Cominciava così: Gennaio mette ai monti la parrucca – febbraio grandi e piccoli imbacucca… e mi fermo lì, febbraio è sempre stato indicato come il mese più corto dell’anno, ma anche il più gelido.
La mamma diceva:
“Fervarin curt curt l’è pegiur d’un Turch”.
Traduco: “Febbraio corto, corto è peggiore di un Turco”.
Un proverbio che al giorno d’oggi non si può più pronunciare se qualcuno ti sente ti danno come minimo del “razzista”, perché non sanno che è stato inventato tantissimi anni fa, quando i Turchi con le loro imbarcazioni arrivavano sul tallone dell’Italia, facendo razzia di tutto ciò che trovavano, uccidendo chi si opponeva e rubando tutto ciò che trovavano, anche le donne.
Erano molto violenti, ma in compenso i Pugliesi erano molto furbi, cominciarono a costruire quelle abitazioni ora molto famose che chiamarono “Trulli”, queste abitazioni io trovo che assomigliano molto ai pagliai che in passato si trovavano vicino alle nostre case contadine.
Loro queste case le costruivano mettendo sassi su sassi incastrandoli fra loro a “secco” cioè senza calce. Così quando venivano avvistate al largo queste imbarcazioni Turche, loro in fretta potevano disfarle lasciando mucchi di “masere” sassi sparsi per terra, poi si nascondevano nella Foresta Umbra con fagotti di alimenti e i pochi animali che possedevano.
Così con la loro furbizia davano “scacco matto” a questo popolo allora molto violento e qui chiedo venia al Maresciallo De Mola per questa mia interpretazione un po’ fantasiosa, lui sul suo libro, molto interessante, “Memorie”, ha raccontato ben altre cose e di trulli ne ha anche ereditato uno, che mi permetto di mostrarvi con queste foto.
Ora le scorribande dei Turchi non esistono più, ma il proverbio che pronunciava mia madre è riuscito a sopravvivere nei secoli.
Il 2 febbraio era la famosa candelora, in chiesa c’era la benedizione delle candele, una poi la portavi a casa dicevano che proteggeva dal mal di gola accendendola e invocando San Biagio era quel periodo che la difterite “al mal dal grȇupp” faceva vittime fra i bambini e anche i grandi. Più che altro ricordo la mamma che sciorinava un altro proverbio:
“La candelora u cà piöv u cà gragnola, dell’inverno i séma fora, sa pécia al sul in tl’à candlina in t’un atre inverne a s’incamina”
Traduco: Il giorno della candelora se piove o nevischia siamo fuori dalla stagione invernale se invece quel giorno c’è il sole c’incammineremo in un altro inverno, beh… l’altro ieri era una giornata splendida, vedremo se il proverbio ci azzecca ancora!...
Sempre in passato durante questo mese, corto sì, ma anche lungo per il gelo che portava, i contadini si riparavano dal freddo, nelle stalle dove c’era il tepore emanato dagli animali, passavano i pomeriggi facendo qualche partita a briscola o a rifinire qualche lavoretto lasciato in sospeso. Per le donne poi era il tempo delle “scapinelle” e delle calze di lana di pecora, le più anziane poi filavano queste mannelle di lana con la rocca e il fuso, che girava vorticosamente fra le loro dita, poi le dita si spostavano ad assottigliare il filo che diventava lungo e ogni gugliata veniva arrotolata sul fuso, questo lavoro mi affascinava.
I bambini con le mani viola e gonfie dal freddo e le facce arrossate dall’aria gelida continuavano a far battaglie a palle di neve o a scivolare sulla neve con assi vecchie e lisce. Su e giù fin che i crampi della fame non si facevano sentire, allora correvi in casa a cercare un tozzo di pane che portavi con te in quella stalla calda, ti sedevi su un mucchio di fieno e ascoltavi quel vecchio nonno che raccontava storie molto più belle di quelle che oggi i bambini, guardano sul telefonino, quelle là le illustravi e le coloravi tu con la tua fantasia ed erano bellissime.
In casa mia poi il freddo si faceva sentire specialmente la notte in quella camera con quelle grandi finestre senza scuri, coi vetri ghiacciati che formavano ghirigori e ricami splendidi illuminati dal chiarore della luna, stavamo rannicchiati col mattone scaldato sulla stufa e portato a letto da ognuno di noi, prima scaldavamo il posto dei piedi poi piano, piano lo tiravamo su per abbracciarlo caro e caldo amico dei bambini poveri d’allora.
In febbraio anche la legna cominciava a calare allora il papà andava di nascosto nel bosco dei Bellini a tagliare un “querciolo” una piccola quercia e lo portava a casa per mandare avanti qualche giorno la stufa. Ricordo che quando tagliava l’alberello dopo si preoccupava di nascondere il moncone che restava attaccato alla radice con una zolla di terra, così nessuno se ne sarebbe accorto a meno che, proprio il mezzadro che ogni tanto faceva un giro d’ispezione, non ci si inciampasse su.
In febbraio il giorno cominciava ad allungarsi verso le sette la luce del mattino ci svegliava, iniziava la giornata anche per noi piccoli, alle otto Mario il bidello, suonava la prima campanella della scuola e noi dovevamo essere là. Alle volte per la strada c’era i ghiaccio allora nella discesa del cimitero ci mettevamo seduti sulle cartelle di “fibra” che per l’occasione si trasformavano in slittini, allora non c’erano macchine per la strada e noi trovavamo sempre il modo di unire l’utile al dilettevole.
Poi una pulita alla cartella e una scrollata ai vestiti e entravamo a scuola e lì dovevamo dividerci mio fratello era più grande, poi allora le classi erano divise in maschi e femmine.
A me piaceva ascoltare ciò che spiegava la maestra e mi sforzavo anche per avere una bella calligrafia arrotondando bene le vocali, ma non ci sono mai riuscita, il mio modo di scrivere a “zampa di gallina” è rimasto e vi dirò che a volte faccio fatica io stessa a rileggermi e quella santa donna di mia madre mi faceva coraggio in questo modo:
“Chi a gà na bela scritȇura l’è un asi adiritȇura”
Chi ha una bella scrittura è un asino addirittura, oppure:
“La bela caligrafea l’è la sciensa ed iasi”.
Cioè, la bella calligrafia è la scienza degli asini, ma io posso aggiungere un altro proverbio:
“Chi an sa méa lesre la su scritura l’è un asi adiritura”.
Chi non decifra la propria scrittura è un asino addirittura, come vedete i proverbi si contraddicevano. Febbraio passerà in fretta, arrivederci a marzo, a meno che mi venga in mente qualcos’altro
Elda Zannini