori, incluso il poeta nero Paul Laurence Dunbar che le diede, col verso di una sua poesia, il titolo di quello che sarebbe stato il primo volume della sua autobiografia, pubblicata nel 1969, ‘I Know Why The Caged Bird Sings’, ‘So perchè l’uccello in gabbia canta’.

Ma Mrs. Flowers si rifiutò di credere all’amore di Maya per la poesia, nonostante la bambina, che comunicava scrivendo su un taccuino che portava sempre con sé, insistesse sul contrario. “No”, le disse la donna, “non puoi amare la poesia se non la pronunci, se non la fai uscire dalle tue labbra, la poesia è musica per la voce umana”. E così Maya riprese a parlare.

Gli anni successivi della lunga vita di Maya Angelou, nome che assumerà tempo dopo usando il nomignolo affettuoso di suo fratello per lei ed il cognome del primo marito, rispecchieranno costantemente le parole della poesia ‘Still I Rise’. Diventerà una ballerina, un’attrice, una madre a diciassette anni,  una combattente per i diritti civili con Malcom X e Martin Luther King, portando avanti il messaggio che gli esseri umani sono “more alike than unlike”, “più simili di quanto siano dissimili”, una poetessa ed una scrittrice per essere poi una vera icona della cultura americana fino alla morte. La Angelou diventerà famosissima per le sue letture di poesia, per i suoi discorsi che ricorderanno nella loro fisicità, grazie all’accompagnamento del corpo, ciò che aveva sperimentato assistendo ai sermoni dei ministri della chiesa battista frequentata con la nonna.

Il messaggio della poesia non deve essere ristretto al destino dei neri: ci sono tanti altri tipi di schiavi. Ci sono i deboli, gli sfruttati, gli emarginati e poi ci siamo anche noi che individualmente, ogni giorno, abbiamo bisogno di rialzarci. E soprattutto abbiamo bisogno, come diceva sempre Maya, di qualcuno che diventi il nostro “rainbow in the clouds”, “arcobaleno nelle nuvole”. Come dio mandò l’arcobaleno nel cielo per confortare l’umanità piegata dal diluvio, noi abbiamo bisogno di qualcuno che sia un arcobaleno tra le nuvole della vita. Ma soprattutto dobbiamo fare in modo di essere a nostra volta un arcobaleno nelle nuvole di qualcun altro perché, proprio come Maya si rialzò per il grande amore di Mommy, solo l’amore può far dire “Mi rialzo”.