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Curare le radici per salvare l’Appennino reggiano

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La popolazione che in maggioranza vive nei centri urbani ignora il suo retroterra. Si sono ingrossati i centri attorno a servizi pubblici e privati, commercio e credito, si stanno esaurendo i collegamenti personali con i luoghi di origine nelle periferie montanare, queste sono la realtà più estesa ma la scuola se ne dimentica e i borghi rurali attendono dal Comune un intervento organico. Nello stesso tempo aumenta la mobilità verso i centri di pianura per motivi di studio, lavoro, accesso a servizi sovra-comunali, la città diventa l’unica attrazione e rende inesorabile lo spopolamento montanaro anche nei centri moltiplicando Vendesi, Affittasi.

La popolazione che in piccola minoranza vive in periferia produce e permette l’esistenza dei centri. Il settore primario fornisce a questa montagna il sistema produttivo più importante con agricoltura e trasformazione alimentare, con le cure alla foresta nell’alto Appennino e la fornitura di energia rinnovabile. Però mancano del tutto le politiche locali dedicate alle famiglie del settore rimaste in condizioni di isolamento. I Comuni e la loro Unione non rilevano gli addetti alle attività agroforestali e a quelle artigianali connesse, non misurano il nuovo valore creato e riversato sul territorio, non promuovono alcun servizio pubblico per sostenere un lavoro faticoso, non imparano ciò che fanno le istituzioni pubbliche nelle montagne europee da molto tempo per sostenere una minoranza preziosa. Siamo nell’UE però il nostro ceto medio non conosce e non considera le soluzioni alla base della capacità di tenuta delle montagne austriache, bavaresi, (svizzere), francesi, ecc.

La situazione è peggiorata dopo la scelta di abolire la Comunità montana e di mutilare la Provincia. La montagna è stata penalizzata poiché le competenze per il territorio e per il settore primario ora mancano sia all’Unione montana, sia alla Provincia che inoltre ha perduto l’elezione diretta degli amministratori. La Regione sempre più lontana appesantisce l’orditura delle norme, dei controlli e degli apparati privati fatti crescere sulle spalle degli utenti. Lo Stato diventa meno raggiungibile dopo la riduzione dei parlamentari.

La responsabilità delle riforme sbagliate si aggiunge a quella della crescita burocratica. Nel nord l’Emilia-Romagna si difende, ma la disfunzione regionale si è dimostrata nella Sanità con la pandemia e nel settore primario con allungamento dei tempi per gli interventi del Piano europeo per lo Sviluppo Rurale, assenza di connessione dei due tipi di aiuto europeo verso superfici coltivate e investimenti aziendali, aumento della complessità dell’intervento pubblico sul territorio con uffici centrali separati verso agricoltura-alberi-animali-alimenti-ambiente-accoglienza, affidamento di tante pratiche ai centri privati di assistenza.

La mancata attenzione verso la campagna deriva da una società arretrata a causa della nostra storia. Questa caratteristica tutta italiana risale ai poteri aristocratici sulla terra stabiliti nell’impero romano, consolidati dal regime feudale, proseguiti in Emilia dal 1800 col passaggio della proprietà della terra alla borghesia che la conduce con mezzadri o terziarini. Nel 1900 la riforma scolastica di epoca fascista proietta la superiorità della cultura astratta su quella pratica e le mancate riforme del dopoguerra privilegiano la popolazione urbana che concede al lavoro agricolo un compenso dieci volte inferiore rispetto alla mezzadria. Prima la schiavitù e la condizione servile sottomettono il 95% di popolazione legata alla terra, poi nella nostra provincia il potere borghese sulla terra subentra all’aristocrazia. Con la democrazia si sviluppa la rivoluzione urbano-industriale e il 95% di popolazione cittadina monopolizza la pubblica amministrazione, i consumi e il residuo popolo contadino rimane l’unico in Europa privo di un potere pubblico sull’uso della terra che da noi eredita un elevato frazionamento fino a quota 900 metri e subisce due imposizioni concepite in area urbana.

La nuova forma di gravame è l’ambientalismo che in Italia cala dall’alto e distorce. La cittadinanza non frena i suoi consumi nella scelta dei tipi di case, auto, abiti, ecc. ma pensa di affrontare il consumismo inventandosi competenze per imporre scelte a chi vive in campagna e la cura coltivandola. Per esempio, il cittadino gioca a diffondere il lupo sul territorio, provoca la fine dell’allevamento al pascolo e ne pretende l’introduzione mirando a biodiversità vegetale e benessere animale. Parla di paesaggio e ignora il paesano, non ritiene fondamentale e insostituibile la presenza di chi ha imparato a vivere con l’uso e la cura delle risorse naturali. Ruolo riconosciuto nel mondo, ignorato qui dalla scuola in su e nell’ordinamento.

La lotta al cambiamento climatico col mercato dei crediti di carbonio intralciando le attività forestali. Le ricerche dal 2000 con satelliti in atmosfera escludono colpe attribuite alla CO2, ma da noi si offre un premio alla proprietà se non recupera energia dai boschi per vendere crediti di carbonio all’industria di pianura. Si alimentano apparati esterni per emettere certificati che diventano “licenze a inquinare” come prima, mentre in montagna si penalizza l’azienda che tenta di resistere sostituendo le fonti fossili. Infatti, non viene imitato l’esempio piemontese dell’associazione fondiaria che supera il frazionamento del medio Appennino in modo da pulire i boschi abbandonati, favorire la crescita dell’albero, avere energia pulita e ridurre il caro bollette.

E. B.

4 COMMENTS

  1. In questa disanima vi sono concetti che trovo ampiamente condivisibili, mentre altri non altrettanto, perlomeno da come io li ho intesi, ma ritengo comunque apprezzabile l’impianto generale se, stando almeno a quanto vi intravedo, punta innanzitutto a valorizzare le attività tradizionali della nostra montagna, e lo deduco da parole quali il ritenere “insostituibile la presenza di chi ha imparato a vivere con l’uso e la cura delle risorse naturali”, vedi ad es. il periodico taglio dei boschi (se non ho equivocato l’ultima parte del testo).

    Il confronto con le montagne austriache, bavaresi …., mi sembra tuttavia – e mi verrebbe da dire purtroppo – impraticabile o quasi, perché colà sono riusciti, da quanto mi è dato sapere, a mettere in pratica un modello polivalente o polifunzionale, dove le attività tradizionali convivono con quelle più moderne o innovative, ed è forse da tale connubio che ne è uscita facilitata la tenuta socioeconomica di quei luoghi, diversamente da noi, dove si è riusciti poco o niente a conservare il “passato” e le sue radici, su cui innestare dipoi le “modernità”.

    P.B. 04.01.2023

    P.B.

    • Firma - P.B.
  2. Un passaggio non mi è chiaro, quello che dice “Le ricerche dal 2000 con satelliti in atmosfera escludono colpe attribuite alla CO2” esattamente l’autore cosa intende? Che il riscaldamento globale non esite, che ha cause non antropiche oppure qualcosa di diverso?
    Contesto invece la frase “il cittadino gioca a diffondere il lupo sul territorio”.
    NESSUNO lo ha mai diffuso il lupo, è tornato perchè lo spopolamento delle aree rurali ha favorito il ritorno delle prede e dei predatori e perchè non gli si spara più (o almeno non si potrebbe).
    Se devo giudicare tutto lo scritto sulla base di questi due punti … beh i miei complimenti non arrivano di sicuro.

    AG

    • Firma - AG
  3. Indipendentemente dal come i lupi si sono insediati nel nostro territorio, a me pare che chi non vi risiede avverta abbastanza poco il problema delle loro predazioni nei confronti del bestiame al pascolo, mentre è semmai capitato di sentir proteste per il comportamento dei cani da guardiania, a custodia delle greggi, e non mi sembra pertanto fuori luogo l’accenno al lupo fatto da E.B.

    P.B. 05.01.2023

    P.B.

    • Firma - P.B.