Eravamo in febbraio o forse nei primi giorni di marzo, uno di quei mesi che la neve era quasi sciolta ne restava qualche “bulada” macchia solo nelle zone più ombreggiate. L’anno lo ricordo bene, perché ancora non avevo cominciato ad andare a scuola perciò eravamo nel 1945.
La famiglia del mio amichetto Ugo Malvolti, aveva dovuto lasciare libera la casa della zia Cleofe alla Macchiusa che loro avevano affittato e si erano trasferiti lassù sotto Pietra Bassa, in quella casa che allora chiamavano “Cà della Beccaccia” ora chiamata Belvedere ci si arrivava e tutt’ora ci si arriva da Cà di Patino.
La signora Olga, mamma di Ugo era una donna meravigliosa sempre sorridente, affabile, accogliente. Aveva insistito e pregato la mamma di andare a trovarla, lassù si sentiva un po’ troppo isolata, d'altronde sapeva che mia madre aveva bisogno di distrazione, ma non era la prima volta che andavamo lassù.
Difatti appena entrata notai che non c’era più l’albero di Natale carico di palline di vetro colorato che avevo ammirato la volta prima e Lina sorella maggiore più grande di noi di quattro o cinque anni me le fece vedere ben allineate dentro la scatola che le aveva accolte, mi disse che le aveva messe lì la befana quando era arrivata anche da loro.
Io e Ugo giravamo per la casa in cerca di qualche distrazione, mentre mia mamma raccontava all’amica per l’ennesima volta il suo dolore. Mentre frugavamo saltò fuori un sacchetto pieno di castagne, quelle con la buccia che servivano per fare i “balussi” forse erano un po’ vecchiotte, ma noi cominciammo a rosicchiarle e penso che io ingoiai anche la “pégia” la pellicina rosa che le rivestiva difatti non avevano proprio un buon sapore, ma continuavo a rosicchiare, mentre Ugo ricordava quel giorno che mi aveva spinto dentro un mastello con dentro quattro dita d’acqua e ridendo diceva:
“Eri bagnata come un pulcino pensare che di acqua ce n’era poca”.
Era ora di tornare a casa, il sole stava là sopra al Ventasso, dopo poco sarebbe sparito e in un attimo sarebbe stata notte.
Arrivata sotto Cà di Patino cominciai ad accusare “mal di pancia” io chiamavo così lo stomaco. Mia mamma mi prese “cavaciosa” poi a casa una bella camomilla bollente e forse mi addormentai subito.
La mattina dopo mi svegliai con un gran mal di testa forse avevo anche un po’di febbre, ricordo che la mamma stava lavando le camice degli uomini di casa dentro a quel lavandino “tuttofare” là ci stavano appesi i secchi per l’acqua, c’era un catino dove tutti ci lavavamo la faccia e le mani, ci si lavavano i piatti ecc… l’igiene di oggi non esisteva e forse vi dirò che siamo diventati un po’ esagerati.
Torniamo al mio mal di testa “ anzi, vi devo far notare che da allora io non ho mai più avuto mal di testa, non so proprio cosa sia”. Quella mattina seduta vicino alla stufa continuavo a lamentarmi, allora la mamma si staccò dal lavandino e mi disse:
“Adesa it dagh un casè achsè at pàsa”. Traduco: ora ti do un cascè “cachet” vedrai che ti passa.
Allora non esistevano le varie cibalgine, ma delle bustine con dentro una polverina che si metteva dentro a una “nevla” un ostia appena inumidita la chiudevi e l’ingoiavi con mezza mescola d’acqua dopo la mamma, si rimise a insaponare e spazzolare i colli delle camice.
Dopo poco cominciai a dire.
“Mama am se stréca iocc”
“Mamma mi si chiudono gli occhi”, lei senza girarsi mi rispose che anche la Delia dalla Pieve la moglie di Franschin si lamentava che le si chiudevano gli occhi difatti era diventata cieca.
Come vedete le mamme di allora non erano attente come quelle di adesso che appena un bimbo fa “Hai!!..” subito si attaccano al telefono e chiamano il Pediatra.
“Mama am se stréca iocc”.
Continuavo a ripetere, finalmente si gira e vede la mia faccia gonfia che sembrava la luna piena e per occhi due piccole fessure, allora pianta lì tutto per portarmi a far vedere al dottore, questo si chiamava Campanini il dottor Vezzosi non c’era più l’aveva ingoiato quella “stupida guerra”.
Questo dottore io non l’avevo mai visto, perciò lo guardavo con attenzione non mi fidavo molto, alto con le spalle quadrate “stenco” che sembrava aver ingoiato la cannella della polenta i capelli grigi e lisciati all’indietro due occhi scrutatori, dietro a due lenti piccole e tonde che portava sulla punta del naso, mi guardava con attenzione, io avevo un prurito incredibile a tutto il corpo, perciò mi lasciai spogliare da lui.
Dovete sapere che mia madre per far vedere che ero una bimba curata e seguita mi aveva messa alla pelle una di quelle canottiere fatte a mano con la lana di pecora che il dottore mi sfilò e gliela allungò dicendo:
“Questa cara signora se la metta lei”
Avevo tutto il corpo pieno di bolle, mi chiese cosa avevo mangiato glielo dissi, ma non parlai delle castagne, aggiunsi solo che la mamma mi aveva dato un “cascè”, per il mal di testa.
Sembrò arrabbiarsi, ma non lo fece, guardò mia madre e le disse:
“Non ha visto che nella bustina c’è scritto, non si dà ai bambini?”
Lei proprio non ci aveva guardato sempre assorta nel suo “pensiero fisso”.
Questo dottore continuò a visitarmi, sottolineando i calamari che fra l’altro, mi porto da una vita sotto gli occhi, poi facendomi fare qualche movimento disse che avrebbero dovuto farmi fare una lastra alla gamba sinistra.
Sentendo nominare la “lastra” con una certa apprensione il mio pensiero corse subito alle “lastre” di marmo che mio fratello Valdo metteva sul banco da lavoro le sagomava e poi vi scolpiva il nome e la dedica erano le lapidi che si trovavano sulle tombe al cimitero. Per me le lastre erano quelle e una volta a casa, corsi a riferirglielo, ne doveva fare una per me, Valdo mentre si spanciava dal ridere mi prese in braccio e mi spiegò di cosa si trattava, era solo una fotografia che avrebbe mostrato le mie ossa e la cosa non mi piacque per niente, io vedevo già questa lapide col mio nome laggiù e rimasi delusa.
Allora la mutua non esisteva figuriamoci se spendevano i soldi per i “raggi x” così non me li hanno mai fatti tanto non zoppicavo!
Poi il dottore dopo aver osservato le mie costole, forse le aveva anche contate una per una, chiese se mangiavo, la mamma rispondeva che il mio piatto era sempre pulito come quello degli altri, poveretta non si era mai accorta che il mio piatto pulito era quello di mio fratello Nilo, che ci scambiavamo di tacito accordo durante il pranzo.
Infine questo dottore scrisse una ricetta che non venne mai usata, l’Orticaria che non si seppe mai se me l’aveva procurata le “pègie” delle castagne crude, oppure il famoso “cascè”, che la mamma controllò subito appena arrivata a casa dove c’era scritto ben in grande “Non si dà ai bambini”, come dicevo dopo due giorni l’Orticaria sparì, però a distanza d’anni ogni tanto si è rifatta viva, ma per altri motivi, ora però non è più un problema ormai siamo tutti allergici a qualcosa.
Elda Zannini
GRANDISSIMA ELDA SEI UN MITO!!!!!!!!!!!!!!
LUISITO
Ti abbraccio come fossi mio figlio presto ascolterai “il lupo e la volpe”
sulla nostra radio so che ti divertirai Elda
Elda Zannini