Riceviamo e pubblichiamo
____
Il leggere di giovani che nei nostri posti rimettono in moto attività della cosiddetta microeconomia ferme da tempo - oltre ad infondere una punta di ottimismo e di fiducia per il futuro della montagna reggiana - induce a considerazioni più generali, pur nella consapevolezza che il parlare di usanze e costumi, ovvero di accadimenti o fenomeni sociali, può condurre la disquisizione su un terreno abbastanza “insidioso”, se non “sdrucciolevole” (stante la complessità dell’argomento).
Ho avuto per anni la sensazione che si guardasse innanzitutto e soprattutto a quelle realtà che, nel mondo del lavoro, uscivano dall’ordinario per configurarsi giustappunto come “eccellenze” o “straordinarietà”, ovvero tendere comunque a tale ambizioso e prezioso traguardo, il che ha certamente un’indubbia ragione posto che in questo campo l’eccellenza significa per solito meritevole talento, innovazione, prospettiva, e possibilità di allargare il perimetro delle opportunità occupazionali.
Tutto ciò ha tuttavia comportato, stando sempre alla mia percezione, che si siano un po’ trascurate, o quantomeno sottovalutate, valenza e funzione di più d’uno tra i mestieri tradizionali, cui è poi venuto a mancare il fisiologico ricambio generazionale, giacché i giovani sono stati piuttosto attratti da settori o “poli” concepiti come eccellenze, o proiettati in tal senso, e per questo oggetto di corale e più che lecito plauso (a sua volta fattore, per chi vi lavora, di seducente “legittimazione sociale”)
qualsivoglia sistema sociale richiede una pluralità di mestieri e competenze
Ultimamente, però, causa un insieme di coincidenze e circostanze, mi è parso di veder rivalutate non poche delle attività che erano andate via via in declino, vuoi perché ne è stata probabilmente riscoperta l’importanza, sul piano economico e non solo - posto che la vita di qualsivoglia sistema sociale richiede giocoforza una pluralità di mestieri e competenze - vuoi perché si è forse, anche ritenuto, non senza motivo, che tali attività appartenessero esse stesse, e di fatto, alla categoria delle “eccellenze”.
Ossia ordinaria normalità assurta ad eccellenze, da intendersi nella fattispecie come quelle che nel loro “piccolo” - ma un piccolo così esteso da diventare grande - hanno dato tipicità e singolarità al Belpaese, fino a renderlo molto apprezzato e “speciale”, o unico al mondo secondo il pensiero di altri, e c’è pertanto da augurarsi che si riesca a trovare un idoneo e permanente equilibrio tra le eccellenze e la normalità (che in tanti casi e luoghi può giusto avere il sapore dell’eccellenza, o qualcosa di simile).
P.B.