Riceviamo e pubblichiamo
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Mi è parso di capire che si sarebbe attivata una mobilitazione - di cui non conosco la forma - volta a chiedere il ritiro della querela avanzata a suo tempo da una personalità politica nei confronti di altra appartenente al mondo della cultura, con la ragione che ad un intellettuale, nella sua azione di critica, andrebbe consentito di esprimersi anche col ricorso a termini abbastanza forti (o “sopra le righe” come si usa dire).
Se la motivazione addotta fosse realmente questa, varrebbe forse la pena di soffermarsi un attimo sull’art.21 della nostra Costituzione, il cui primo comma ci dice che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (parole piuttosto chiare, che sembrano non lasciare spazio ad interpretazioni, almeno per chi non è esperto di diritto e giurisprudenza).
Innanzitutto, detto articolo parrebbe metterci tutti sul medesimo piano, senza alcuna distinzione e privilegio tra le categorie sociali e professionali di appartenenza, o rispetto al ruolo ricoperto da ciascuno di noi, così che il farvi invece riferimento sembrerebbe dare l’idea di una concezione abbastanza poco egalitaria o paritaria della nostra società (per non parlare di un modo di vedere le cose piuttosto elitario o suppergiù).
A mio modesto avviso, se si vuole rivendicare la libertà di parola - o caldeggiare atteggiamenti di “comprensione” verso chi, nelle proprie espressioni di dissenso, impiega semmai un linguaggio malaccetto - vi andrebbero pure inclusi i cosiddetti reati d’opinione, nei cui confronti osserviamo talora reazioni molto indignate, o quantomeno poco benevoli, specie quando il presunto “colpevole” non ci è politicamente gradito.
Senza contare che chi non si trova nelle condizioni di notorietà, molto difficilmente potrà fare affidamento su di una eventuale mobilitazione a proprio sostegno, ma al di là di ogni punto di vista in proposito, la circostanza di cui dicevo in premessa potrebbe forse “venire a proposito”, essere cioè l’occasione per farci conoscere, da parte di chi è ferrato in materia, quali siano i limiti e paletti nella libera manifestazione del pensiero.
Il problema si pone infatti a mio vedere in questi termini: abbiamo talvolta l’impressione che il perimetro entro cui esercitare la libera manifestazione del proprio pensiero non sia sempre ben definibile, o sia interpretabile, il che potrebbe esporre al rischio di incorrere in una “controversia giudiziaria”, con l’effetto che davanti a siffatta ipotesi vi sia chi, per prudenza, preferisce alla fine desistere dal pronunciarsi (nel senso che si “autocensura”).
P.B.