La prima lettura descrive un momento cruciale della storia della prima Chiesa, quando cioè essa si è aperta ai convertiti pagani. Inizialmente infatti gli apostoli incaricati della guida della Chiesa mantennero un’impostazione “giudeo-centrica”, secondo la quale il Vangelo di Cristo era indirizzato principalmente al popolo d’Israele; se un pagano voleva entrare a far parte di questa chiesa doveva anche rispettare tutte le pratiche religiose della tradizione ebraica (come ad esempio la circoncisione). Fu l’apostolo Paolo a tracciare una nuova via, proprio come leggiamo nel passo proclamato oggi: Cristo è venuto per tutte le genti, indistintamente, ebrei o pagani che siano. È quindi compito del testimone di Cristo annunciare la resurrezione a tutti i popoli, affinché ogni figlio di Dio sia salvato attraverso Cristo.
Se la prima lettura racconta il passato della comunità dei fedeli, la seconda lettura ne preannuncia il futuro. Il brano dell’Apocalisse mostra infatti una moltitudine di persone, di ogni nazione e lingua, che loda e serve Dio al suo cospetto per l’eternità. Tutte queste persone sono riunite attorno alla figura dell’Agnello, presentato come loro pastore. Benché infatti la Chiesa abbia un suo vertice (rappresentato da Pietro, ovvero il papa), alla guida di essa resta sempre Cristo risorto.
La figura del pastore è anche al centro del brano del Vangelo. In queste poche righe sono racchiuse le chiavi per fare parte della comunità dei fedeli e il modo corretto di vivere la fede in Cristo. Contestualizziamo brevemente l’episodio: ci troviamo a Gerusalemme, nel portico di Salomone, durante la festa della Dedicazione, che ricorda la nuova consacrazione del Tempio dopo la cacciata dei Seleucidi da Israele nel 165 a.C.; come allora Israele era stato liberato dall’influenza pagana del regno ellenico, così ora gli Ebrei stavano aspettando un Messia potente che li liberasse dal giogo romano. Tuttavia l’immagine del Messia portata da Gesù è totalmente diversa. Importantissimi sono a tal proposito i verbi utilizzati dall’Evangelista nel discorso fatto da Gesù ai suoi ascoltatori. Il primo è “ascoltare” («Le mie pecore ascoltano la mia voce»). Sappiamo che nel linguaggio biblico l’ascolto è un atteggiamento attivo, che implica di fare ciò che si ascolta: se non siamo disposti ad ascoltare, e quindi a mettere in pratica, non possiamo affatto definirci credenti. Il secondo è “conoscere” («e io le conosco»). La conoscenza qui intesa non è del tipo nozionistico che oggi intendiamo, ma riguarda un rapporto intimo tra il conoscente e il conosciuto, profondo come quello tra due coniugi; Cristo ci conosce intimamente e ci ama per quello che siamo con un amore infinito. Il terzo verbo è “seguire” («ed esse mi seguono»); questo punto è decisivo. La fede non è una cosa statica; non è nemmeno qualcosa che si possiede appieno o non si possiede affatto, ma è un cammino da percorrere giorno dopo giorno e da condividere insieme con i propri fratelli. Queste tre azioni sono così intrinsecamente legate che l’una implica necessariamente le altre due, così da costruire un percorso di fede fecondo. Chiunque sarà in grado di raggiungere questo scopo, con l’aiuto di Dio, riceve la vita. A tal proposito occorre fare una precisazione: la “vita” qui intesa non è il suo senso biologico (bíos) ma la sua qualità profonda (zoé), che in Cristo troverà la sua massima espressione. Ma attenzione: la vita eterna non è una vaga promessa futura, ma si inizia a vivere già oggi, su questa terra!
Se saremo in grado di vivere secondo gli insegnamenti del buon Pastore, non saremo perduti: non lasceremo che la nostra vita si disperi nell’assenza dell’amore di Dio, ma saremo di Cristo e, in esso, intimamente uniti a Dio Padre. Mettiamoci quindi all’ascolto di Cristo, cerchiamo di conoscerlo meglio e di seguirlo con tutte le nostre forze!
Buona domenica