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Racconto Alberto Sartonii

La memoria genetica dell’amore

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Anche quel 14 febbraio, giorno di San Valentino, i tanti curiosi che entravano nell’autosalone lo facevano mossi dalla voglia di sognare. Tra coloro che si aggiravano nell’autosalone c’era un giovanotto dall’aspetto malaticcio e dai lineamenti irregolari, apparentemente svagato; vestiva un modesto completo marrone che gli stava piuttosto male. Aveva l’aspetto incerto dell’adolescente cresciuto troppo in fretta. “Quello chi è?” chiese il titolare della concessionaria di Ferrari e Maserati a un suo impiegato che rispose di non averlo mai visto. Il titolare, che si chiamava Alfredo, era un quarantenne alto e slanciato dai tratti fini ed eleganti. “Le interessa qualche modello in particolare?” domandò, con un filo d’ironia, al ragazzo. “A dire il vero sono qui, non per comprare, ma per vendere.” “E cosa vorrebbe vendere?” “Quell’utilitaria parcheggiata qua fuori.” Di solito il proprietario dell’autosalone non acquistava utilitarie; quel ragazzo, tuttavia, lo incuriosiva e così decise di seguirlo all’esterno. Concluso rapidamente l’affare, Alfredo compilò un assegno e lo consegnò al giovanotto che, a sua volta, gli mise in mano le chiavi della piccola vettura. Seguì uno scambio di battute tra l’uomo e il giovane: “So che non sono affari miei, ma perché si è voluto privare di quest’auto? Vedo dal libretto di circolazione che la guidava da appena tre mesi.” “Guidare questa macchina è stato per me il sogno d’una vita. Con grandi sacrifici sono riuscito ad averla e mi consideravo felice, salvo poi…” “Salvo poi?” “Salvo poi scoprire, un giorno, che il mio desiderio non era più quello di guidare una macchina; il mio desiderio era un altro.” “Capisco.” “No, con tutto il rispetto, temo lei non possa capire a meno che non abbia vissuto un’esperienza simile alla mia. Le è mai capitato di essere disposto a perdere tutto, senza alcun rimpianto, e anzi con un senso di autentica liberazione? Ha conservato, in fondo all’anima, la memoria genetica dell’amore fino al punto di volere a tutti i costi sol[1]tanto la felicità d’una donna?” Senza attendere una risposta, il ragazzo se ne andò. Alfredo chiuse gli occhi; una dolce visione riprendeva a poco a poco vita dopo un lungo letargo donandogli un improvviso benessere. Non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimase così. Alla fine riaprì gli occhi e la vide. La ragazza doveva avere sì e no diciott’anni. Ave[1]va un sorriso appena accennato. Alfredo notò che portava stivali di gomma, simili a quelli di un pescatore. Sopra gli stivali, indossava un vestito di lana verde, quasi interamente nascosto da un camice con il logo di un supermercato. In mano aveva l’assegno che pochi minuti prima Alfredo aveva firmato al ragazzo. Lei voleva restituirlo per riavere in cambio l’utilitaria. Ma perché voleva annullare quel contratto appena concluso? Con voce tranquilla lei rispose: “Non posso tollerare che Stefano debba soffrire a causa mia. Poco fa mi ha dato questo assegno per consentire alla mia famiglia di non essere sfrattata da casa per morosità dopo il tracollo finanziario subito da mio padre. Lo ha fatto perché mi vuole davvero bene. Anch’io gli voglio bene ovvero voglio il suo bene. Io voglio che Stefano sia felice. Noi ci arrangeremo. Ciò che conta è che lui non si sacrifichi per me.” Alfredo fece quello che gli era stato chiesto scambiando le chiavi dell’utilitaria con l’assegno. Dopo qualche ora i due si rividero davanti al reparto del pesce di un supermercato tra cassette di spigole, dentici, orate e saraghi. Senza dire una parola l’uomo infilò nel camice della ragazza l’assegno per evitare che fosse sfrattata insieme alla sua famiglia. Lei lo guardò sbalordita e incredula. Di sicuro non si aspettava quel regalo. Alfredo le sorrise e si allontanò a passo svelto. Sarebbe stato troppo lungo spiegarle che anche lui portava, dentro di sé, una memoria genetica dell’amore, una memoria delle vite che ci hanno preceduto stratificando emozioni su emozioni, sentimenti su sentimenti; da quando esiste sulla terra la nostra specie, si disse, l’amore ha dimostrato di poter vincere qualsiasi tempesta, qualsiasi avversità.” Tornato nel suo ufficio r[1]visse i giorni della fuga di sua moglie. Lei, tredici anni prima, proprio il giorno di San Valentino, era scappata come una cerbiatta spaventata dalla sua stessa ombra. Lui non l’aveva trattenuta. Si convinse che allora non c’era stato un dramma ma solo una sospensione dell’incanto. Compose un numero sul suo cellulare non sorprendendosi, dopo il tanto tempo trascorso, di ricordarlo a memoria; sul display apparve un volto mai dimenticato, poi risuonò una voce che lo fece tremare di commozione. Solo allora ebbe la lieta certezza che la sua ragione di vita fosse sempre stata quella di renderla felice.

(Da La Piazza)