Qui conobbe la prima moglie. I partigiani, però, diffidavano di quel giovane tedesco di nuovo nei luoghi della Resistenza. Ha lavorato per il mondo come idrogeologo. Un giorno rimase senza soldi e dipinse l’insegna in gotico…
Seduto davanti a me c’è un signore sulla cui vita sono ormai scorsi molti decenni che paiono, però, quasi essere svaporati se ci si sofferma su quegli occhi vivaci e quella memoria puntigliosa, con la quale racconta e racconta. E, allora, sembra quasi di avercela davanti agli occhi l’immagine di lui a bordo di una Volkswagen maggiolino non sincronizzata strabordante di libri, vestiti, oggetti e strumenti e, dietro, lui, Wolfango in sella ad una moto raggiungere l’Appennino da Berlino.
Comincia così, con questa istantanea che immortala per sempre questi due ragazzi tedeschi di tanti anni fa, il racconto che Nico snocciola in una di queste giornate di agosto dopo essere giunto alla Corte della Maddalena credendo di passare inosservato e di sembrare un turista qualunque. Ma Nico non era un personaggio qualunque e, nonostante si fosse registrato con il suo vero nome di Klaus Krampe, la voce era corsa e quando il portone si è aperto lui è stato salutato come qualcuno che ritorna. Qualcuno che non è stato dimenticato e il saluto “Ciao, tu sei Nico” ha suggellato da subito questo riconoscimento.
Così, nei due giorni con noi, questo signore non più giovane, ma per nulla vecchio, è stato come un fiume di ricordi, che aspettavano solo di riposizionarsi al posto giusto. Nico è nato nel 1936 nella Germania dell’Est, nella città di Wuttenberg, che ha dato i natali a Martin Lutero. Cresciuto in una famiglia borghese, è stato mandato in Germania dell’Ovest nel 1954, prima che il Muro di Berlino fosse costruito, perché potesse lì liberamente studiare Geologia, la materia che da sempre l’affascinava. A Berlino aveva iniziato i suoi studi universitari con un professore, Richter, che per ovviare all’assenza di importanti rilievi montuosi in Germania, pensò bene di inviare una decina di studenti in giro per l’Appennino italiano, a rilevarne il territorio. Così, ci fu un giorno del 1959, nel quale Nico e Wolfango si presentarono a Busana e presero alloggio in casa Giacomini. Di questo periodo Nico ha tanti ricordi. La loro stanza da letto, con i due letti uno da un lato e l’altro dall’altro di questo grande ambiente e, in mezzo, un grande tavolo vuoto che, di lì ai mesi che seguirono, iniziò a coprirsi di sassi di ogni tipo.
Di questo anno e mezzo a Busana Nico ricorda le amicizie fatte, come quella con Gianni Giacomini, che ha salutato ora con un abbraccio affettuoso, o Clementino Parmeggiani, con i quali passava molte delle ore libere. Ma la memoria di Nico è un torrente impetuoso e, allora, eccoli lì i ricordi del Casarola, dell’Alpe di Succiso, battuti a piedi per rilevarne gli elementi e, poi, il Ventasso e con loro i corsi d’acqua, nessuno dei quali sfugge alla menzione di questa mente che saltabecca qua e là ricordando il profumo intenso dei campi d’altura ricoperti di fiori gialli o di narcisi più in basso. Bellezze di una natura incontaminata che si stamparono per sempre nella sua mente. E, poi, ci sono i ricordi affettuosi, primo fra tutti quello con Aurora Notari di Marmoreto, che conobbe a Succiso in occasione di uno dei concertini della rinomatissima orchestra Tormenta, nella quale suonavano due suoi fratelli.
Nico ricorda l’incontro con Aurora come un colpo di fulmine, che lo portò a cercarla, incontrarla e incontrarla ancora, fino a sposarla nel 1961. Ma la destinazione di Nico e Wolfango non si limitò solo a Busana e, per questo, le parole che snocciola su questo o quel paese sono come una specie di viaggio a ritroso nel tempo, visto con gli occhi di un giovane tedesco. Un viaggio a tratti buffo e a tratti quasi commovente. A Ramiseto Nico rimase un paio di settimane e di questo periodo rilascia un ricordo davvero spassoso: in questo paese i vecchi partigiani, che si ritrovavano a bere un bicchiere di vino nella locanda dove alloggiava, lo guardavano con sospetto, immaginando che se un tedesco era tornato sui nostri monti il motivo doveva di certo essere truffaldino. Doveva trattarsi di una spia o di qualcuno giunto qui per sollevare di nuovo qualche incidente di natura bellica. Nico racconta che ci volle del bello e del buono e una bella serie di bicchieri di rosso per convincerli che no, lui con la guerra non c’entrava nulla ed era solo lì per fare il geologo. Di lì a poco il territorio battuto a piedi da questo giovane studente divenne immenso. Dalla Sparavalle al Lagastrello, da Comano a Mommio al Passo di Pradarena, includendo i monti della Nuda, del Cavalbianco, i Gessi Triassici, fino giù al Mulino del Rosto e Frassinedolo. Succiso fu, dopo, un’altra delle mete di Nico. Qui alloggiava nella Locanda Torri, dove dormiva e cenava, spesso con il pecorino locale, che lui ricorda pieno di vermi ma che doveva comunque dar segno di apprezzare, pur scansando le creaturine con la punta del coltello. Di quel periodo Nico ricorda che ci fu un momento nel quale rimase senza soldi e l’oste decise di andargli incontro, mantenendo intatto il suo soggiorno a patto che lui si impegnasse a fornire alla locanda una nuova insegna. E, allora, eccolo là Nico in cima ad una scala armato di pennelli disegnare “Locanda Torri” in una bella grafia e caratteri gotici, sotto gli occhi divertiti di tutto il paese.
E, poi, ecco i ricordi affettuosi che ha conservato dei nostri paesi, che dipinge come insieme di case e casette una sull’altra, spesso davvero povere, ma abitate da brava gente che finì per adottare questo giovane e strano tedesco in giro per l’Appennino da mattina a sera con le sue carte sotto braccio. Un fiume di ricordi e sensazioni che Nico ha messo insieme ma, tanti anni dopo, ha voluto ricollocare là, dove tutto questo è iniziato. Così, a questo ragazzo divenuto adulto e poi tornato con Aurora in Germania ad Hannover, per poi lavorare come idrogeologo in Argentina, in Sudan, in Thailandia, in Indonesia, in Centrafrica, mancava una tappa finale. Una tappa che ha seguito la morte di Aurora, ormai diciassette anni fa e che, ora segnava un nuovo ritorno nel nostro Appennino, questa volta in compagnia di Waltraut, dolce moglie musicista con la quale ha avuto un figlio. Nei due giorni passati con noi ho spesso pensato che tutti questi ricordi, queste suggestioni ed emozioni con la mia vita non c’entravano poi così tanto, essendo stata io bambina piccolissima ai tempi degli scorazzamenti di Nico sul nostro Appennino. Ma, di lui mi era giunta l’eco, quasi fosse un personaggio mitico. Di lui dalle nostre parti si raccontava e il suo stamparsi davanti a me, il giorno che ho spalancato il portone per accoglierlo, è stato proprio come un ritorno.
Ecco, dopo tanto tempo Nico era tornato. Per chiudere il suo cerchio.
(Rosi Manari)
Che bello… Grazie. 🙂
Max Giberti