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Elda racconta: giugno

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Maggio è passato in un attimo, è già arrivato giugno e non me ne sono neanche accorta, chissà perché quando si è vecchi il tempo scorre così veloce, prima dei vent’anni le annate non finivano più, poi sempre più velocemente e il traguardo si avvicina inesorabilmente.

Lasciamo perdere le malinconie e torniamo ai ricordi del passato, questo so che a voi piace e a me fa tanto bene raccontare.

In giugno si chiudevano le scuole, ed io ne ero felice, il sole, il caldo, il verde mi attiravano più di un problema di matematica, questa materia non mi entrava nella testa.

Finalmente liberi, la mattina potevamo seguire i grandi nei prati, dove veniva falciata la prima erba medica. Vedevi questi uomini con la canottiera di lana di pecora molto salutare, che aveva il potere di asciugare il sudore evitando bruschi raffreddamenti. Come dicevo questi uomini, uno dietro l’altro falciavano con la falce a mano la “frina” facevano lunghi “trat” strati di erba lunghi quanto era lungo il prato. Una volta arrivati in fondo si dissetavano a “col”, attaccandosi al collo del fiasco ricoperto da vimini intrecciati, riempito da noi bambini alla fonte dei Pavoni e messo al fresco sotto un mucchio di erba appena tagliata.

Poi risalivano all’inizio del prato, si fermavano due minuti a passare “la preda” la pietra cote, che si usava per affilare le lunghe lame poi riprendevano a scendere uno dietro l’altro e il movimento delle loro braccia sembrava sincronizzato.

Il pomeriggio, noi lo dedicavamo al pascolo delle nostre poche pecore e l’immancabile capra che produceva il buon latte per la famiglia, anzi vi dirò che io sono cresciuta a latte di capra, questa è stata venduta quando io mi sono sposata e mi sono adattata a quel che offriva il mercato.

Come dicevo portavamo le nostre bestie sulle pendici della Pietra e lì dove c’erano pratine verdissime ci incontravamo con altri bambini o anche persone adulte che facevano pascolare qualche mucca. Il sottobosco era di tutti nessuno ci ha mai detto qui non puoi venire, forse erano altri tempi, ma allora i boschi sotto la nostra montagna erano puliti, non c’erano razze e rovi infestanti. Dai grossi cespugli dei noccioli in giugno cominciavano a cadere i mazzetti dei lunghi fiori e cominciavano ad affacciarsi i primi frutti e sotto questi le prime fragoline di bosco facevano capolino qua e là.

Giugno, ecco, era il mese della grande processione del “Corpus Domini” e per noi bambine che frequentavamo le suore era un grande evento. La processione col “Santissimo” portato dall’arciprete, vestito col piviale colorato lungo fino ai piedi, con un grande sole dorato dipinto sulla schiena, camminava lento sotto al baldacchino sorretto da quattro uomini attorniato da una schiera di preti e chierichetti, che spiccavano con le loro cotte candide dai lunghi pizzi attaccati all’orlo. Noi bambine con l’abito bianco della prima comunione andavamo davanti a spargere fiori dove doveva passare “Cristo nostro Signore”.

Qui mi soffermo, perdonate, ma il mio pensiero torna a quei giorni in modo diverso. Le bambine figlie dei signorotti del paese avevano vestiti di organdis con gonne lunghe e larghissime che ricoprivano le scarpe, sul capo veli finissimi tenuti da coroncine di fiori che sembravano veri, portavano cestini delicati, azzurri o rosa, colmi di petali di rose multicolori e quelli di peonie rosse molto vistosi, ce n’erano di quelle che il loro cesto era così grande che dovevano reggerlo in due. Loro erano le prime della fila, poi noi un po’ più sgangherate venivamo dopo e c’era anche chi non aveva neppure un fiore.

Io non avevo nessun cesto, mia madre poveretta aveva solo un “cavagn” infangato che serviva per raccogliere le patate o i fagioli e mi diceva:

“Cogli un bel mazzo di fiori di campo, vedrai che nostro Signore li apprezzerà li sfogli mentre cammini”.

Io però non ero soddisfatta, allora non sapendo come fare i fiori li sfogliai tutti, poi riempii ben calcata la borsetta che la “Noemi moglie di Barbieri”, che mi aveva cucito il vestito della prima comunione, riuscendo a fare un bel lavoro, anche se la stoffa di seta non era abbondante, bene lei era riuscita a ricavarci anche una borsettina cilindrica, che doveva contenere il fazzoletto da naso il libricino da messa e una coroncina del rosario piccolina e bianca, il velo poi era stato quello della Lina dalla Macchiusa, sua mamma me lo aveva regalato.

Io quel giorno tirai fuori tutto dalla borsetta e come vi dicevo ci calcai dentro tutti i petali dei miei fiori campestri. Imperterrita mi misi in fila con quelle dei cestini (anche se una suora mi tirava indietro non le diedi retta) e cominciai a buttare i miei petali sopra le loro rose. Una bimba mi disse con un sorriso impertinente:

“Dove li hai messi i tuoi fiori?”

Non risposi e continuai a spargerli, così sulla strada in mezzo ai petali delle rose spiccava Il rosso dei miei papaveri, l’azzurro dei fiordaliso (peccato che ora questi fiori vanno sparendo se ne vedono più pochi, erano molto belli) poi qualche “spadone” che avevo rubato su un cespuglio vicino alla casa dei Rubini alla Montadella e corolle intere di margherite.

Questo è stato il “Corpus Domini che ricordo meglio, le finestre delle case erano addobbate con il copriletto di seta più importante del corredo della padrona di casa, sormontato da tovagliette o centrini ricamati, mentre le proprietarie di palazzi con numerose finestre avevano in serbo drappi di damasco pesante rosso, rifiniti tutt’intorno da un grande nastro giallo e nella penombra della finestra aperta scorgevi qualche viso che dall’alto guardava in giù.

 La folla seguiva il Santissimo cantando:

“Inni e canti sciogliamo fedeli

 Al divino eucaristico re

 Egli ascoso nei mistici veli

 Cibo all’alma fedele ci diè”.

 Tutti pregavano con vera fede, naturalmente c’era sempre qualche comare a naso all’insù che guardava tutto quel ben di Dio che sventolava sui davanzali, bisbigliando commenti e alla fine con mia grande soddisfazione incespicava o dava una piccola storta nella cunetta rischiando di perdere l’equilibrio, così si metteva subito in riga.

Elda Zannini

2 COMMENTS

  1. Grazie per questo racconto…che ci riporta all’infanzia ed ai ricordi della festa del Corpus Domini…anche se ho vissuto la mia infanzia anni dopo, i vissuti erano quelli descritti; l’unica differenza era che vivendo in un piccolo paesino della nostra montagna, non c’era nessuno più importante di altri né adulti, né bambini e non abbiamo mai sperimentato sensi di inferiorità o superiorità rispetto agli altri, ma eravamo tutti uguali, un’unica grande solidale famiglia! Credo che solo chi ha la fortuna di vivere in piccoli paesi abbia sentito e senta ancora questo sentimento.

    M B

    • Firma - M B
  2. Sì, fortunato M.B. anche se io parlo del 1946, altro paese, altri tempi, quando c’erano ancora i ricchi e i poveri e anche certi insegnanti facevano le differenze per non inimicarsi il ceto alto, con grandi sorrisi, grandi riverenze e carezze sul capo.

    EldaZannini

    • Firma - EldaZannini