Tante volte vi ho raccontato di mio padre, quel papà che io amavo e adoravo, naturalmente abbondantemente ricambiata. Dai miei sei anni in su, la mamma per parecchio tempo non stava bene, presa da una grave depressione dopo la morte di mia sorella, perciò io molto spesso mi rifugiavo da lui, per qualsiasi necessità o solo per avvertire la sua presenza e sentire la sua voce.
Lui aveva avuto una vita difficile, a undici anni era andato da solo in Svizzera per lavorare, aggregandosi a un gruppo che arrivava dal di là del Secchia.
Più tardi la Grande Guerra lo aveva assorbito con migliaia di altri giovani. Tornava nel 1919 dopo quattro anni di combattimenti sul Piave e in Grecia dove a Salonicco fu insignito di medaglia d’argento al valore militare.
Neanche un anno dopo appena sposato, ripartiva con la giovane moglie a cercar fortuna in Francia “la fortuna” fu una miniera di carbone per più di tre anni che oltre a qualche palanca gli regalò la “silicosi polmonare” che lo rese asmatico per tutta la vita.
Forte come un toro non restò a piangersi a dosso, ma costruì la casa alla sua famiglia e aprì una bottega di falegnameria, finalmente la sua passione per la lavorazione del legno, aveva sfogo anche se nessuno gli aveva mai insegnato.
Cosa c’entra l’appendicite con tutto questo, direte voi, abbiate pazienza che adesso ci arrivo.
Intanto era scoppiata la Seconda Guerra, nel 1942 mio padre aveva solo 49 anni e venne richiamato sotto le armi, avrebbe dovuto presentarsi al distretto di Modena entro pochi giorni.
Adesso non so dirvi come fu o come non fu, chi lo consigliò o chi preparò tutto, posso solo raccontarvi che mio padre venne ricoverato d’urgenza e operato immediatamente d’appendicite perforante, dal prof. Marconi, un’altra delle tante cose che ha fatto l’Onorevole per aiutare il suo prossimo.
Vi dirò che restò ricoverato qualche giorno, ma la mattina dopo, io e Nilo che stavamo di vedetta sul famoso “montarotto” della crocetta, si chiamava così perché lì c’era una delle tante croci che una volta accompagnavano il viandante che saliva al Santuario della Pietra, poi segata e bruciata brutalmente da un nostro vicino di casa, appena finita la guerra, secondo lui doveva arrivare (Bafun) Baffone, cioè Stalin dalla Russia a comandare a tutti e finalmente far lavorare anche i preti. Ora sorrido ricordando certe persone così imbevute di politica da non riuscire a capire che erano appena uscite dalla padella e in quel modo sarebbero finite nella brace. Certo che poi hanno toccato e purtroppo stanno ancora toccando con mano.
Scusate la solita divagazione, bene noi due piccoli da lassù vedevamo spuntare il papà alla curva del cimitero, camminava adagio, ma col corpo eretto, veniva a controllare la famiglia e il lavoro che i figli dovevano mandare avanti durante la sua assenza, e così fu anche il giorno dopo e l’altro ancora finchè Marconi stanco di questo via-vai lo rispedì a casa con tanto di certificato da presentare ai carabinieri se l’avessero cercato, ma non ne ebbe mai bisogno, perché nel frattempo l’esercito italiano non esisteva più “il perché l’avete studiato sui libri di storia” non sarò certo io a spiegarvelo.
Tornando a mio padre, che la mattina dopo l’operazione, era arrivato a casa a piedi, si vede che poi non stava tanto male, sì il taglio glielo avevano fatto e ricucito, ma forse non gli avevano tolto niente, fu solo un grande aiuto per non ripartire, doveva pensare alla sua famiglia che avrebbe dovuto lasciare nelle mani di una moglie che non stava bene e poi lui di guerre ne aveva già avuto abbastanza della prima.
Naturalmente però non abbiamo potuto evitarla, anche se lui non si era presentato alla chiamata, era arrivato il momento di nascondersi per evitare i rastrellamenti dei tedeschi, i partigiani già ci avevano servito a dovere perciò si tenevano alla larga, anzi vi dirò che qualcuno di questi aveva il terrore d’incontrare mio padre faccia, faccia, erano quelli che avevano la “pataglia” molto sporca.
Quando noi bambini vedevamo arrivare questi soldati tedeschi, tutti inquadrati per la strada del cimitero correvamo ad avvertirlo e lui spariva non sapevamo come faceva e dove andava, ma lui non c’era più, anche i miei fratelli grandi si erano rifugiati a Sologno in casa di un amico di famiglia, perciò restavamo solo noi due piccoli e la mamma. Alle volte questi Tedeschi, venivano a comprare una cassa funebre, ma se la portavano via loro, dovevano seppellire qualche soldato caduto durante una scaramuccia.
Il papà come vi ho detto spariva, solo parecchio tempo dopo, abbiamo saputo, che lui attraversando le rive dell’Arciprete entrava nel cimitero, naturalmente sto parlando di quel luogo che allora era largo poco più di un fazzoletto, con le mura circondate da rive e mezzo nascoste da “bocchi e razze” poi si nascondeva in un loculo ancora libero in alto vicino alla cappella, vi entrava dentro coi piedi così da lassù lui vedeva senza essere visto. Vi dirò anche che mai nessuno sarebbe entrato in un cimitero per trovarvi delle persone vive, perciò non fu mai catturato e spedito in Germania grazie alla sua intelligenza e scaltrezza, poi si sa ci vuole sempre anche un pizzico di fortuna.
Forse questa scaltrezza l’aveva acquisita durante i lunghissimi anni trascorsi nelle trincee del Carso durante la prima Guerra Mondiale, anche questa un’esperienza da non dimenticare, anche se lui non voleva mai parlare di questo.
Un giorno che si stava lavando a dorso nudo, notai una grossa e profonda cicatrice sotto la spalla sinistra, vicino all’attaccatura del braccio, davanti e anche dietro, gli chiesi spiegazioni e mi rispose che l’aveva trapassato con la baionetta un Austriaco durante un assalto all’arma bianca. Io curiosa come tutti i bambini volevo sapere di più:
“Ma tu,… ti sei difeso?…”
I suoi occhi divennero tristi e scuri e si abbassò gli occhiali che si era tirato sulla fronte, per nascondere le due lacrime che erano apparse agli angoli del naso e mi rispose:
“Lȗ a né méa arturna a cà”. Lui non è tornato a casa”.
Da allora non gli ho più chiesto niente della Grande Guerra, ho capito che era una cosa che lo faceva soffrire.
Questo era mio padre decorato “Medaglia d’Argento al Valore Militare”, forse quella medaglia gli pesava più di quella trave che stava spostando per piallarla.
La foto che vedete l’ha fatta per accontentare i nipoti all’età di 83 anni, non per mettersi in mostra e spero che da lassù mi perdonerà.
Elda Zannini