Nella recente tornata elettorale una buona notizia c’è. I parlamentari montanari confermati nel prossimo Parlamento saranno gli stessi di prima. Né uno di più né uno di meno. Ovvero, zero.
Otto erano i parlamentari uscenti (Del Rio, Rossi, Iori, Incerti, per il Pd, Zanichelli e Spadoni, per il M5Stelle, Vinci, ex Lega ora Fli e Fiorni, Fi), quattro saranno quelli della prossima tornata dove si è dimezzato il numero degli eletti (oltre a Del Rio, confermato, Malavasi e Rossi per il Pd e Vinci, per Fli). In nessun caso nessun montanaro, così come nessun montanaro era candidato.
Recentemente, chi scrive, ha posto una domanda a un dibattito agli autorevoli candidati delle diverse forze politiche. Quali le vostre proposte per la montagna? Nelle risposte si è andati poco oltre la Diga di Vetto e un moderato confronto sui punti nascita (tutti d’accordo, ma nessuno li riapre…). La montagna finisce tra un reparto chiuso da troppi anni e un possibile sbarramento a Vetto tra vent’anni? Ovviamente no. La montagna è fatta di lavoro, tenuta e tutela del territorio, servizi e – è un sogno? – connettività. Solo con questa alchimia la gente può scegliere di vivere e fare famiglia qui.
Ma in Italia a differenza della recente modifica della carta costituzionale sul principio di insularità (art 119 La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità), le montagne restano “isole” a parte.
Tutto è in mano alle capacità degli amministratori, di enti e Parchi, di strappare più o meno risorse per i loro territori. Nel panorama nazionale è troppo inascoltata, e meriterebbe assai più attenzione, la voce di Uncem, l’Unione nazionale dei Comuni, comunità e enti montani: le loro periodiche newsletter e segnalazioni avrebbero meritato almeno un briciolo d’attenzione da parte dei candidati. Tra questi ultimi alcuni, almeno, lodevoli nel salire quassù a chiedere il voto.
Paiono lontani i tempi nei quali, con l’onorevole Leana Pignedoli, ultima montanara eletta a Roma, si provava almeno a fare squadra tra i parlamentari della montagna italiana. L’Appennino e le Alpi nel dibattito politico ci sono entrati davvero poco. A urne chiuse la montagna reggiana è entrata nello scenario politico, come ricostruito ieri dagli intervistati di Redacon, con un voto che vorrebbe discontinuità. Ma come si può cambiare qualcosa che nel dibattito proprio non c’è?
Nel ricordare i tempi passati andava a mio avviso menzionato anche un Parlamentare montano che, se non erro, rivestiva contestualmente anche la carica di Sindaco di uno dei nostri Comuni, e delle cui opere vediamo ancora evidenti tracce. Egli apparteneva, è vero, alla stagione della Prima Repubblica, che più d’uno continua ancora a criticare, ma che andrebbe invece parecchio rivalutata, a mio vedere almeno, e durante la quale, da che io rammenti, non era inconsueto il doppio incarico, di Parlamentare e di Primo cittadino, in Comuni medio piccoli come sono per solito quelli montani, il che metteva un filo diretto tra i problemi del territorio e il legislatore nazionale (connessione piuttosto utile, specie per le zone periferiche e disagiate).
Si fa riferimento a Pasquale Marconi che fu anche sindaco di Vetto (n.d.r.)
P.B. 28.09.2022
NdA – Se paiono lontani i tempi dell’elezione dell’ultima montanara in Parlamento, quelli dell’elezione di Marconi lo sono (purtroppo) ancora di più. (G.A.)