Il primo caso di Monkeypox (vaiolo delle scimmie) è stato diagnosticato ad un cittadino cileno trentacinquenne presentatosi ieri pomeriggio al pronto soccorso del Policlinico di Sant’Orsola.
L’uomo ha alloggiato a Madrid all’inizio di maggio e, con ogni probabilità, è lì che è stato contagiato. A metterlo in allerta, infatti, è stata la notizia che in un locale, in cui era stato, erano stati segnalati più casi positivi e per questo motivo il locale era successivamente stato chiuso. Prima di arrivare in Italia, lo scorso 24 maggio, ha viaggiato in Germania.
Durante la visita il paziente ha mostrato di essere in buone condizioni di salute, presentando un numero limitato di vescicole cutanee, alcune delle quali sui palmi delle mani e sulle piante dei piedi. È stato sottoposto al tampone previsto in questi casi (si analizza un campione del liquido contenuto in una vescicola).
Il test virologico effettuato dal Crrem, laboratorio di riferimento regionale per le emergenze microbiologiche del Policlinico di Sant’Orsola ha confermato l’ipotesi clinica: il paziente è risultato positivo al Mpxv, il Monkeypox virus. Adesso è ricoverato in isolamento presso il reparto di malattie infettive dell’ospedale Sant’Orsola.
Il virus, identificato per la prima volta nelle scimmie in cattività nel 1958 e poi nel 1970 in un uomo della Repubblica Democratica del Congo, è una malattia infettiva piuttosto rara nell’uomo, ma già conosciuta e diffusa in Africa. Il virus si tramette attraverso il contenuto liquido delle vescicole, che appaiono appunto nei soggetti infetti.
Nel passato alcuni casi sporadici sono stati identificati negli Stati Uniti, in Israele, a Singapore e in Gran Bretagna, sempre collegati a viaggi o trasporto di animali da aree a rischio.
La malattia è benigna e tendenzialmente regredisce spontaneamente in 2-4 settimane senza terapie specifiche.