Riceviamo e pubblichiamo
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In un articolo comparso di recente su Redacon, concernente greggi e bestiame al pascolo, è stato giustamente elogiato l’allevamento ovino tradizionale - contrapposto idealmente ad altre tipologie di pastorizia - ossia quello che veniva praticato da tempo immemorabile sul nostro crinale e dintorni, nella quasi totalità alla maniera transumante, e del quale non si può che parlar bene, viste le sue tante positività, pur se non era esente da limiti e imperfezioni come capita del resto per moltissime cose di questo pianeta.
Ogni “rievocazione” di quell’insieme ancestrale è verosimilmente destinata a far presa, vuoi perché siamo quasi sempre attratti dal passato, vuoi fors’anche perché nella pastorizia c’è qualcosa di molto antico e financo di “biblico”, posto che la figura di chi conduce il gregge ricorre di sovente nelle Sacre Scritture, anche in forma di metafora, ma in ogni caso di “rievocazione” si tratta, perché, a ben vedere, quell’insieme è in fondo tramontato, e mi pare illusorio parlarne come se il suo ritorno fosse “dietro l’angolo”.
Il pastore di un tempo spendeva la sua giornata vicino al gregge, eventualmente alternandosi con un famigliare, ma l’impegno complessivo restava comunque forte, trattandosi per giunta e per solito di pecore da latte, soggette dunque a quotidiana mungitura, oltre ad essere condotte al pascolo, e quel “sacrificio” e dedizione non hanno probabilmente trovato il meritato riconoscimento all’interno della nostra società, fatto sta che, salvo poche eccezioni, è andato via via esaurendosi il ricambio generazionale.
Posizioni altalenanti e “in bilico”
Per fare un parallelo, non molto tempo fa mi è capitato di assistere ad una rassegna fotografica che ritraeva l’interno di vecchie case dell’Appennino, di poche pretese ancorché dignitose, ormai non più abitate ma con gli arredi conservati, e l’autore delle foto diceva di aver provato non poca emozione nell’immaginare la vita che vi si conduceva, e anche più d’uno, tra il pubblico, rimase piacevolmente colpito da questo “tuffo nel passato”, ma non credo rinuncerebbe volentieri alle comodità delle moderne abitazioni.
Vediamo peraltro il largo ascolto conseguito dai racconti inerenti agli anni andati, salvo renderci poi conto che quel “mondo”, di cui subiamo il fascino, sarebbe oggi improponibile, una “chimera” o quasi, causa i cambiamenti intervenuti nel “contesto”, alla stregua di chi vorrebbe dotarsi di riscaldamento a legna - semmai ad integrazione di quello fornito da altre fonti energetiche - come un volta era di prassi comune, ma molte odierne case non sono atte ad installarvi stufe (a parte le regole in materia divenute più restrittive)
Fino ad anni non lontani, in certe nostre località, quando le giornate estive volgevano all’imbrunire, faceva piacere imbattersi in gruppi di bovine rientranti dal pascolo a ciglio strada, ma non so quanti odierni automobilisti gradirebbero rallentare la corsa per tali presenze, così come gradire le uova del vicino ma protestare per il canto del gallo - alla stregua di chi lo fa per il suono campane - o amare le distese di grano mal sopportando però lo stallatico sparso sui campi per fertilizzarli (tutte posizioni altalenanti o “in bilico”).
Per finire, non mancano di certo i sostenitori - ed io tra loro - a chi plaude modi e costumi del passato, ma ho talora l’impressione che ve ne siano alcuni di questi andati irrimediabilmente perduti, e replicabili solo nei ricordi, non avendo saputo salvaguardarli, oppure che si voglia un ritorno allo “ieri” ritagliato su misura, ossia qualcosa di velleitario e irrealizzabile, e forse, per non fantasticare troppo e restare poi delusi, sarebbe già un buon risultato il preservare intanto, quanto più possibile, i valori ancora rimasti, sperando e contando altresì su chi vuol farsene paladino (se non vogliamo moltiplicare le nostre contraddizioni, talora anche simpatiche ma pure venate di una qualche ipocrisia).
P.B.