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A Marmoreto arriva il Gambero Rosso della gastronomia

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Arriva fino a Marmoreto, piccolo paese sulle sponde del fiume Secchia, il Gambero Rosso della gastronomia. 

Nei giorni scorsi Stefania Lombardi, titolare della Locanda Piera, a Marmoreto di Busana, ha ricevuto la conferma della presenza del suo locale all’interno del “Ristoranti d’Italia 2023 del Gambero Rosso”, (la 33esima edizione di una delle principali e più solide pubblicazioni del settore culinario a livello nazionale).

In realtà, per Stefania si tratta del rinnovo di un attestato assegnatole per la prima volta nel 2016. Questo, è stato da allora sempre mantenuto, senza mai interruzioni, a conferma della qualità costante e permanente della Locanda, valutata e recensita da critici della redazione.

Stefania complimenti per la vincita del premio: come ti sei sentita dopo aver appreso la conferma della presenza del tuo locale all’interno della guida “Ristoranti d’Italia 2023 del Gambero Rosso”?

È stata per me una grossa emozione, proprio come è accaduto nel 2016. La prima volta non credevo ai miei occhi: ricevere questo riconoscimento mi rende orgogliosa sempre e ancor di più del mio lavoro. Mi gratifica, soprattutto per l’impegno che quotidianamente metto per garantire un servizio ai miei clienti nuovi e “vecchi”, come l’ho sempre desiderato. Questa conferma mi incentiva a curare, ricercare e migliorare sempre di più quello che è il mio lavoro, la mia passione e una bella parte del “mio mondo”.

Spiegaci come si partecipa...

In realtà non si decide di partecipare, per il gestore accade un po' a “caso”. Mi spiego: ho ricevuto visita da un cliente che poi, sono venuta  sapere in seguito, era un critico inviato apposta dalla redazione del Gambero Rosso per recensire il locale. In modo anonimo e irriconoscibile ha pranzato alla Locanda e ha successivamente recensito piatti e servizio. E’ tornato addirittura più volte. Io non mi sono accorta di nulla, fino all’arrivo dell’attestato sulla guida.

A dire il vero, per te si tratta di un rinnovo dell’attestato assegnatovi per la prima volta nel 2016 e da allora sempre mantenuto. In questi anni hai apportato qualche modifica alla Locanda in termini di struttura, o modifiche culinarie? 

Io da sempre vedo nell’anima della cucina in genere, la ricerca e il continuo cambiamento. Dopo l’attestato ho conosciuto molte tecniche e strumenti, come il pacojet: macchina che lavora sottovuoto a basse temperature. Questa, così come altre novità, ho pensato di unirle alla tradizione: dando vita ad una nuova elaborazione dei miei piatti. Dal punto di vista strutturale ho reso la Locanda molto più affascinante: luci soffuse e lampade che creano l'atmosfera per le cene dei miei clienti, tovaglie di lino scelte in un negozio a Monza e piatti unici pensati con cura. Mantenendo costante il filo della semplicità e dell’autenticità, cardini da sempre della mia vita e del mio lavoro.

Raccontaci qualcosa di te e del tuo lavoro, che è poi diventata una passione.

La Locanda prima apparteneva ad una signora, che alla fine degli anni ‘90 decise di chiudere. Mia mamma Piera era una cuoca molto brava, che aveva lavorato in molti ristoranti tra Castelnovo Monti e Cerreto Laghi. Aveva come sogno quello di rimanere a Marmoreto, terra che le ricordava il suo borgo natio, e chiese a noi figli di comprare quella trattoria e di farne il suo, che poi sarebbe diventato il nostro ristorante. Da quel momento è partito tutto: ristrutturazione, investimenti, studi, sacrifici ma anche tante soddisfazioni. Ho iniziato a lavorare dentro la Locanda come cameriera, lavapiatti, insomma una tuttofare, perché ritengo che gestire un ristorante voglia dire curarlo e conoscerlo in tutti i suoi aspetti. La mia vita circa la mia carriera professionale ha fatto un salto in avanti quando, un giorno, mia madre non poté presentarsi al lavoro per motivi di salute. Mi sono ritrovata il locale con 200 commensali, senza la cuoca, senza il cardine di tutto. Mi sono rimboccata le maniche e alla fine ho accontentato tutti quanti. Ma in cuor mio ho capito che era giunto il momento di fare una scuola che mi potesse dare le basi per la ristorazione. Sono infatti convinta che per fare un buon lavoro servano necessariamente buone basi concrete da cui partire. 

In passato hai quindi concentrato i tuoi studi alla scuola di cucina Alma, ma quando hai deciso di intraprendere questo percorso, avresti mai pensato  di raggiungere questi traguardi importanti? 

La mia gioia più grande è vedere i miei clienti soddisfatti: persone che tornano, apprezzano, criticano positivamente. Tutti loro mi rendono grata e mi confermano dopo anni che ho fatto la scelta migliore per me e per la mia Locanda, nonostante in passato abbia incontrato ostacoli verso la mia scelta di intraprendere un percorso di studi nella ristorazione. Questo ristorante è gran parte della mia felicità, dopo mia figlia e altri aspetti differenti della mia vita: tutto questo esiste e c’è, anche grazie alle scelte del passato. Forse maturate da consapevolezze insite dentro di me di renderlo un luogo dove la tradizione e il ritorno al passato ne sono e saranno sempre, il cuore pulsante.

Stefania, gli ultimi anni sono stati difficili soprattutto per il tuo settore, dopo il lockdown: ti senti gratificata dal tuo lavoro e dalla scelta che per molti può sembrare ardua, di portare avanti un locale in una zona dell’Appennino non da tutti conosciuta?

Le difficoltà nel nostro territorio sono tante e alla luce di tutti: si fatica molto a lavorare in questi piccoli paesi. Io però sono fortemente convinta che trovare il proprio “posto”, qualcosa di estremamente personale, un luogo del cuore, dove c’è un’anima, metta completamente in ombra tutti gli aspetti negativi che si possono anche solo pensare. Soprattutto in seguito al periodo del lockdown, che riconosco essere stato un momento molto duro soprattutto per chi si è trovato a dover pagare affitti ecc, io sono sempre più convinta che avere cura per la propria passione, sia l’unico modo per potersi ritenere soddisfatti dei propri sacrifici e delle scommesse che ogni gestore fa su di sé e sul proprio locale. Io vedo il luogo della ristorazione come qualcosa di intimo, un posto in cui entri e senti un calore ed un ambiente differenti rispetto alle grandi distribuzioni, ai locali con infiniti posti a sedere. In quelli ci sarà sicuramente un’ottima qualità del cibo, ma vedo perdersi quell’intimità che io voglio mantenere nel mio locale: quel “diverso”, ma “puro”, caratteristiche del nostro Appennino, caratteristiche dei luoghi di casa mia.

 

5 COMMENTS

  1. Complimenti per il riconoscimento ricevuto, ma al di là di questa circostanza va comunque apprezzata la decisione di rimanere a vivere e lavorare nei propri luoghi, dando altresì continuità alle nostre tradizioni, nella fattispecie culinarie, delle quali si nutre la nostra identità.

    P.B. 12.01.2023

    P.B.

    • Firma - P.B.