Riceviamo e pubblichiamo
***
L’Onu negli anni ’90 ha scelto il presupposto che il cambiamento climatico sia dovuto al 100% dalle emissioni derivanti dalle attività umane. Perciò ha insediato gruppi di ricercatori indicati da ogni Paese (IPCC) con l’esclusivo compito di stimare le emissioni, elaborare previsioni di aumento della temperatura e danni conseguenti. Poiché l’uomo non può intervenire su radiazioni solari, asse terrestre e oceani fu deciso di non considerare questi tre fattori. E’ una scelta forzata e venne subito criticata dalla comunità scientifica perché quei fattori sono dominanti e hanno determinato i cambiamenti climatici avvenuti prima e durante lo sviluppo urbano-industriale. Per accertare la situazione UE e USA hanno promosso dal 2000 programmi di ricerca condotti con nuovi strumenti sui satelliti a controllare l’atmosfera, le radiazioni che arrivano dal sole e rimbalzano dalla terra. I risultati delle due sperimentazioni convergono nel mettere in evidenza nuovi rapporti tra sole e terra bocciando la tesi adottata dall’Onu e la sintesi pubblicata a fine 2021 si trova su:
I nostri scienziati che studiano l’atmosfera attuale e che valutano i cambiamenti del clima nelle epoche precedenti hanno sottoscritto nel 2022 la Petizione presentata ai vertici delle istituzioni italiane. Sinora non riceve un’adeguata considerazione perché tante persone hanno predicato la CO2 come responsabile del clima, dovrebbero smentirsi e preferiscono evitarlo. L’importante fonte di sapere si trova in rete https://www.scienzanazionale.it/e-nata-astri-per-la-ricerca-italiana/petizione-sul-riscaldamento-globale-antropico/ e permette di valutare la questione in modo completo.
Lo sviluppo avvenuto dopo il 1700 con l’industrializzazione è stato possibile impiegando energia fossile e ora occorre ridurre i consumi in quanto l’avvicinarsi dell’esaurimento delle fonti provoca conflitti. Però nessun Paese intende rinunciare alla crescita (presente oppure attesa) e avviare cambiamenti profondi, il che rende comodo tenere per buono il presupposto dell’ONU al quale tutt’ora si indirizza la pubblica opinione. Da un lato si afferma che la cattura di CO2 risolve i problemi climatici e si punta sull’aumento del PIL (catturiamo il fumo così possiamo andare avanti con l’arrosto). Dall’altro lato si risponde alle sollecitazioni della Laudato sì, alle proteste di Greta &C con le conferenze sul clima per ridurre le emissioni fissando obiettivi regolarmente disattesi. Non servirebbero a ridurre il caldo, ma provocano due guai, non preparano a un futuro freddo e creano un mercato mortifero. L’inchiesta appena uscita su Internazionale del 27 gennaio spiega come la compravendita dei crediti di carbonio sia una “Truffa climatica”, cioè, un grosso affare per molti intermediari utilizzato dall’industria inquinante per ingannare il consumatore. Dunque, parlando di “lotta al cambiamento climatico” si passa dal falso mondiale alle fregature internazionali e si nutre una fesseria nazionale. L’Italia ha consumato e consuma più suolo agricolo rispetto ai Paesi che hanno questa risorsa finita in misura maggiore e la tendenza al suicidio aggiunge un altro consumo inutile con l’invito (di destra e di sinistra) a piantare alberi senza tener conto dello spazio disponibile. Il documento https://www.meteoweb.eu/2021/10/cambiamento-climatico-facciamo-un-po-di-chiarezza// spiega il ciclo della sostanza organica e nella parte finale rammenta che la fotosintesi di CO2 è limitata alle foglie, che a terra i materiali in decomposizione emettono CO2 e che pertanto un ettaro di bosco alla nostra latitudine può assorbire da 2 a 6 tonnellate di CO2/anno. Secondo i dati ufficiali le emissioni di ogni italiano sono 5,5 ton di CO2/anno, dunque le compensa un ettaro di bosco, ma anche se questo arrivasse a coprire tutti i 30.100.000 ettari dell’Italia (città, strade e suolo agricolo) basterebbe solo a metà degli italiani. Oltre a questa bella idea c’è da noi l’iniziativa di trattenere in montagna la CO2 di piante marce e vecchie per compensare le emissioni di CO2 in pianura attraverso il mercato dei crediti di carbonio. La proposta di tenere quelle biomasse dove stanno intralcia l’intervento corretto indicato dalla Strategia Forestale Nazionale per rinnovare il bosco, utilizzare anche infestanti e scarti come fonte di energia rinnovabile pulita da impiegare nel circuito più breve ed evitare il loro accumulo che causa dissesti, alimenta incendi o favorisce esondazioni nei corsi d’acqua. Però contadini e boscaioli non vengono aiutati a fare il loro mestiere prezioso, anzi, siccome sono pochi non vale neanche la pena di invitarli a parlare. Sono più numerosi i possessori di boschi (coltivati o abbandonati) e conviene offrirgli il regalino rivestito come servizio ecosistemico sprecando sovvenzioni pubbliche e aggiungendo l’apparato privato che certifica l’immagine abbellita del prodotto (greenwhasing). Se si prosegue sulla strada di questa favola climatica per avere consensi, non si affronta il danno collettivo irreversibile del consumo di suolo, si evita il necessario cambiamento dei comportamenti individuali, si perdono di vista i progressi compiuti sui due versanti delle Alpi per produrre riduzioni nei consumi di energia fossile e s’ammazza impunemente la poca vita rimasta nei punti difficili dell’Appennino.
Enrico Bussi
In effetti, come leggiamo nel finale di queste righe, a chi è capitato di passare in questi mesi nei “punti difficili dell’Appennino” è probabilmente accaduto di scorgere un certo qual numero di accatastamenti di legna da riscaldamento, per solito ancora in tronco, frutto dell’attività di taglio ancora presente in tali luoghi, a dar lavoro e reddito a quanti la esercitano, e della quale l’inverno in corso ci ha fatto riscoprire l’importanza.
Quanto ai possessori di boschi – o che lo diventeranno perché tra i loro eventuali terreni ci sono incolti via via destinati a divenir bosco – potrebbero forse gradire innanzitutto, ma qui sto esprimendo una semplice opinione, del tutto personale, che siano raggiungibili dai mezzi agricoli per asportare il “tagliato”, mentre le strade campestri sono talvolta mal percorribili, e non sempre catalogabili ai fini della relativa manutenzione.
Trovo poi ragionevole l’idea che l’intera biomassa ricavabile dal taglio periodico del bosco, ivi compreso dunque il cosiddetto “scarto”, possa essere incluso quanto più possibile nel ciclo della energia rinnovabile, e circa la CO2 da sottrarre all’atmosfera continuo a pensare che il rinnovo del bosco, ossia la crescita delle nuove piante, incameri non poco carbonio(C) dall’aria, se è vero che il legno è composto per il 50% da carbonio.
P.B. 09.02.2023
P.B.