Il 27 gennaio, giorno della memoria, a Fivizzano verrà inaugurata la mostra “Storie della porta accanto. Lavoro coatto. Produzione bellica e crimini dello stabilimento Reimahg 1944-1945”, di proprietà del Comune di Castelnovo ne' Monti dove era stata allestita. La mostra sarà visitabile a Fivizzano fino al 20 febbraio.
Lo stabilimento Reimahg
Il nome Reimahg derivava dalle iniziali di Reich Marschall Herman Goering e contrassegnava le fabbriche di sua proprietà, destinate alla produzione di armi per l’aviazione. A questo triste nome è legato lo sfruttamento dei condannati ai lavori forzati stranieri nell’economia bellica nazista. Ancora oggi si trovano sotto la collina di Walpersberg e a Leubengurd, presso Kahla, le rovine della fabbrica sotterranea: circa 32 chilometri di gallerie.
Il quartier generale nazista, dal 1943, cominciò ad esigere imponenti prestazioni dall’industria degli armamenti. Nella primavera del 1944, gli alleati moltiplicarono i bombardamenti alle industrie belliche e contemporaneamente aumentarono le perdite di aerei tedeschi. I nazisti allora incrementarono la produzione di aerei con tutti i mezzi. Si tentò di sottrarre l’industria bellica agli attacchi alleati, mediante queste fabbriche sotterranee. Nel Walpersberg, vicino alla cittadina di Kahla, si trovavano miniere adatte per ospitare la produzione. Da queste, fin dal 1800, veniva estratta la sabbia quarzifera, adatta a produrre porcellana, ancora oggi un prodotto tipico di grande qualità del territorio di Kahla. I nuovi lavori vennero finanziati dalla Banca nazionale di Weimar. Ben 95 furono le aziende impegnate, che ottennero enormi guadagni risparmiando sul salario della manodopera tedesca, così come era consentito dalle leggi di Hitler. I lavori più pesanti furono eseguiti dai deportati civili e militari, che dal 1944 furono adibiti ai lavori forzati. Nel Reimahg furono impiegate dall’aprile 1944 all’11 aprile del 1945, circa 15.000 persone: uomini, donne, ragazzi provenienti da diverse nazioni europee occupate. Le fabbriche di Kahla divennero le uniche produttrici del caccia a reazione Me 262. Gli alleati ne conoscevano probabilmente l’esistenza, scoperta attraverso foto aeree, ma non risulta che ne abbiano ordinato il bombardamento. Nell’estate del 1944 fu costruito un lager con baracche per i deportati: vicino al Walpersberg uno per italiani, e un altro per lavoratori forzati russi. Erano costretti a vivere in condizioni igieniche pessime. I lavoratori dovevano recarsi alle officine alle 6, per turni di lavoro di 12 ore. Il numero più alto di prigionieri e vittime fu proprio di italiani, sottoposti dal 1944 a un trattamento particolarmente duro per punire il “tradimento” dell’8 settembre ‘43.