Riceviamo e pubblichiamo da un nostro lettore
__
Non molti giorni fa, di femminicidio si é occupato un articolo di stampa - su testata nazionale e in prima pagina - con una interessante e argomentata analisi, stando alla quale, se non l’ho fraintesa, il fenomeno era meno presente nel passato, rispetto all’oggi, a ragione del fatto che la donna non si trovava in condizioni di autonomia e indipendenza tali da potersi sottrarre alla “egemonia maritale”, così che l’uomo non aveva a sua volta motivo di reagire in maniera spropositata, fino alle estreme conseguenze, davanti a comportamenti da lui non condivisi né accettati (perché inesistenti o quasi).
Ancorché la materia sia notoriamente parecchio complessa e articolata - anche in virtù della pluralità e specificità dei casi, che non di rado possono fare storia a sé - la suddetta tesi non mi è parsa priva di fondamento, e può essere plausibilmente oggetto di larga condivisione, ma a me sembra di potervi aggiungere qualcosa, secondo il mio personale ricordo del passato, pur dovendomi esprimere nondimeno al condizionale, ben conscio di cadere in eventuali errori di valutazione, nonché ben consapevole della grande complessità e delicatezza dell’argomento, come ho sopra anticipato.
All’epoca del Sessantotto, quando la “libertà” della donna era divenuta simbolo e metafora di quel movimentato periodo, la mia generazione non era più rappresentata da ragazzi, bensì da giovani uomini nel pieno degli anni, e pronti anche a relazioni sentimentali stabili, quali premessa del matrimonio - secondo l’usanza allora piuttosto comune e diffusa per una coppia - e se la donna rompeva il “sodalizio” di sua iniziativa, ancorché la cosa potesse non risultare indolore per l’interessato, non rammento reazioni eccessive e sopra le righe, forse perché eravamo cresciuti con un radicato rispetto negli altrui riguardi.
Ulteriore riflessione (in ordine al capofamiglia)
Cultura del rispetto appresa sin dalla prima età, nonché trasferita nella scuola primaria verso docenti e personale ausiliario, e che col tempo si traduceva verosimilmente anche nel saper casomai frenare la propria “istintività” o impulsività, almeno così mi viene da pensare nel tentar di comprendere col senno del poi quella condotta per così dire “trattenuta”, e se può essere in effetti vero che ciascuno di noi tende ad essere indulgente nel guardare alla stagione della propria giovinezza, accentuandone i pregi, credo che la spiegazione datami in questa circostanza non sia fantasiosa né campata in aria.
Al di là delle nostre rispettive opinioni in proposito, mi è sembrato comunque opportuno il richiamo al passato fatto dall’articolo in questione - che io mi sono concesso di riprendere ritenendo che senza termini di confronto i nostri discorsi rischiano di diventare troppo astratti - e reputo nel contempo che la tematica si presti ad una ulteriore riflessione, mi verrebbe da dire contigua o parallela, in ordine all’uomo, segnatamente al suo tradizione ruolo di capofamiglia, che è poi stato messo in discussione, il che, a mio sommesso avviso, non pare aver giovato alla vita e tenuta della famiglia, primo mattone della società.
P.B