Home Diocesi ne' Monti Don Paul: “Come la preghiera può aiutarci a essere giustificati davanti a...

Don Paul: “Come la preghiera può aiutarci a essere giustificati davanti a Dio?”

108
0
don Paul Poku

Sulle Letture della domenica XXX

Domenica scorsa abbiamo meditato come la giustizia di Dio, che noi chiediamo attraverso la preghiera, sia ciò che occorre all’uomo per avere la salvezza. La liturgia odierna ci propone di compiere un passo in avanti rispondendo alla seguente domanda: come la preghiera può aiutarci a essere giustificati davanti a Dio?

La prima lettura, tratta dal libro del Siracide, ha come argomento il valore della preghiera agli occhi di Dio. Nella mentalità del tempo si credeva che fossero graditi al Signore i sacrifici compiuti dai fedeli per dimostrare la propria fede verso di Lui; tuttavia si arrivò a credere che queste offerte fossero sufficienti per definirsi buoni credenti, lasciando quindi che la fede autentica cedesse il passo alla ritualità. Ma il brano del Siracide ci insegna che Dio non ascolta le preghiere solo di coloro che hanno qualcosa da sacrificare in cambio, ma anche di quelle persone (come gli orfani, le vedove, i poveri) che non possono offrire nulla. A Dio infatti interessa primariamente la disposizione del cuore e perciò non si sofferma su una pratica di “scambio” tra offerta e grazia.

Ciò significa che non si può ottenere la salvezza solo con delle azioni buone, se poi queste azioni non sono accompagnate dalla fede pura e da una sincera ricerca della volontà di Dio.
Paolo ha capito benissimo questo punto. Giunto ormai alla fine della sua vita terrena, confida a Timoteo di aspettarsi di ricevere dal Signore la «corona di giustizia», che non è altro che la giustificazione. Ma Paolo può rivendicarla dal momento in cui, avendo sofferto a causa del Vangelo, ha tuttavia conservato la fede. Ritorna qui il discorso che abbiamo affrontato anche domenica scorsa: la fede in Dio e la preghiera attiva (che cioè si concretizza nelle azioni) vanno di pari passo; l’una non è sufficiente se non è accompagnata dall’altra.

L’esempio migliore della necessità di questa relazione ci viene fornito da Gesù nella parabola riportata nel brano evangelico, dove sono messi a confronto due differenti stili di preghiera. Da una parte abbiamo un fariseo, che per il suo modo di pensare era portato a rispettare scrupolosamente tutti quei precetti che per le scritture (compreso il libro del Siracide) erano propri dell’uomo pio. Tuttavia alcuni dettagli ci suggeriscono che qualcosa non va nella sua preghiera. Intanto lo vediamo pregare «stando in piedi», posizione che stride molto con quella assunta dal samaritano protagonista del vangelo di domenica scorsa (che si prostrò ai piedi di Gesù); inoltre la sua preghiera è troppo rivolta verso di sé, troppo occupata a mostrare tutti i suoi punti di forza, per poter lasciare spazio all’ascolto della voce del Signore. Tutti questi indizi ci rivelano un uomo orgoglioso, conscio dei propri meriti e sicuro di essersi guadagnato la sua parte nel “contratto” (al contrario del “servo inutile” indicato come modello da Gesù nel vangelo di qualche domenica fa).

Dall’altra parte c’è il pubblicano, un uomo che per la stessa natura della sua professione era un pubblico peccatore: egli sa bene di non poter vantare i meriti del fariseo e si limita a riconoscersi bisognoso della misericordia di Dio. Ebbene, tra i due personaggi quello che alla fine «tornò a casa giustificato» è per Gesù proprio il pubblicano. Infatti egli ha avuto l’umiltà necessaria per riconoscersi peccatore e la fede necessaria per chiedere il perdono di Dio per i suoi peccati.
Ciò che ha compiuto il pubblicano deve essere il modello anche per la nostra preghiera quotidiana. A prescindere dalle buoni azioni che facciamo, dobbiamo riconoscerci peccatori e per questo bisognosi dell’aiuto di Dio; solo così possiamo abbassare il nostro orgoglio in modo sufficiente da lasciare spazio al Signore per donarci il suo perdono e concederci la Sua giustizia. Senza una sincera conversione del cuore, senza una fede autentica, non ci sarà alcuna azione buona abbastanza da meritarci la salvezza.

Ascoltiamo dunque la voce di Dio che ci chiama, accostiamoci a Lui con cuore contrito e confessiamo a Lui tutte le nostre debolezze. Se sapremo riscoprire il valore del sacramento della riconciliazione potremo sperimentare la gioia dei figli che hanno finalmente ottenuto la misericordia e potremo anche sperare di ottenere la nostra «corona di giustizia» quando avremo «terminato la corsa».

Buona domenica.