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“Viaggi e riflessioni di un montanaro reggiano”, il nuovo libro di Emanuele Anceschi

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“Viaggiare è prima di tutto umiltà: umiltà di comprendere la diversità e la complessità del mondo”.

È in questa citazione che è racchiuso tutto il senso del libro “Viaggi e riflessioni di un montanaro reggiano”, seconda opera di Emanuele Anceschi edito per la Brè Edizioni.

Emanuele, classe 1982 di Castelnovo ne’ Monti fin da bambino ha viaggiato visitando più di una volta tutti e cinque i continenti ed è con lo sguardo dell’Appennino che legge la complessità del mondo guardando le altre culture con curiosità e umiltà.

“In questa opera raccolgo le mie esperienze di viaggio e le riflessioni che mi hanno suscitato. Il punto di vista non può che essere soggettivo, ovvero quello di un ragazzo che ha vissuto la sua adolescenza nell’appennino reggiano. È importante ricordare sempre il punto di partenza quando si riflette sulle cose del mondo. Tutti noi abbiamo un luogo che chiamiamo casa e che, in maniera più o meno significativa, spesso è una costante di paragone per notare differenze e affinità con gli altri paesi che andiamo a visitare. Questo libro è quindi una storia di quello che i miei occhi hanno visto.” si legge nell’introduzione dell’opera.

“Viaggi e riflessioni di un montanaro reggiano” infatti non vuol essere una guida turista anzi, fa una precisa distinzione tra turismo e viaggio dove il primo è godimento del posto mantenendo le proprie abitudini e certezze mentre il secondo è cambiare attitudine mentale per scoprire nuovi mondi.

Dalle spiagge dell’Australia e della Polinesia a quelle di Miami, dai templi dell’Asia buddista ai locali di Minsk e Mosca, dai Paesi baltici alla natura del Sudafrica e del Nepal. L’autore ripercorre quei viaggi che lo hanno portato a riflettere in maniera differente sulle cose del mondo a cui collega il pensiero di sociologi, filosofi, scrittori e registi di cui si serve per rendere chiare le proprie riflessioni. Inoltre al termine dei capitoli, inserisce miti antichi per evidenziare il proprio pensiero.

Questa seconda opera è da intendersi come un sequel del suo primo libro Storia di una festa mobile, avendo in comune stile e modalità di scrittura.

Introduzione

In questa opera raccolgo le mie esperienze di viaggio e le riflessioni che mi hanno suscitato. Il punto di vista non può che essere soggettivo, ovvero quello di un ragazzo che ha vissuto la sua adolescenza nell’appennino reggiano. È importante ricordare sempre il punto di partenza quando si riflette sulle cose del mondo. Tutti noi abbiamo un luogo che chiamiamo casa e che, in maniera più o meno significativa, spesso è una costante di paragone per notare differenze e affinità con gli altri paesi che andiamo a visitare. Questo libro è quindi una storia di quello che i miei occhi hanno visto.
Non sono occhi cinesi, indiani o australiani che probabilmente mi porterebbero a fare considerazioni molto diverse da quelle cui sono giunto da italiano; anche cercando di essere il più distaccato e obiettivo possibile, sono comunque influenzate dalla mia cultura di appartenenza. Racconto i viaggi e le riflessioni che ho maturato nel corso di parecchi anni. Con l’aiuto di filosofi, storici, sociologi, antropologi cerco di delineare un filo conduttore ai miei pensieri. Utilizzo inoltre esempi cinematografici e letterari per chiarire il più possibile i miei ragionamenti. Questi sono il frutto delle mie esperienze e quindi non sono verità scalfite nella pietra.
Con questo libro non intendo descrivere tutti i luoghi che ho visto. Non è una guida turistica: per questo ci sono una miriade di libri di travel blogger e viaggiatori oltre alle guide turistiche vere e proprie con elenchi, voti e descrizioni. Scopo di questa opera è piuttosto dimostrare come alcuni viaggi cambiano colui che li ha intrapresi perché lo portano a maturare delle riflessioni che
rimanendo nel proprio Paese non avrebbe mai elaborato.

Solo guardando il nuovo e vivendo le situazioni in cui le differenze tra noi e l’altro affiorano, possono emergere riflessioni più o meno
profonde. Solo immergendosi nell’ignoto e fuori dalla zona di comfort può realizzarsi un percorso di crescita. Non parlo di turismo, ma di viaggio. Il primo è godimento del posto fine a se stesso, vivendo le giornate allo stesso identico modo come se si restasse nel proprio paese di origine. Il secondo è cambiare attitudine mentale per scoprire nuovi mondi, essere curiosi e mai porsi in una posizione di superiorità. È cercare di capire che l’essenza della bellezza delle cose del mondo sta proprio nella loro diversità. È porsi domande e cercare risposte.
Racconto quei viaggi che ho fatto in giro per il mondo e che mi hanno provocato una riflessione. Non tutti lo hanno fatto. Alcuni sono stati molto piacevoli e appaganti, ma non mi hanno dato spunti su idee o su pensieri, forse perché troppo simili dal punto di vista culturale al mio paese di origine.
Inoltre racconto solo alcune parti del viaggio. Non è lo scopo di questo lavoro fare un resoconto dettagliato dei posti che ho visitato. L’accento si porrebbe sulle descrizioni e non è questo il mio intento. La mia attenzione si pone invece su quelle caratteristiche o peculiarità dei paesi in cui sono stato, che hanno fatto accendere in me una riflessione più ampia. Alcuni paesi sono riuscito a girarli in lungo e in largo, mentre in altri mi sono dovuto fermare alla sola capitale. Anche su questo aspetto mi limito a evidenziare come le città capitali non
rispecchino mai l’essenza del paese. Il turismo di massa e le contaminazioni internazionali rendono la capitale, spesso, una città a se stante rispetto alle altre presenti nel territorio. Semmai dovremmo visitare le città di provincia per renderci conto di come è davvero il paese in cui siamo.
Al termine dei capitoli, ho inserito alcuni miti, per lo più greci, per rendere più chiare le mie riflessioni. È infatti risaputo che nei grandi miti troviamo amori, tradimenti, uccisioni, crimini, vizi capitali, morali, moniti e lezioni da cui trarre insegnamento. L’importanza del mito risiede proprio nella sua forza evocativa.

Questa seconda opera è da intendersi come un sequel del mio primo libro Storia di una festa mobile, condividendone stile e modalità di scrittura. La principale differenza riguarda il tema della mia analisi: in Viaggi e riflessioni di un montanaro reggiano il mio sguardo si pone principalmente sul tema del viaggio, che è un mezzo per dimostrare come le esperienze dirette e personali siano
elementi fondamentali di crescita individuale, in controtendenza rispetto a una società dove tutto ormai è scientizzato, dove il rischio di trovarsi confinati e schiacciati in una cultura e ideologia ben definite è molto alto e se non si cerca di guardare le cose del mondo da un punto di vista più alto la semplificazione e la tifoseria nazionalistica sono dietro l’angolo. Rivendico quindi l’importanza
dell’esperienza come modo per capire maggiormente noi stessi e la società in cui viviamo. Il viaggio può essere davvero un maestro di vita a patto che non sia visto solo come momento ludico e godereccio fine a se stesso, in cui bisogna solo spegnere il cervello e godere del posto. Il viaggio è il vero strumento che ribalta luoghi comuni, preconcetti e stereotipi e può aiutare a renderci chiari alcuni aspetti della nostra vita e capire la complessità delle cose del mondo. È uno strumento di contaminazione di culture, popoli, tradizioni, visioni e valori differenti. Senza immergersi nelle culture e addentrarsi nei loro anfratti, ci sarà sempre il sospetto, la paura del diverso e dell’ignoto
che portano su larga scala a politiche internazionali intrise di ideologie, stereotipi e blocchi separati, tutti segnali contrari e opposti alla fioritura di una empatia mondiale da costruire.
È quindi questa una storia di viaggi, emozioni, sensazioni, pensieri, idee e ragionamenti di oltre vent’anni che mi auguro possa essere di aiuto a chi come me, si ritrova spesso fuori luogo in questo tipo di società che ci siamo costruiti. Il viaggio per me è lo strumento per capire il mondo e noi stessi in relazione a esso. È un mezzo molto importante che abbiamo a disposizione perché viaggiando noi stessi veniamo in contatto con il diverso, l’altro in modo del tutto autentico, senza filtri, mediazioni e condizionamenti esterni o resoconti di persone terze. Viaggiare è aprire la propria anima alle sensazioni, alle emozioni, alle persone e ai luoghi; è un modo per dare colore alla
vita.
Solo così possiamo davvero farci un’idea autonoma e vera delle cose del mondo. Capire le cose da soli è forse la migliore forma di libertà che ancora possediamo.