sulle Letture della domenica XXVI
La liturgia continua a farci riflettere sul rapporto tra i ricchi e il loro prossimo (o se vogliamo tra i ricchi e il regno di Dio); le letture di oggi sono infatti molto collegate a quelle della settimana scorsa, richiamandone i temi e sviluppandone la riflessione.
La prima lettura ci presenta il profeta Amos che si scaglia contro la classe dominante in Israele nel suo tempo, élite che trascurava la popolazione meno abbiente.la loro mancanza di carità é il signo della mancanza della giustizia in mezzo a loro: per questo motivo Amos profetizza per loro l’esilio a Babilonia.
Nella seconda lettura Paolo chiede a Timoteo di tendere «alla giustizia, alla pietà, […] alla carità, alla pazienza, alla mitezza», che sono frutti della sua fede; la carità infatti non è opzionale alla fede, perché non c’è fede senza carità e giustizia.
Il legame perfetto tra questi testi risiede nella parabola di Lazzaro e del ricco, che domina il brano del vangelo. Protagonista è un uomo ricco e potente che Gesù lascia volutamente anonimo (per comprendere in lui tutti i ricchi del mondo), che trascorre le sue giornate nel godimento dei suoi beni (indice forse di un vuoto interiore). Alla sua porta sta un povero di nome Lazzaro (nome che in ebraico significa “colui che è aiutato da Dio”), tanto povero che vorrebbe poter anche solo mangiare i pezzi di pane che il ricco usava per pulirsi le mani. Alla morte di entrambi il ricco va negli inferi e solo lì alza gli occhi e vede Abramo con Lazzaro al suo fianco. Il gesto del ricco è molto importante, perché in vita non aveva mai posto il suo sguardo sul povero che stava alla sua porta. Solo alla vista di Abramo, che simboleggia la fede, riesce a vedere finalmente Lazzaro; ma ora egli è lontano da loro e non può più ritornare sui suoi passi per rimediare alla sua misera condizione, né sperare di ricevere da Abramo o da Lazzaro un aiuto.
Già a questo punto è possibile notare una netta differenza tra questo ricco e l’amministratore disonesto della parabola che abbiamo meditato la settimana scorsa; mentre quello era un ladro che ha saputo riconoscere in tempo l’amore come valore fondamentale per la propria vita, in questo brano il ricco non è mai riuscito ad andare oltre il godimento fine a sé stesso dei suoi beni. Non si tratta di fare moralismo: il vangelo non dice se il ricco avesse guadagnato le sue ricchezze onestamente o rubando, né spiega se Lazzaro era povero per un grave motivo o per aver sperperato i suoi beni. Il punto però è che il ricco si è macchiato di una colpa apparentemente innocua ma di fatto molto grave: è rimasto indifferente a quel povero alla sua porta, non lo ha mai considerati degno della sua attenzione.
Resosi conto troppo tardi dell’errore che gli è costato l’eternità, il ricco ha un moto di pietà verso i suoi «cinque fratelli», figure che, data l’universalità della figura del ricco, potrebbero indicare i cinque continenti (ovvero l’intera umanità). Il ricco chiede ad Abramo che Lazzaro possa apparire a loro affinché essi si convertano in tempo. Ma Abramo risponde che «essi Hanno Mosè e i Profeti». Con questa espressione Abramo intende riferirsi ai comandamenti di Dio trasmessi nella Legge e nelle profezie dell’antico testamento. Ma in quale comandamento potremmo racchiudere tutti gli insegnamenti divini? Nel comandamento dell’amore, che ci impone di amare Dio e il prossimo (cfr. Mt 22, 40: «Da questi due precetti dipende tutta la legge e i profeti»). Il messaggio della parabola è chiaro: per salvarsi non è necessario ricevere le visite di fantasmi, ma più semplicemente rispettare quei comandamenti che Dio ha iscritto nel cuore di ogni uomo e che sono presenti in ogni religione di ogni tempo e luogo della Storia.
Il confronto tra l’amministratore disonesto e il ricco di questa parabola è illuminante per noi: esso ci mostra due diversi destini cui i ricchi possono andare incontro. Esso pertanto ci riguarda, perché noi siamo questi ricchi, in bilico tra la sofferenza eterna e la possibilità di riscatto. Quello che dobbiamo fare è abbandonare la nostra indifferenza egoistica, aprire le porte che teniamo ben chiuse per poter mettere in pratica quel comandamento dell’amore iscritto nel nostro cuore e così centrale nella nostra fede.
Buona domenica
Don Paul