Il tema centrale della prima lettura è il servo di Dio; dapprima Isaia lo individua nell’intero popolo d’Israele, ma poi si rivolge a una persona specifica, chiamata a dare compimento alla promessa di salvezza del Signore. Egli, secondo il profeta, deve rispondere a tre compiti principali: riportare all’unità le tribù d’Israele, essere il mediatore della salvezza di Dio, manifestare la gloria di Dio sulla terra.
Nella seconda lettura l’apostolo Paolo descrive una delle conseguenze della salvezza di Dio: la vocazione alla santità. L’apostolo definisce infatti i suoi lettori «santi per chiamata», perché tramite il sacrificio di Cristo sono stati tutti chiamati a testimoniare la propria fede con una vita santa; anche noi, in quanto cristiani, abbiamo la stessa missione.
Il vangelo è invece collegato al brano del battesimo di Gesù che abbiamo meditato domenica scorsa. Si parla ancora di Gesù e di Giovanni Battista, eppure questa volta l’evangelista Giovanni non ci descrive l’evento del battesimo (che resta implicito sullo sfondo), ma vuole fornirne un’interpretazione. Gesù stesso, che pure compare già all’inizio del brano, non pronuncerà una sola parola; è Giovanni Battista che parla, dando la sua testimonianza.
Il brano si apre con una delle più celebri frasi di Giovanni: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!». Essa rimanda a due distinte citazioni dell’antico testamento: la prima tratta da Es 12, capitolo che descrive il sacrificio degli agnelli compiuto da Israele durante la prima Pasqua; la seconda tratta dal quarto canto del servo di Dio di Isaia (Is 53, 7), dove il profeta descrive il destino di sacrificio del Messia. Con questi riferimenti l’evangelista vuole spiegarci l’identità di Gesù: egli è Dio stesso che si è offerto in sacrificio per purificare il mondo. Si noti che il Battista non dice “i peccati del mondo”, ma “il peccato”, intendendo con la forma singolare quella forza malvagia che impedisce agli uomini di raggiungere la piena conoscenza di Dio; Cristo è venuto a liberare la strada dal peccato per permettere all’uomo di camminare nel suo nome verso la salvezza.
Nel vangelo di Giovanni vi sono molti accostamenti tra Gesù e l’agnello. Ad esempio, Gesù viene condannato a morte a mezzogiorno della Parasceve, nello stesso momento in cui a poca distanza si sacrificavano gli agnelli durante la Pasqua ebraica (cfr. Gv 19, 14); inoltre il ramo d’issopo su cui viene fissata la spugna imbevuta d’aceto per dissetare Gesù sulla croce (cfr. Gv 19, 29) richiama i mazzi d’issopo che gli Ebrei avevano intinto nel sangue degli agnelli per marcare le porte delle proprie case prima di uscire dall’Egitto (Es 12, 22). L’intero vangelo di Giovanni è composto in modo da evidenziare il senso teologico della missione salvifica di Cristo.
Dando testimonianza a Gesù, il Battista continua affermando di avere visto «lo Spirito discendere come una colomba e rimanere su di lui». L’immagine della colomba era già presente nei sinottici al momento del battesimo di Gesù, ma è proprio di Giovanni specificare che lo Spirito “rimane” con lui. Con ciò Giovanni esprime l'idea che in Gesù dimori la pienezza dello Spirito di Dio e che chi crede in lui sia così santificato. In un certo senso, Gesù è il nido della colomba dello Spirito Santo, la casa che accoglie tutti i figli di Dio.
Il Battista termina affermando che Gesù «è il Figlio di Dio». Nella cultura ebraica l’espressione “essere figlio” non intende solo una relazione biologica, ma anche una somiglianza tra “figlio” e “padre” nelle azioni. Gesù somiglia a Dio, in lui vediamo la vera immagine del Padre (cfr. Gv 14, 9). Il Battista si fa testimone di questa relazione e della missione di Gesù; in questo senso è un modello anche per noi oggi, chiamati come lui a dare testimonianza della nostra fede nel Cristo.
Buona domenica
Don Paul