L’allarme lanciato dal Parco Nazionale sulle greggi nell’area del Cusna continua ad alimentare discussioni dentro e fuori dai social.
Tutto è partito dalla denuncia di un escursionista aggredito da maremmani nella zona di Lama Lite, cani a guardia delle pecore dell’azienda agricola veneta Tognoni che da anni, nella stagione estiva, fa arrivare tramite tir migliaia di ovini sul nostro Appennino grazie ad un accordo con gli Usi Civici del territorio. Da questo episodio sono partite le verifiche del caso che hanno portato il Parco Nazionale a guardare con occhio critico l’evolversi della questione.
Non è tardata la risposta del titolare dell’azienda che, nel pieno del suo diritto a difendersi, ha sottolineato come la sua posizione sia in regola: “Gli animali sono saliti in alpeggio in base a dei contratti di affittanza agraria legge 203/82 ancora in essere cioè non scaduti, non è intervenuta nessuna sentenza che vieti o che si sia pronunciata diversamente, non è assolutamente vero che nei terreni gravati da uso civico non trovi applicazione la legge sui patti agrari, la legge del 2017 recita l’esatto contrario, non mi risulta ci siano richieste di restituzione di somme indebitamente percepite, se la regione ritiene di avanzare delle pretese non saranno sicuramente dovute al cattivo pascolamento o alle futili diatribe in atto.”
A sostegno dell’azienda agricola è intervenuto anche l’avvocato Italo Rovali che ha personalmente redatto i contratti per conto degli Usi Civici di Febbio.
“L’Asbuc di Febbio ha quattro contratti in essere con l’azienda Tognoni – sottolinea l’avvocato Rovali alle telecamere di Telereggio – per il pascolo nei territori di loro proprietà. Questi quattro contratti, che sono in essere, scadono due nel 2031, uno nel 2029 e l’altro nel 2032. Non c’è stato un solo comitato che abbia sollevato questa particolarità cioè che siano pascoli abusivi e che vogliano revocare qualsiasi tipo di contratto.”
Non è di questo avviso il Parco che replica “I beni collettivi di uso civico, oggetto di amministrazione separata di cui alla legge 17 aprile 1957, n. 278, sono assoggettati ad un regime giuridico peculiare, se temporaneamente non utilizzati dalla comunità, possono essere destinati al godimento temporaneo da parte di privati; pertanto, sono esclusi dalle disposizioni vincolistiche dei rapporti agrari. Sul punto esiste consolidata giurisprudenza: la disciplina speciale in ordine alla durata dei contratti agrari di cui alla legge n. 203 del 1982 non è applicabile ai contratti di affitto e di concessione dei beni collettivi. La possibilità di consentire in favore dei privati, con atto di concessione o con contratto di affitto, il godimento individuale di un terreno demaniale di uso civico, temporaneamente non utilizzato dalla comunità, può avere solo carattere precario e temporaneo. Ne consegue che il rapporto resta sottratto alle norme speciali in materia agraria relative alla durata poiché altrimenti resterebbe preclusa alla P.A. la possibilità di condizionarne la continuazione e la rinnovazione alla compatibilità, in concreto, con la destinazione ad uso civico del terreno. (TAR Veneto – Venezia – sez. I n. 837 del 22 giugno 2021). L’uso civico che grava su di un terreno, pertanto, tollera la presenza di concessioni (o anche di contratti di affitto individuali) purché precari e temporanei; il che, di conseguenza, non può garantire né la stabilità né le procedure previste dalla speciale disciplina sui patti agrari di cui alla L. n. 203 del 1982. (TAR Trento, Sezione Unica, n. 78, del 12 marzo 2014).”
La diatriba si è poi spostata sui social dove gli utenti si sono schierati a favore dell’uno o dell’altro.
“Dove ci sono pastori e greggi devono esserci anche cani, la pastorizia va preservata e tutelata come bene del territorio” si legge in un commento, “spazio in montagna certo ce n’è per tutti ma esistono priorità che vanno comunque rispettate a prescindere dalla soddisfazione di chi in Appennino viene tre giorni l’anno giusto per una passeggiata” fa da sponda un altro commento, “l'Appennino vive anche grazie alle persone che possono trascorrerci poco tempo, certo anche la pastorizia è importante, sono tutti anelli di una economia difficile che fatica a portare risultati apprezzabili per consentire di vivere stabilmente nei nostri paesi” replica un altro utente.
Al di là del singolo caso, che verrà esaminato e valutato nelle sedi opportune, la questione ha contorni più estesi e richiede una riflessione di ampio respiro su un fenomeno che si ripropone tutti gli anni in quei luoghi dove il turismo fruisce di spazi che si sovrappongono a quelli del pastoralismo e viceversa: alpeggio e turismo possono convivere?
La pastorizia è sempre esistita in appennino. Per risolvere il problema, che è legato principalmente al pericolo di aggressione da parte di cani di razza maremmana, basterebbe la presenza dei pastori!
Paolo Romei
Dalle pagine di questo giornale e non solo si leggono spesso interventi di chi vorrebbe o più spesso promette se eletto, grandi opere per rilanciare il turismo.
La diga di Vetto e le migliaia di posti di lavoro indotti dal turismo balneare, il prolungamento della Gatta – Pianello, nuovi impianti sciistici a Cerreto Laghi.
E i resposabili, sempre secondo costoro, del mancato realizzo di queste opere chi sono? Sempre gli ambientalisti da divano. Quelli che la montagna la vedono solo nei documentari ecc ecc.
Poi ci sono i fatti. La più bella montagna di tutta l’Emilia Romagna così ben valorizzata da una funivia, FERMA.
Il crocevia di molti e bellissimi sentieri (Lama Lite), il lago più bello della provincia (Bargetana), due fra i rifugi più frequentati (Battisti e Bargetana) in pugno a migliaia di pecore (Venete), relativi pastori (Slavi) e soprattutto cani. Che morsicano, spaventano e tengono lontane le persone.
E se il parco impugna questa gestione cosa fanno i suddetti esponenenti? Si appellano al diritto dei montanari di pascolare le pecore.
Montanari. Veneti e slavi in realtà. Nel nostro appennino.
Chissà se ci sarà qualche Franzini o qualche Davoli che anche questa volta dirà che è colpa degli ambientalisti.
Ah no, è vero, è colpa del lupo.
Non della gestione degli usi civici.
AG
A chi sostiene che questo tipo di pastorizia sia una risorsa per il nostro territorio da tutelare e preservare, consiglio di venire direttamente in loco, magari accompagnati dai propri figli piccoli, e farsi inseguire o mordere dai maremmani a guardia di questo gregge abusivo, o a farsi minacciare verbalmente da quei simpatici ragazzi che lo “gestiscono”.
Magari potrebbero apprezzare con mano la fondatezza delle loro valutazioni.
Questo gregge che come è già stato detto, ribadito e sottolineato, nulla ha a che vedere con la pastorizia tradizionale che dà valore e prodotti al nostro territorio, ma è portato qua da TIR da altre regioni semplicemente per accedere a fondi di sostegno alla transumanza. Da quando in qua la transumanza si fa a bordo di TIR? In quale realtà distorta sarebbe questa una priorità per il nostro Appennino?
La situazione attuale è ben chiara, e oggettivamente ingiustificabile.
Da ex proprietario di cane maremmano, assicuro che si tratta di animali che non vanno lasciati liberi e senza il padrone: sono cani forti e molto protettivi verso il loro gregge e potrebbero interpretare la presenza del escursionista come una minaccia. Quindi a mio parere il gregge va sorvegliato e nelle ore notturne va rinchiuso ( con i cani) in un serraglio. Vorrei chiedere però all avvocato: se un cane aggredisce un escursionista sul percorso cai segnato, chi paga i danni ? E agli amministratori chiedo se si riesce ad intensificare i controlli e multare i cani non sorvegliati prima che succeda qualcosa di grave. Aggiungo che.in tanti anni di escursioni, sulle Alpi e degli Appennini, solo nel nostro crinale ho avuto la spiacevole occasione di incontrare dei maremmani liberi, anche se, fortunatamente non ho avuto conseguenze.
Paolo M.
Chi ha un po’ d’anni sulle spalle ricorda probabilmente che nella stagione estiva i pascoli del nostro Appennino brulicavano di armenti e, salvo errori di memoria, non rammento che allora si ponessero problemi di danneggiamento alla cotica erbosa, nel senso che, verrebbe da dire, tra ambiente e pastorizia vigeva una “armoniosa convivenza”, e nell’immaginario collettivo veniva spontaneo pensare a quei luoghi quale sede naturale per ospitare greggi di pecore, e altro bestiame (gli animali al pascolo erano quasi un “segno distintivo” per le cosiddette aree del crinale).
Chi usufruiva di quei pascoli lo faceva verosimilmente in virtù di un diritto derivatogli dai secolari usi civici, in continuità con le generazioni precedenti, ma poi il ricambio generazionale si è in molti casi interrotto perché i giovani si sono orientati verso altri mestieri – probabilmente anche a causa del tipo di impegno richiesto dall’attività pastorale – così che il numero delle greggi pascolanti, guidate da pastori e mandriani locali, si è andato sempre più riducendo, in modo piuttosto drastico e significativo, tanto da privare o quasi la montagna del “segno distintivo” che dicevo.
Nel frattempo la pastorizia, che una volta era a conduzione pressoché familiare, ha cambiato in certo qual modo volto, si è per così dire “industrializzata”, nel senso che in più di un caso ha adottato forme organizzative un po’ diverse dal passato, e c’è da supporre che, a meno di ulteriori cambiamenti, dovremo tener conto di tale sua “evoluzione” se desideriamo veder ancora gli armenti sui pascoli, senza contare l’intervenuta comparsa del Lupo, cui ha poi fatto seguito il ricorso ai cani da guardiania per la difesa delle greggi, ad integrazione delle razze canine “conduttrici”.
In buona sostanza è cambiato lo scenario, con una pluralità di “attori”, ivi compresi gli escursionisti, ed occorre di fatto un “regista” che provveda a distribuire le “parti” onde evitare o smorzare le eventuali conflittualità, ed è compito che io vedrei in capo ai decisori politici, i quali, avvalendosi del supporto fornito dagli organismi tecnici preposti, possono dirci quali siano i punti di mediazione per far coabitare “alpeggio e turismo” in base alla normativa vigente e, se del caso, vedere quali potrebbero semmai essere le modifiche normative che possono concorrere a rendere concretizzabile detta coabitazione.
P.B.
Sarebbe interessante sapere se anche quando i nostri pastori le portavano in toscana o in pianura erano così malvisti. E con i camion
Davide
Quante parole inutili…….i cani maremmani sono un pericolo e non possono essere lasciati incustoditi a guardia delle greggi. Non mi sembra ci sia molto altro da aggiungere. Oppure torniamo nel far wuest ognuno con la propria colt nella fondina…….
Marco
Basterebbe un po’ di buon senso,visto che il territorio è abbastanza vasto,i pastori e le pecore,o animali di qualsiasi tipo,potrebbero essere alloggiati lontano dai sentieri C.A.I principali
Ant
Nella pagina Facebook di un rifugio della zona c’è scritto nei commenti che una persona è stata oggetto anche oggi di queste “attenzioni” da parte degli stessi cani….quindi ancora la stessa situazione, purtroppo.
Commento firmato
Le parole di Marco sono molto nette e lapidarie, e il dilemma sulla convivenza alpeggio e turismo è già risolto con la formula “i cani maremmani sono un pericolo e non possono essere lasciati incustoditi a guardia delle greggi”, opinione più che legittima ma a mio avviso un po’ troppo “sbrigativa” e sommaria, causa il trascurare un antefatto..
All’epoca in cui i nostri pastori praticavano la transumanza recandosi in Toscana o nella nostra pianura, come ci ricorda Davide – per poi ritornare sui nostri pascoli durante l’estate – conducevano ed accudivano le loro pecore con l’aiuto dei cani, che non erano ai tempi di razza guardiana, allora non richiesta vista l’assenza del Lupo.
Con l’arrivo del predatore, c’è stata una prima fase in cui, se ben ricordo, venivano consigliati i recinti, di tipo antilupo, dove ricoverare il gregge nelle ore notturne, ossia quando non era custodito dal pastore – come avveniva invece durante il giorno – cui seguì l’incoraggiamento a dotarsi dei cani di guardiania, per l’appunto i maremmani .
Viene da supporre che questi cani possano custodire il gregge in autonomia, cioè non in coppia col pastore, bastando egli a scoraggiare l’azione predatoria del lupo, con l’annesso risultato di sollevare il pastore dall’essere sempre vicino al gregge, ove la turnazione gli fosse impraticabile, vuoi per il non trovare collaboratori o per il loro costo.
Questa mia “ricostruzione” può essere smentita o contraddetta, o non interessare a chicchessia, ma mi è sembrato valesse la pena di farla, e del resto se vige l’obbligo che i maremmani vadano sempre controllati dal pastore, e non si possa prescindere da tale condizione, basterebbe che qualche “Autorità” lo dicesse, citandone la fonte normativa.
P.B.
Da quanto si capisce da questa annosa vicenda c’è qualcosa di più e di diverso rispetto ad un allevatore che porta a pascolare le pecore. Da qualche hanno il signore in questione, in parte carpendo buona fede ed in parte no, si è procurato contratti per l’uso dei pascoli di tutti gli usi civici delle frazioni di Villa Minozzo sottese al Cusna ed al Prado, da tempo purtroppo non più utilizzati per il bestiame che più non c’è. Ma si è presto capito che non di pastore si trattava ma piuttosto di un rapinatore di risorse naturali, di uno speculatore, e non di un pastore proprietario di oltre mille pecore. Il pastore cura le pecore quasi come parte della famiglia, ed i cani sono in simbiosi, veri insostituibili aiutanti nel tenere unito il gregge, indirizzarlo. Il pastore sa quante sono le sue pecore, le conta e le conosce. Se ne perde una va a cercarla finché c’è luce e non è tranquillo sino a che non la ritrova. Il signore in questione, invece, ha portato in alpeggio molti capi, con alcuni lavoratori evidentemente tenuti in condizione di disagio e cani da guardia evidentemente lasciati incustoditi. Il risultato è che sono state ritrovate nel tempo decine e decine di carcasse di pecore morte, che i cani hanno aggredito e morso escursionisti, che l’esercizio del pascolo è stato effettuato in modo selvaggio, incontrollato. Per arrivare a questa estate in cui, a fine luglio, in piena siccità, senza dare alcuna informazione, sono stati riportati gli armenti e subito vi sono state recrudescenze per le aggressioni dei cani, per l’eccessivo carico di bestiame in zone ambientali di pregio del Parco, per il grave pregiudizio delle zone umide e del Lago della Bargetana (che è fragilissimo).
Le commissioni degli Usi Civici, peraltro rinnovate nei giorni scorsi, hanno reso noto a più voci che i contratti sono scaduti e non è valida alcuna clausola di rinnovo, in questo sostenuti dal Parco Nazionale e dal Comune di Villa Minozzo. Sanzioni per pascolo abusivo in zona vincolata sono state elevate dai Carabinieri forestali. Numerose sono state le denunce per aggressione dai cani incustoditi. C’è ne abbastanza perché questo signore se ne vada quanto prima, oltre ad auspicare il giusto decorso delle contestazioni a lui formalizzate.
Ben vengano allevatori veri, pastori locali o anche non, ben vengano coloro che hanno la cultura di una nobile professione e praticano la cura del bestiame e dell’ambiente. Con essi l’Appennino rifiorisce, con i rapinatori di risorse soffre e muore.
Sergio Fiorini