Il consiglio comunale di Viano ha approvato all’unanimità la delibera con cui dice no al cibo sintetico, e aderisce alla petizione promossa da Coldiretti sostenendo tutte le ‘conseguenti e connesse iniziative di sensibilizzazione attinenti ai pericoli del cibo sintetico ed avvalorate anche dal mondo accademico e scientifico’.
L’Unione europea ha infatti annunciato il possibile via libera al cibo prodotto in laboratorio, quali farine da insetti, carne, pesce, “basta che rispetti i nostri standard nutrizionali". La risposta di Coldiretti è stata immediata: “Va contro la nostra idea di cibo”, ed ha lanciato la raccolta di firme su tutto il territorio nazionale per fermare una pericolosa deriva che mette a rischio il futuro della cultura alimentare nazionale: l'obiettivo è promuovere una legge che vieti la produzione, l'uso e la commercializzazione del cibo sintetico in Italia.
Negli Stati Uniti, la Food and Drug administration ha autorizzato il consumo di pollo coltivato in vitro: un prodotto a base di carne ottenuto da cellule di animali vivi; una decisione che potrebbe spingere, già nel 2023, l'Unione Europea ad autorizzare le prime richieste per l'immissione in commercio.
Il cibo sintetico viene prodotto in bioreattori, quindi non è una produzione agricola normale ma meccanica, industriale con passaggi, ha sottolineato il primo cittadino Nello Borghi nel corso del Consiglio comunale – “discutibili, o perlomeno imprevedibili".
Non è possibile, infatti, conoscere gli effetti che ne deriverebbero, in futuro.
Le motivazioni sostenute. La produzione di cibo sintetico non salvaguarda l’ambiente perché comporta un maggiore consumo di acqua ed energia rispetto agli allevamenti tradizionali e soprattutto è meno efficiente di quelli oggi più performanti; limita la libertà dei consumatori e omologa le scelte sul cibo; favorisce gli interessi di pochi operatori, monopolizzando l'offerta di cibo nel mondo; spezza lo straordinario legame che unisce cibo e natura. Non si ha la garanzia che i prodotti chimici usati siano sicuri per il consumo alimentare e l’esperienza maturata è ancora troppo limitata per giungere a conclusioni differenti; non aiuta a perseguire gli obiettivi di giustizia sociale, in quanto prodotto sulla base di brevetti e tecnologie con alti costi di ingresso e sviluppo, nelle mani di pochi grandi investitori multinazionali.