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Peste suina africana, Micagni (Asl): “Recintare per evitare danni devastanti”

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C’è preoccupazione tra gli allevatori, anche dell’Appennino, per il diffondersi di casi di peste suina in tutto il Paese: ad oggi in Italia sono stati rilevati 136 casi e interessa il Piemonte, la Liguria e il Lazio. Ma se non si interviene c’è il rischio di una epidemia con conseguenze economiche devastanti.

La Peste suina africana è una malattia virale che colpisce suini e cinghiali; altamente contagiosa e spesso letale per gli animali, non è, invece, trasmissibile agli esseri umani.

L’Emilia-Romagna ha deciso di adottare misure urgenti per prevenire la malattia, in particolare nella zona del piacentino perché a contatto con la zona di restrizione dove sono presenti i casi confermati. La Regione ha, inoltre, messo a punto un piano regionale di interventi urgenti per la gestione, il controllo e l’eradicazione della peste suina africana, che prevede anche un piano di emergenza da mettere in atto nel caso in cui l’infezione dovesse entrare nel territorio regionale.

Abbiamo chiesto al dottor Giorgio Micagni, dirigente dei servizi veterinari dell’Asl Reggio Emilia, di spiegarci la situazione attuale, soprattutto a Reggio. 

Dottor Micagni alla luce dei dati epidemiologici pubblicati dal ministero, qual è la situazione?  

E’ di pochi giorni fa la notizia del primo caso europeo di Peste Suina Africana (PSA) in suini allevati in Germania. In Italia abbiamo casi rilevati nei suini selvatici (cinghiali) in Piemonte, Liguria e Lazio. E purtroppo paiono destinati ad aumentare! Al momento l’unico Paese Europeo che ha risolto il problema è il Belgio: qui sono intervenuti con grandi investimenti di risorse con coinvolgimento anche dei militari. Si è intervenuti recintando le arre infette dove circolava il virus PSA nei selvatici. Tale intervento crea una rete di contenimento alla circolazione dei cinghiali che sono il serbatoio selvatico della malattia e limitarne i movimenti permette di circoscriverla nel tempo per ricondurre a sicurezza il territorio.

Dunque occorrerebbe recintare le zone per evitare la diffusione e il passaggio dei cinghiali …

Esatto, seguendo proprio l’esempio del Belgio. Il mondo sanitario veterinario è in linea con quanto afferma il professor Vittorio Guberti, consulente UE e tra i massimi esperti in materia, che afferma che bisogna, appunto, identificare le aree infette e recintarle. E’ l’unico modo per riuscire a contenere la diffusione del virus e ridurre il numero dei cinghiali. Si sta iniziando, dopo la nomina di un Commissario Straordinario per la gestione di questa emergenza, a implementare tale azione in alcune zone dell’Alessandrino, ci si augura che i tempi di realizzazione siano rapidi e che, al più presto, in tutte le aree infette sinora individuate le Istituzioni coinvolte ne seguano l’esempio.

Ma ci sono casi di peste suina a Reggio e Provincia?

Al momento non si registrano casi nella nostra Regione ma siamo comunque molto preoccupati. Se è vero che il virus non si trasmette all’uomo resta comunque un grosso problema da gestire, vista la caratteristica di grande resistenza e di capacità di diffusione. In generale, la situazione non è delle migliori e se non si interviene in maniera decisiva rischiamo che poi sia troppo tardi.

E’ importante sottolineare i danni socio-economici legati alla diffusione di una malattia epidemica come questa. In caso non si dovesse contenere la PSA a aree ben definite e controllate e passasse dai selvatici agli allevamenti si bloccherebbe un intero comparto. Già adesso ci sono alcuni Paesi che non accettano più le nostre carni suine e i prodotti trasformati, esempio la Cina, ma la lista è già lunga. A lungo andare avremo un vero e proprio blocco delle esportazioni che è uno dei punti di forza di un settore che produce prodotti ad elevata qualità e valore aggiunto. Il circolo vizioso conseguente determinerà un calo delle attività allevatoriali, di trasformazione e esportabilità delle nostre produzioni tipiche. Bisogna intervenire quanto prima. Dobbiamo considerare che non esistendo un vaccino, essendo il virus PSA molto variabile e la malattia molto contagiosa le difficoltà di azione sono massime. Quello che deve preoccupare, poi, è anche la “diffusione passiva” del virus PSA.

Cioè?

Le faccio un esempio chiaro e lampante: se capita di calpestare i resti delle spoglie di un animale infetto morto o materiale infetto eliminato da animali malati ed entro in un allevamento il danno è fatto, ho trasportato la Peste. Vorrei ricordare e sottolineare che il virus è molto resistente all’ambiente. Da qui, ancora un’altra considerazione da fare e cioè che c’è una elevata concentrazione dei cinghiali selvatici. Se riusciamo a fare prevenzione con azioni di biosicurezza negli allevamenti, diventa difficile se non impossibile controllare gli animali selvatici se non con intelligenti azioni di controllo della loro popolazione e con la necessità delle recinzioni delle aree infette.

I Servizi Veterinari che tipo di attività svolgono presso gli allevamenti suini?

i punti verdi sono allevamenti da ingrasso, quelli rosa sono da riproduzione. Più i cerchi sono grandi più sono numerosi i capi allevati

Innanzitutto mi preme sottolineare che noi siamo attrezzati ma deboli nella possibilità di diffusione passiva e soprattutto ci troviamo in difficoltà rispetto alla presenza dei suidi selvatici. Intanto proseguiamo con intensificazione delle attività nel monitoraggio sul rinvenimento di cinghiali morti e su animali morti in allevamento. Continuano le attività di campionamento sangue e tutto quello che rientra nella nostra ordinaria funzione.  Abbiamo svolto molteplici incontri di formazione e informazione con gli allevatori e le loro rappresentanze, il mondo venatorio, il Servizio Territoriale Agricoltura Caccia e Pesca della sezione Reggiana della Regione (STACP). Si è attivato sin da gennaio 2022 un tavolo Provinciale coordinato dal Prefetto con tutte le figure operative coinvolte. I controlli sugli allevamenti si sono in prima battuta concentrati su quelli allo stato brado e semibrado dove abbiamo già una regolamentazione regionale che prevede la doppia recinzioni per mettere isolamento tra selvatici e animali allevati. In caso di emergenza i soggetti allevati all’ aperto devono essere ricondotti al chiuso. Per gli animali in allevamenti intensivi si stanno verificando e applicando le massime attenzioni alle azioni di biosicurezza. Per i selvatici, grazie alla proficua collaborazione con il mondo Venatorio e gli STACP ci sono intensificate le ricerche di cinghiali deceduti e si è creato un numero unico per le segnalazioni in tal senso da parte di singoli cittadini. Se arriva la malattia e si definisse una area infetta provinciale potrebbe essere necessario abbattere gli animali allevati in tale area e bisogna avere la consapevolezza che la peste può arrivare indipendentemente dagli sforzi messi in atto e dall’ impegno e dalla grande collaborazione che si è attivata tra allevatori, istituzioni e mondo venatorio.

Quali sono le misure preventive adottate? Quali consigli dare…

E’ stato istituito un tavolo di emergenza locale coordinato dal Prefetto e tutti gli attori del sistema ne fanno parte attiva. Facciamo attività di informazione agli allevatori e ai cittadini. Siamo riusciti a creare una grande rete di collaborazione. In via precauzionale ci è sembrato opportuno bloccare gli allevamenti non professionali, quindi non si possono attualmente allevare e introdurre suini negli allevamenti 'familiari'. Importante che ci vengano segnalati i rinvenimenti di cinghiali morti perché se arriva la malattia dobbiamo intercettarla prima possibile. Gli allevatori hanno già ricevuto istruzioni puntuali e stanno dando prova di grande attenzione e serietà. E’ in pericolo la loro attività. Siamo padroni della situazione anagrafica provinciale e siamo organizzati sia per il ritrovamento dei cinghiali che per eventuali focolai negli allevamenti. Per gli animali selvatici eventualmente investiti è in essere una convenzione tra tutti i Comuni della Provincia e il Centro Matildico specializzato in Selvatici di San Polo d’ Enza. I dati analitici su tali animali sono sinora stati sempre favorevoli. La popolazione di cinghiali in Provincia, dai rilevi svolti, gode di un ottimo stato sanitario. Quello che ci preoccupa, ripeto ancora, è la veicolazione passiva della malattia. Gli allevatori devono impedire l’ accesso agli estranei in allevamento e attuare ogni azione di biosicurezza pratica consigliata e su cui sono stati informati. Chiunque si imbatta nelle spoglie di cinghiali può chiamare il numero 051 6092124.

Quanti allevamenti e quanti capi di suini restano in Appennino e in Provincia?

Nell’ area territoriale veterinaria di Castelnovo né Monti che ricomprende la maggioranza dei Comuni ad alta intensità di presenza del cinghiale ci sono attualmente 14 allevamenti di ingrasso con 8100 capi; 8 allevamenti da riproduzione con 140 capi. Di questi 10 sono allevamenti semibradi con circa 120 capi. Questi numeri rappresentano il 3% dei suini provinciali. I 33 allevamenti familiari sono attualmente vuoti. In tutta la Provincia ci sono complessivamente 260.000 suini. I suini sono concentrati soprattutto nelle Aree Territoriali di Reggio Emilia, Correggio e Guastalla.

 

1 COMMENT

  1. Apprezzo molto le preoccupazioni del dott. Micagni e le condivido appieno, le stesse preoccupazioni erano emerse negli anni scorsi quando casi conclamati di PSA erano stati riscontrati in altri Paesi Europei, non ancora in Italia! Già negli anni scorsi avevo apprezzato e condiviso le giuste preoccupazioni e i debiti accorgimenti per scongiurare eventuali casi di PSA nel territorio Italiano. Sempre negli anni scorsi ho lanciato l’allarme in Municipalità di Collagna, laddove vi é un allevamento intensivo di suini, poi girato per competenza con le debite preoccupazioni alla massima Autorità Sanitaria del Comune e all’Assessorato Caccia della Regione Emilia Romagna. Se devo essere sincero ho riscontrato in merito alle mie più che fondate preoccupazioni un palese menefreghismo e non ho visto mettere in atto azioni da adottare per scongiurare esposizioni a contagi di PSA nel Nostro territorio. L’idea che mi son fatto a livello nazionale é quella più volte espressa che il Covid non ci ha insegnato nulla e ancora una volta siamo qui a fronteggiare un emergenza sanitaria della quale ne eravamo preoccupati ma a mio avviso non abbiamo adottato tutti gli accorgimenti del caso!
    Ricordo che a grandi linee la filiera della carne suina vanta qualche punto di PIL, circa 30000 posti di lavoro è un export da favola!
    Il Servizio Veterinario dell’Emilia Romagna già negli anni scorsi, più preoccupato di altri, professionalmente ineccepibile, raccomandava di non lasciare in giro gli avanzi del panino con insaccati in quanto potevano essere un vettore per il virus della PSA, mentre ancor oggi in tante Città d’Italia si lasciano foraggiare popolazioni di cinghiali nei centri abitati con avanzi di cibo e ancor peggio si lasciano mangiare liberamente nei rifiuti indifferenziati a volte lasciati impropriamente a terra!
    Casualmente il grosso dei casi di PSA riscontrati ad oggi sono stati riscontrati nelle vicinanze di quelle Città dove giornalmente si vedono sui Social foto di gruppi di cinghiali che vengono lasciati girare liberamente nei centri abitati o, come accade a mio parere in Molise, laddove vi é una densità alta di questi ungulati.
    Adesso va di moda recintare ma é doveroso ricordare che per recintare si utilizza fondi Pubblici e se non ricordo male la Regione Piemonte ha preventivato diversi milioni di euro per poter recintare laddove si ritiene opportuno farlo per arginare le decine e decine di casi di PSA accertati.
    Infine non tralasciamo la numerosa presenza di lupi, in parte apparentemente ibridati, che probabilmente fungono da vettore al propagarsi di tale virus!
    Sempre a disposizione per chiarimenti. Marino.

    Marino

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