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Elda racconta: dicembre

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Dicembre

Eccomi di nuovo qui, anche dicembre è già arrivato, il tempo mi è volato via senza che me n’accorgessi.

Questo è un mese con molte cose da ricordare, molte ricorrenze religiose, perché quando ero piccola io in quasi tutte le case ci si cibava di pane e religione, no non sono esagerata se ci pensate bene era così.

Oggi due dicembre, Santa Bibbiana, il proverbio diceva:

“Santa Bibbiana quaranta dè e na stmana”.

Traduco “Santa Bibbiana quaranta giorni e una settimana” ciò significava che se quel giorno lì era bel tempo sarebbe durato per 40 giorni più una settimana, perciò ci portavamo verso la metà di gennaio. Tutti speravamo nel sole e stamattina il sole c’è, e a me dispiace un po’, perché se Santa Bibbiana risponde ancora, passeremo il Natale senza neve a me non sembrerà quella festa che attendevo da piccola, coi fiocchi di neve che guardavo da dietro i vetri della finestra. Molte volte però il tempo era uggioso con nebbia, pioggia e grandi brinate o neve, perciò ci sarebbe toccato una quarantina di giorni da brividi, specialmente per i più poveri che si scaldavano bruciando le pigne secche raccolte nelle pinete.

Poi l’otto dicembre arrivava la festa dell’Immacolata, la settimana prima cominciava la novena per accogliere degnamente questa festa, perciò tutte le mattine in chiesa prima della scuola con relativa alzataccia. Poi la mattina della festa se il tempo lo permetteva la santa messa andavamo ad ascoltarla alla Pietra, altrimenti con gli ombrelli gocciolanti e i piedi gelati, perché avevamo calpestato la prima neve, arrivavamo alla Pieve dove la messa veniva officiata sull’altare di destra l’altare dedicato a Lei.

Il tredici dicembre era Santa Lucia, io questa santa l’avevo conosciuta da piccola sfogliando il libro da messa della mamma, quel libro che a me pareva grande con la copertina nera e lucida con scritto su “Massime Eterne” e tutta la bordura rossa. Era un libro che mi faceva un po’ soggezione, anche perché ogni volta che lo prendevo in mano la mamma si raccomandava di non sciuparlo. Così un giorno mentre lo sfogliavo cadde in terra un santino che raffigurava una bambina che teneva in mano un piattino con dentro due cose che a me parvero uova fritte. Chiesi spiegazioni e la mamma mi disse che non erano uova, ma gli occhi di Santa Lucia, che lei offriva a Dio, glieli avevano “cavati” lei era stata una delle prime martiri della chiesa, tutto qui.

Torniamo a quel giorno, allora che io sappia nella nostra montagna Santa Lucia non portava doni, questa è un’usanza portata in casa mia dai miei figli, quando frequentavano l’asilo “Mater Dei”. Una sera mentre li mettevo a letto, (abitavamo ancora in casa dei miei genitori) in quella stanzetta posta a nord, fredda gelata, loro invece di infilarsi subito nei lettini scaldati col famoso “prete” si misero in ginocchio sul letto a mani giunte e il più grande cominciò a cantare.

“Santa Lucia bella…e la sorellina faceva eco…ella…!

Di tutti sei la stella...Ella…!

Porti regali e doni…Oni…!

A tutti i bimbi buoni…Oni…!

Cenere e carbone ai cattivoni…Oni…!

Infine si infilarono a letto. A questo punto io mi commossi, come sapete Santa Lucia è amica delle mamme, così la notte arrivò con due sacchettini di caramelle e li mise vicino al letto di quei due innocenti “o furbacchioni”, ma anche loro vittime del futuro e del benessere che stava arrivando.

Ecco dopo questa festa arrivava già la novena di Natale. Il mio Natale ve l’ho già raccontato tante volte, questo invece è il Natale della mia amica Loredana, lei ormai è la più vecchia abitante di “via della Scimmia” non dimentichiamoci che ora è diventata Via Vittorio Veneto e questa mia amica ha sempre abitato lì, perciò nel vecchio centro di Castelnovo e mi racconta:

“Il Natale per noi era una grande festa, mio padre si procurava un piccolo ginepro, che serviva per fare l’albero, allora era proibito tagliare dei pini, anche se sarebbe stato soltanto un piccolo pezzo di un ramo. Tutta la settimana io e Ugo andavamo per la strada a raccogliere le carte di caramella buttate, le aprivamo bene ci mettevamo dentro un sassolino e le chiudevamo, questo era il bellissimo ornamento colorato del nostro alberello aiutato da qualche piccolo mandarino.

Tutto ciò, però si faceva soltanto la vigilia di Natale non un mese prima come si usa adesso, mentre aspettavamo con ansia che si avvicinasse la mezzanotte, per avviarci alla Pieve dove c’era la messa.

Allora tutti andavano alla messa di mezzanotte, le case si vuotavano, la chiesa era piena e io che mi ero messa del cartone dentro le scarpe per ricoprire il buco che avevo nella suola avevo i piedi fradici, ma non sentivo freddo, tanta era la felicità del Natale. Poi uscivamo di chiesa e tutt’intorno echeggiava il “Buon Natale”:

“Bun Nadal Marea, Bun Nadal Nino…Bun Nadal…Bun Nadal…”

Poi la mattina in tutte le case del rione il rito della spongata e dei tortellini (magari riempiti solo con la polpa delle castagne), si passava nelle case dei vicini che ti offrivano questi dolci e il bicchierino di brusca che si comprava sciolta dai Capanni dove Marinell o Bruno da Maiag o Franco Romei ti offrivano anche il loro indimenticabile sorriso.

Il bicchierino di allora era costruito in modo furbo, era molto piccolo e la parte interna quasi tutta ripiena di vetro, così anche se sembrava pieno, te ne offrivano soltanto una piccola sorsata, in questo modo nessuno si ubriacava.

Conclude Loredana: il mio Natale era così aspettavamo con ansia di sederci a tavola a mezzogiorno per mangiare i cappelletti ripieni più di pangrattato che del resto, ma per noi erano sublimi, il mio Natale era così, semplice da povera gente, in questa strada tutti si conoscevano, tutti si affacciavano alle finestre e tutto il giorno si sentiva echeggiare:

“ Bun Nadal Iolanda!...Bun Nadal Rosa!...Bun Nadal Iusfina!....”

Buon Natale Iolanda…Buon Natale Rosa…Buon Natale Giuseppina e Buon Natale anche a voi miei cari Lettori.

Elda Zannini

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