Home Cronaca La lettera: “In montagna è il momento di fare un unico Comune”

La lettera: “In montagna è il momento di fare un unico Comune”

3464
13

Siamo alla vigilia dell’approvazione della finanziaria e le spinte corporativistiche e dei portatori di interessi in genere hanno cominciato il lavoro di pressione e di richieste, da presentare nella programmazione dell’importante documento economico/finanziario/sociale/previdenziale.

Una voce, anzi un coro, diffuso su tutto il territorio nazionale dal Brennero a Lampedusa è la richiesta dei primi cittadini per la triste situazione delle casse vuote di quasi tutti i comuni dello stivale. Eppure di soldi dai loro elettori, cittadini, paesani e tante volte anche dai turisti (es. tasse di soggiorno), ne incassano e tanti: Imu, pubblicità, plateatici, multe (addizionali comunali, velocità, divieti vari, aria fritta etc.), ma queste non bastano mai.

Sono circa 8.500 Comuni con popolazione tante volte inferiore a 500/1000 abitanti che sicuramente avevano una loro ragione di esistere. Dico “avevano ragione di esistere” perché queste realtà, ancorché importanti, non hanno più motivo di essere supportate strutturalmente, economicamente e politicamente. Non me ne vogliano i lettori più anziani e gli abitanti dei territori montani, ma francamente queste strutture sono vecchie, autoreferenti e diffusori di convinzioni assolutamente superate. Il più delle volte sono i piccoli cloni delle realtà amministrative più grandi: provincie, regioni e nazione.

Le necessità del territorio e della loro rappresentanza non passano obbligatoriamente dal mantenimento dei comuni di così ridotte dimensioni. La permanenza su territori difficili da curare, da salvaguardare da sostenere per la cultura, l’arte, il paesaggio, gli anziani e le categorie più fragili, non passano obbligatoriamente da queste microburocrazie (a volte con meno abitanti di un condominio) che, per il loro mantenimento drenano e consumano importanti risorse che peraltro vengono tolte proprio per il mantenimento di questi valori.

In pratica e abbastanza spesso e diffusamente, le risorse destinate a queste piccolissime comunità servono solo al loro stesso mantenimento o poco più. Comuni con 1.000 o 2.000 o 4.000 abitanti, e sono tanti, quando hanno speso le poche risorse per il mantenimento degli uffici per costosa burocrazia, della manutenzione degli uffici etc. come fanno a sostenere che la loro sopravvivenza è indispensabile al mantenimento della rappresentanza sociale e della loro indispensabile presenza sul territorio. Forse che in questi anni hanno realmente svolto questa funzione?

Sono sotto gli occhi e alla sensibilità di tutti gli scarsissimi o inesistenti risultati di questa capillare presenza e di queste amministrazioni, Unioni dei Comuni comprese. Gli abitanti del nostro Appennino (dove per la verità alcuni comuni si sono accorpati) possono dire che questa costosa, quanto ininfluente presenza ha veramente svolto con efficienza questa funzione? Quali i risultati concreti? Possono i montanari e gli abitanti delle zone “disagiate” dire che gli sforzi, più promozionali che di sostanza, hanno dato i frutti corrispondenti agli investimenti effettuati? Ma le spese correnti, che spesso rappresentano il 90% dei costi, possono essere considerati investimenti? E intanto il debito pubblico aumenta.

Certo, i piccoli comuni non possono essere considerati i soli responsabili della spesa corrente, ci sono altri centri di costo e di burocrazia, che gravano sulle spalle della collettività. Ci sono ad esempio pensionati al minimo (circa 550 euro al mese) e giovani, che con il reddito di cittadinanza, senza lavorare, incassano di più. Fra le migliaia di emendamenti presentati alla manovra finanziaria prevista in approvazione entro il 31 dicembre una voce più sonora delle altre è quella dell’Anci (Associazione nazionale Comuni Italiani) che lamenta la scarsità di risorse destinate alle pubbliche amministrazioni.

È su queste voci, su queste insistenze, su queste forzature che vorrei esprimere tutte le mie perplessità, dubbi e contrarietà nonché valutazioni di opportunità. Il sistema Italia è indebitato fino all’incredibile: decenni e decenni di spese spesso superflue, inutili, elettorali, improduttive, clientelari, incapaci di produrre nuove ricchezze con queste amministrazioni che non sanno utilizzare in modo dignitoso.

Peraltro nel tempo, gli amministratori di nuova nomina danno la responsabilità di queste situazioni alle precedenti amministrazioni senza considerare che il più delle volte le amministrazioni succedano a loro stesse. Per decenni. Riescono a contrabbandare il vecchio come se fosse il nuovo. Nel nostro Appennino la classe politica è la stessa (salvo pochi casi) da 70 anni. Ci scommetterei che alle prossime elezioni amministrative si presenteranno gli stessi amministratori che hanno amministrato per lunghi periodi come se fossero i nuovi, magari si presenteranno come i picconatori del vecchio.

Leggevo ad esempio dell’assessore all’agricoltura della Regione Emilia Romagna che dichiarava risolutamente “I progetti della diga di Vetto hanno la priorità, siamo in ritardo” e ripropone i progetti: micro invasi, poco più che delle pozzanghere. E in caso di siccità, una volta vuotati con cosa li riempiono? Ancora ai progetti? Ma per piacere. Queste “nuove generazioni” nate nel brodo delle sezioni dei vecchi partiti si presentano come nuove! Risparmino le chiacchere e riflettano sulle loro responsabilità. Risparmino le promesse, smettano di inaugurare i progetti e comincino ad inaugurare le opere. Oppure tacciano e almeno accorpino tutti i comuni del nostro Appennino in un unico Comune, compresa l’Unione dei Comuni, il Gal… e imparino il significato della parola risparmiare. Se vogliono sperperare dei soldi, usino dei loro.

C.V.

13 COMMENTS

  1. Certo complimenti a C.V. moderno Tafazi (se abita in appennino), ci stanno togliendo piano piano tutti i servizi, e secondo lei bisogna eliminare tutti i comuni montani?
    Sa come si risolverebbe il problema dell’italia ?
    Facendo pagare le tasse a tutti e non solamente farle pagare a una parte della popolazione.
    Ogni anno si stima che ci siano circa 100 miliardi (dati dal 2015 al 2019) di euro di tasse non pagate (sono piu’ di due finanziarie) altro che piccoli comuni.
    Saluti.

    • Firma - Lollo
    • Buonasera, colgo con grande affetto il senso di frustrazione del Sig. Lorenzo. Voglio molto bene al nostro Appennino e al mio comune di nascita e ho il senso di appartenenza a questa comunità, ma purtroppo vedo, anno dopo anno, anche dalle pagine di questo giornale, più necrologi che battesimi. Le realtà territoriali riescono a sopravvivere solo se riescono a raggiungere un numero di cittadini che sia vicino ai 40.000/45.000 soggetti. Nessun comune montano raggiunge singolarmente questi numeri. Sono stanco di sentirmi dire: “ma cosa volete voi montanari che siete solo 4 gatti per ogni comune”. Per mantenere i servizi pubblici come ospedale, poste vigili del fuoco, forze dell’ordine camera di commercio, inps etc. etc, dobbiamo fare massa, rete, vicinanza e risparmio assieme. Un comune che rappresenti un terzo del territorio provinciale e con 40/50.000 abitanti circa avrebbe un peso e un’organizzazione ben più significativo. Adesso come adesso, presi singolarmente gli attuali municipi sono destinati a regredire in modo inarrestabile. Uniamo i comuni, rivendichiamo la nostra identità unendoci e non dividendoci. Prima che tolgano tutto.Cordialità e Auguri di Buone Feste.

      • Firma - Conte da Palude
  2. Sono d’accordo sul ridurre le spese e quindi anche sugli accorpamenti dei comuni.
    Quindi non sono io il soggetto da convincere,ma quelle migliaia di persone che credono che “piccolo è bello”.
    Penso che questo scritto,,anche se giusto, non avrà seguito.
    AD MAJORA.

    • Firma - Canedoli Otello
  3. Sulla collettività non gravano i costi della gestrione ma l’ abbandono del territorio e l’ incuria dell’ ambiente. La montagna rimane con quei pochi abitanti che dignitosamente hanno deciso di viverci investendo con sforzi giornalieri. La gestione accorpata, vedi fusione dei quattro comuni, ha fatto soltanto danni. Ormai sono strielle dette e ridette da anni, ma sempre vere e reali: abbandonare la montagna vuol dire creare dissesto e quindi costi enormi a carico della collettività, frane alluvioni, dissesti…. I piccoli centri degli ex comuni, anche con la presenza dei municipi erano molto più movimentati di ora, banche che chiudono, uffici postali ridotti ai minimi terminiplessi scolastici a rischio chiusura e quei pochi giovani che, se non vogliono morire di fame devono programmare il loro futuro altrove. Piccolo esempio, le strade dei paesi montani sono state devastate da scavi per l’ inserimento della fibra ottica, cavi aerei (neri) sono stati posati ed ancorati alle abitazioni, senza neanche chiedere il permesso ai proprietari, tutto nell’ ottica di favorire la telematica ed il lavoro a distanza. Da poco in alcune località, non so se in tutte, si può fare l’ allacciamento alla fibra ottica, sempre devastando e tagliando strade, peccato che, sino a dieci giorni fa il servizio era disponibile soltanto per i privati, nessun gestrore faceva contratti per le ditte. Questa è la realtà della montagna. Non parliamo poi della gestione della sanità collegata all’ ospedale di C. Monti, dove anche qui ormai tutto dirottato a Reggio Emilia………
    Ripeto le scelte scellerate di denigrare e non appoggiare le attività storiche della montagna, agricoltura ed artigianato, hanno prodotto questa meravigliosa situazione, non più recuperabile.
    Sono curioso di sapere se qualche politico dei palazzi del potere, eletto con i voti della montagna, proporrà altre fusioni.
    Buone Feste a tutti

    • Firma - fabio
  4. Bellissima lettera; mi sembra di capire che le conclusioni finali di accorpare i Comuni montani siano frutto della disperazione per come sono ridotti questi paesi; pur condividendo che ci dovrebbe essere un limite al numero degli abitanti di un Comune, sotto il quale un Comune non può esistere. Ma logica vorrebbe che venissero individuati coloro che hanno portato i Comuni montani del nostro Appennino a questo spopolamento, quelli che il sottoscritto, e altri, definiamo gli “Attila” della montagna, coloro che si sono sempre opposti alla realizzazione di infrastrutture che avrebbero garantito la permanenza dei montanari sui loro paesi, costoro sono i veri colpevoli dell’abbandono e del dissesto idrogeologico dei paesi dell’Appennino. I giovani montanari dovevano andare a lavorare a valle e alla sera non dovevano avere la possibilità di tornare al proprio paese montano in tempi accettabili. Mentre a Valle è stato fatto di tutto e di più e si continua a fare strade, ferrovie, circonvallazioni, tangenziali, ponti anche inutili, fiumi che vanno in salita e tanto altro, mentre sui paesi montani, specie in alta Val d’Enza, si circola ancora sulle strade del dopoguerra e sui “guadi”, vedi Gazzolo-Vetto. Purtroppo, come accenna lo scrittore della lettera, tanti amministratori ad ogni tornata elettorale propongono “Progetti” per avere un consenso elettorale, ben sapendo che resteranno tali; il record di queste promesse credo lo abbia proprio la Diga di Vetto, sono 159 anni che si parla di progetti, ma la telenovela continua, ora non si parla di adeguare il progetto approvato, appaltato e iniziato alle nuove normative del 2014, che starebbe a significare l’intenzione di ripartire con i lavori, ma si parla di ripartire da uno studio di fattibilità, da 159 anni fa. Ma questo fa credere alla gente che si sta lavorando per fare la Diga, e in tanti ci credono e dicono che bravi; poveri noi.
    Lino Franzini Presidente della Municipalità di Ramiseto

    • Firma - Franzini Lino
  5. Se questo C.V. è lo stesso del secondo commento al recente articolo “Carlo Boni: Non si smantella il Ssn per mettere in equilibrio i costi dello Stato” – commento dove si richiama opportunamente i trascorsi di INAM (Istituto Nazionale Assistenza Malattie), che vide la luce nel gennaio 1943 – mi permetto anch’io un tuffo nel passato, per andare agli anni del secondo dopoguerra, e nei mie ricordi di adolescente, qual’ero all’epoca, c’è una nutrita presenza di dipendenti comunali.

    Allora, causa la giovane età, nulla sapevo circa bilanci e questioni amministrative, ma in seguito ebbi ad imparare che ai tempi i conti pubblici erano “in pari”, come si usa dire, e resta pertanto da capire come quella condizione di sostanziale “equilibrio”, tra entrate ed uscite, sia poi venuta meno, tanto che oggi le risorse a disposizione degli Enti locali sono quasi sempre insufficienti rispetto alle spese da doversi sostenere (ancorché il personale dipendente sembri essere in continuo calo numerico).

    Nel frattempo è indubbiamente cambiata la mole dei servizi erogati, ma il confronto tra i giorni nostri e quel passato può indurci legittimamente a domandare se non c’era maniera di fermarsi a “metà strada”, in modo da non arrivare alle “casse vuote di quasi tutti i Comuni dello Stivale”, come qui scrive C.V., mentre i tanti soldi incassati sembrano non bastare mai, e da questa “ricostruzione” degli eventi potrebbe dedursi che le trasformazioni via via succedutesi non hanno dato alla fine i risultati attesi (anzi !).

    Ancora, e sempre volgendoci all’indietro, presso i Comuni funzionava l’ECA (Ente Comunale Assistenza), risalente al 1937, che per quanto ne so restò attivo nell’arco di diversi decenni, prima di venir definitivamente sciolto, salvo che oggi circolano ipotesi di riaffidare ai Comuni il conferimento di determinate “sussistenze”, quale istituzione più vicina al territorio, del quale conosce i reali bisogni (e che, guarda caso, disponeva già dello strumento adatto alla bisogna, cioè l’ECA, cui si dovrà casomai ritornare).

    Del resto i Comuni sono storia viva del Belpaese, e a livello comunale si è sostanziata la nostra identità, il nostro senso civico, e si sono perpetuate usanze e tradizioni, e ci andrei piano, e con molta prudenza, a modificare detta architettura istituzionale, anche tramite fusioni ed accorpamenti, e anche perché molte delle trasformazioni intervenute negli anni non paiono aver avuto grande riuscita, vedi quella riguardante le Province, e l’eliminazione della Comunità Montana (per stare nei paraggi di casa nostra).

    Quest’ultima, infatti, pur conservandosi le singole individualità comunali del nostro comprensorio – su i cui banchi consiliari si sono formate generazioni di amministratori – poteva nondimeno aggregarne taluni compiti, così da ottimizzarne i costi, e se può essere semmai vero che “il più delle volte le amministrazioni succedano a loro stesse”, facendo apparire “il vecchio come se fosse il nuovo”, temo pur tuttavia il ripetersi del “buttare il bambino con l’acqua sporca”, com’è già successo altre volte.

    P.B. 21.12.2022

    • Firma - P.B.
  6. Una volta che tutti i comuni montani saranno accorpati non sarà abbastanza allora si continuerà a fondere e a fondere e a fondere finché ci sarà il super maga comune mondiale. Comodissimo a portata di clic gestito da IA

    • Firma - Giovanni T.
  7. gia con la perdita dei comuni del crinale si è fatto un danno enorme, ce la hanno saputa raccontare bene, e i risultati sono stati un peggioramento generale soprattutto per la zona di ligonchio, certo che i bei discorsi facili li fa proprio chi non vive certe situazioni.

    • Firma - anonimo
  8. Giunti al punto in cui siamo basta avere pazienza una ventina di anni e nel nostro territorio avremo una popolazione ridotta di un terzo. Tutte le relative conseguenze le lascio trarre a voi. Gli abbandoni dei territori hanno vecchie radici e col tempo si sono create situazioni difficili da recuperare. Tornano a vivere qui i pensionati ma i giovani vanno via come sempre. Avremo dei comuni a rappresentare una popolazione con numeri che troviamo in una sola strada di cittá e come potranno questo enti avere dei bilanci in grado di mantenere dei servizi decenti ? Non mi piace essere pessimista ma mi chiedo spesso quale futuro c’è per i nostri territori ?

    • Firma - Antonio. D. Manini
  9. Mi vedo costretto di fronte a tanto pessimismo a dire ” prudentemente ( ma non troppo ) ” la mia.
    Non sono assolutamente d’ accordo con quanto ha scritto in questo troppo lungo articolo PV ( forse Pavia ? ).
    Le corrette motivazioni del mio e di tanti altri in disaccordo sono già state scritte negli altri commenti già pubblicati.
    Non credo davvero che il ns appennino non abbia futuro, di certo la situazione è complicata, ma voglio credere che si possa fare e fare bene
    Ovviamente occorre ” rimboccarsi le maniche” lavorare tanto, ma proprio tanto per cogliere le opportunità che sono concrete.
    Abbiamo assistito negli ultimi 3 anni quelli del Covid ad un aumento esponenziale di presenze nel ns appennino, dobbiamo essere così bravi da massimizzarle, dobbiamo fare si che chi viene da noi in appennino si trovi così bene che voglia ritornarci ed addirittura fissare una seconda residenza.
    I cambiamenti climatici di cui siamo purtroppo spettatori rendono e renderanno ( temo ) sempre meno vivibile la ns pianura.
    Noi in appennino abbiamo ancora fortunatamente un ambiente eccellente per vivere ed i giovani sempre di più iniziano a capire che è meglio crescere i propri figli un questi luoghi piuttosto che in pianura.
    Quindi forza e coraggio il ns appennino per chi ha voglia di mettersi in gioco offre possibilità.
    Sono sicuro e ci credo profondamente e come me tante persone per esempio a Ligonchio e dove sono nato e negli altri ns splendidi paesi dell’ appennino.
    Basta piangersi addosso e sputare addosso alla politica, serve la collaborazione di tutti per cambiare, ma se facciamo rete su può fare !!
    Vittorio Bigoi
    Presidente di San Rocco cooperativa di comunità di Ligonchio
    PS : perdonatemi anch’ io sono stato un po’ troppo prolisso ma l’ argomento mi appassiona troppo

    • Firma - Vittorio Bigoi
  10. Tutto quanto scritto da C.V. è crudo e vero.

    I Comuni non sono altro che la realtà di tutta l’Italia: poche idee, ripescate dal vecchio, che mandano avanti le stesse politiche di sempre a cui siamo passivamente abituati e che in sostanza non cambiano la mentalità.
    Serve accorpare per risparmiare?
    Provengo da una realtà lavorativa dove da decenni si pratica questa politica e anche con questo sistema non si migliora. Tutto rimane uguale: se non si cambia radicalmente dalla base al vertice non si ottiene alcun beneficio, non si arriva ad alcun cambiamento.

    L’abitudine di “far politica” non ponendo il “bene comune” come traguardo ma perseguendo sempre il proprio personale scopo porta al fallimento di ogni possibile risultato.

    Persone competenti e preparate, nuove idee, una diversa mentalità da parte delle persone, che si devono aprire al nuovo invece di restare arroccate sui soliti ritornelli, “voglia di fare” e di migliorare. Con la comunità come obiettivo.

    • Firma - Lena
  11. Quello proprio che non riesco a capire, ma soprattutto a sopportare è il fatto che chi scrive non abbia il coraggio di firmarsi; io personalmente l’ho sempre fatto e me ne vanto.Riguardo poi alla questione posta dal sig.C.V. non so se abiti in montagna, ma se pensa di risolvere le nostre problematiche con l’unione di tutti i comuni in uno solo si sbaglia di grosso, anzi i problemi aumenterebbero a dismisura per i tanti motivi che sono già stati esposti in precedenza.Ringraziando per lo spazio concessomi auguro a tutte le persone della nostra montagna Buon Natale e speriamo un Buon anno nuovo.
    Luciano Montermini

    • Firma - Luciano Montermini
  12. I comuni non vanno accorpati ma aboliti e insieme a loro anche le regioni, rimangono le province come organi di applicazione delle (molto molto meno) leggi statali. Divisione del territorio in area urbana e rurale col divieto di interferire l’una nelle decisioni dell’altra

    • Firma - Davide