La Merica 1920
Sono partiti a piedi dal crinale
e da Genova poi col bastimento,
son sette son tutti del paese di Civago
che vanno a tagliar boschi in Oregòn.
Settimane di pulci in terza classe
ballando su un Atlantico mai visto.
New York per loro è solamente Ellis
e in lontananza torri, rumori e fumo.
Corre Domè con il suo sacco in spalla,
ha le gambe più corte e il treno non aspetta.
Corre anche il treno su distanze immense
su un oceano di boschi e praterie sbuffando.
Immensità d’acqua e di terra hanno viaggiato,
ma nulla che ricordi gli ormai lontani monti.
Han visto grandi fiumi e fantasmi di bisonti
come in un sogno in giorni fatti di sete e fame.
Una sosta del treno li sveglia una mattina,
fuori una voce grida “pane fresco!” in italiano.
Svelti tirano fuori qualche soldo,
scende Domè e va a quella bancarella
che vende pane nostro, pane di casa.
Corre al ritorno sulle sue gambe svelte
stringendo al petto le pagnotte calde,
ma il treno sferragliando si è rimosso!
S’alza allora una voce tra i compagni:
“machinista ferma la vapuraia che Domè l’è in teraa!”
Corre Domè sulle sue gambe corte,
corre verso le mani dei compagni,
le afferra e sale verso la salvezza ma perde il pane
che se ne va lontano rotolando sul suolo americano.
Re Cacchino Enzo Monti