Sono rientrati nei giorni scorsi tutti i volontari del Gaom che a fasi alterne, tra novembre e gennaio, si sono recati presso la città baraccopoli di Shashemene in Etiopia, per seguire i progetti dell’associazione. Gli obiettivi che erano stati prefissati, sono stati raggiunti, ma la realtà fortemente contrastante che vive il Paese, ha lasciato molta amarezza.
L’impressione che si percepisce, è quella di una nazione che sta camminando a piccoli passi, ma con un grande aumento di poveri e con un grande divario sociale, tra chi sta bene e chi invece è in grande difficoltà. Uno dei motivi è sicuramente il conflitto fra Etiopia e Tigray. Solo pochi mesi fa è stato firmato il trattato di pace e i dati che arrivano parlano di circa 1 milione di morti a causa del conflitto. La tensione nel Paese si avverte ancora, con la presenza di militari sul territorio che sequestrano mezzi pesanti di passaggio e i loro autisti, per sfruttarli come corrieri verso il nord, dove altri militari attendono armi, cibo e rinforzi per controllare e disarmare le zone di confine. La moneta locale continua a svalutarsi e il costo della vita è diventato per molti insostenibile.
Il risultato di tutto questo è che mentre il popolo etiope, perennemente in movimento, anima le caotiche strade di villaggi e città, tra un commercio continuo fatto di piccoli e grandi oggetti, tra macchine, asini e cavalli, tra polizia federale e militari, a volte in tensione tra di loro, c’è una fascia silenziosa di persone che sembra non esistere: sono i poveri e in particolare i ragazzi di strada. Si vedono uscire dalle fogne della città. Li vedi dormire per terra lungo le strade o a gruppetti a chiedere l’elemosina o un pezzo di pane. Tra di loro non esistono però le ragazze, destinate ad una vita a volte ancor più difficile.
E’ in questo contesto che si inseriscono i progetti del Gaom, per cercare di ridare una speranza a coloro che l’hanno perduta. I volontari del Gaom hanno svolto un intenso lavoro. I medici Fiorella, Gianluca, Riccardo e William, hanno dato assistenza insieme alla infermiera Lorena a interminabili code di malati che hanno riempito il poliambulatorio Gaom e il centro delle suore del De Foucauld. Centinaia di bambini e giovani, a volte denutriti altri con malattie incurabili.
I tecnici Andrea, Aronne, Elidio, Gianni, Giuseppe, Lorenzo, Marsilio, Oriano e Alberto oltre a fare assistenza a turno dalle sisters del De Foucauld, hanno seguito principalmente i progetti Casa Famiglia e Mariam.
In Casa Famiglia, dove sono ospitati 50 ragazzi di strada che hanno dai 3 ai 18 anni, sono stati installati, nel capannone “arti e mestieri”, gli impianti per i laboratori e apportate migliorie per un ulteriore sviluppo. Oltre ad aver sistemato orti e frutteto, l’allevamento di galline ovaiole e i tetti dei dormitori ormai vetusti.
Soprattutto, cresce sempre di più lo spirito di famiglia: tra i ragazzi, tra chi lavora nella struttura e i volontari stessi.
Grande soddisfazione sta dando il “Progetto Mariam” che nonostante sia nato un anno fa, sta ridando una concreta possibilità di futuro ad una gruppo di ragazze poverissime che abitano la parte più povera della baraccopoli di Shashemene. Attraverso percorsi di studio e di lavoro. Come a Dinkinesh, che a soli 6 anni era sulle strade per spaccare le pietre e portare il cemento a coloro che poi dovevano ricostruirle. Era rimasta orfana del papà e lavorava per mantenere la sua famiglia, essendo la più grande di quattro sorelle. Oggi ha diciotto anni, non sa né leggere né scrivere, sua mamma è malata e lei si chiede quale futuro può avere, O come Alemwork a cui hanno portato via il bambino più grande, di soli 14 anni e dandogli in mano un fucile per poi mandarlo al fronte dopo tre mesi di addestramento a combattere contro il Tigray.
Sono tante le storie di sofferenza, ma continuiamo ad alimentare la speranza, certi che questi piccoli saranno il futuro del Paese.
La stessa Firehiwot, una ragazza cresciuta in un orfanotrofio, oggi laureata, che sta seguendo il Progetto Mariam. E’ lei stessa un bellissimo esempio di riscatto dalla povertà per le ragazze del progetto.
Come Fasil, ex bambino di strada cresciuto in Casa Famiglia e che è tornato per aiutare, ora che è veterinario e sta seguendo alcuni lavoretti in Shashemene,
Come nei nostri villaggi per lebbrosi, che oggi sono animati da un mare di bambini e di ragazzi felici, figli e nipoti dei nostri lebbrosi.
La speranza, tante volte, diventa felicità.
Alberto Campari