Nella prima lettura di questa domenica il tema centrale è la testimonianza dei discepoli davanti al sommo sacerdote, che voleva stroncare il loro insegnamento sul nascere. Laddove i sacerdoti ritenevano la dottrina professata da Gesù contraria alle leggi ebraiche, i discepoli ne affermano con forza l’origine divina, tanto da subire le pene fisiche della loro fede. Il prezzo di questa testimonianza è intravisto nella seconda lettura, dove tutti gli esseri del Creato offrono incessantemente le loro lodi all’Agnello pasquale.
Il brano del Vangelo odierno, in continuità con le scorse domeniche, ci presenta la terza apparizione di Gesù risorto ai suoi discepoli. È un brano molto discusso dagli esperti, alcuni dei quali ritengono non si tratti della cronaca di un episodio reale quanto piuttosto di un racconto con un profondo senso teologico per la prima Chiesa. Innanzitutto questa terza apparizione si svolge in un comune giorno lavorativo, in cui i discepoli si stavano dedicando alla pesca; già questo particolare è rilevante, perché sta a significare che Gesù non si manifesta solo durante i giorni dedicati alla celebrazione, ma in ogni momento della nostra vita. Riportando la mente al vangelo della vocazione dei primi discepoli, intuiamo che la barca in cui salgono i discepoli del brano odierno è il simbolo della Chiesa, guidata da Pietro. Il loro elenco riassume le diverse anime che compongono la Chiesa stessa: Pietro è colui che la guida, Tommaso è il discepolo dubbioso, Natanaele è il più legato alla tradizione, Giacomo e Giovanni sono i “fanatici”, i due discepoli senza nome sono tutti i cristiani che vivono la fede nell’ordinarietà. In tutto sono nominate sette persone, perché il sette è il numero della completezza e della perfezione. La pesca in cui sono intenti i discepoli deve essere intesa come l’opera di evangelizzazione a cui sono stati chiamati. Tuttavia, dopo un’intera notte trascorsa a pescare, le reti sono ancora vuote. Perché? Perché la vera evangelizzazione non si può ottenere confidando nelle proprie forze umane, ma necessita della Parola di Gesù: solo grazie alle istruzioni di Cristo i discepoli riescono finalmente a riempire le loro reti e a far fruttificare il loro lavoro. Il successo del loro risultato è reso evidente dalla quantità considerevole di pesci pescati («centocinquantatré»), a testimoniare il grande numero di uomini e donne che saranno raggiunte dalla buona notizia del Vangelo.
Di fronte a questo risultato inaspettato, «il discepolo che Gesù amava» persuade Pietro che quell’uomo misterioso che li attendeva alla riva era proprio il Signore. Solo lui, pieno d’amore verso Gesù, poteva riconoscerlo, perché solo con l’amore del Signore si può riconoscere Cristo risorto nella propria vita e nella vita della Chiesa. La nuova consapevolezza di Pietro lo porta a stringersi la veste ai fianchi e a buttarsi in acqua per raggiungere la spiaggia. Lo strano gesto di vestirsi prima di tuffarsi racchiude un significato simbolico: nel testo originale del Vangelo, infatti, il verbo greco che rende l’italiano “stringersi la veste attorno ai fianchi” è lo stesso usato da Giovanni nel descrivere l’azione compiuta da Gesù al momento della lavanda dei piedi, durante l’ultima cena. Alla visione dei frutti dell’evangelizzazione, Pietro si mette quindi alla sequela di Cristo nel servizio verso i fratelli, diventando un autentico “servo dei servi” di Dio. Finalmente, arrivati alla spiaggia, Gesù consuma con i suoi discepoli un pasto fatto di pane e pesce, che riecheggia sia i cibi moltiplicati per sfamare la folla sia l’Eucarestia celebrata con gli apostoli prima di morire e continuamente ripetuta in ogni nostra celebrazione.
Il brano si conclude con un significativo dialogo in cui Gesù si rivolge per tre volte a Pietro chiedendogli se quest’ultimo lo ama. Spesso si associano queste domande alle tre volte in cui Pietro ha rinnegato Gesù dopo il suo arresto, quasi che in questo modo Pietro possa in un certo senso compiere ammenda davanti al Signore. Notiamo alcune particolarità: Gesù si rivolge a Pietro chiamandolo col suo vero nome («Simone, figlio di Giovanni»), come se volesse rivolgersi direttamente alla persona nel suo intimo e non in virtù del suo ruolo di capo dei discepoli. Inoltre, benché Gesù chieda a Simone se lui lo ami, questi ammette di volergli bene (come se si sentisse inadeguato nel corrispondere all’amore di Gesù); solo alla terza volta Gesù si adeguerà alle parole del discepolo, il quale, benché «addolorato», confermerà la sua sincera fedeltà al Maestro (che vivrà fino alle estreme conseguenze con il martirio a Roma).
Le domande rivolte dal Signore a Simon Pietro sono rivolte anche a noi, che siamo visitati dalla sua grazia ogni giorno nella nostra vita. Chiediamogli perciò il dono di saperlo riconoscere durante le nostre attività svolte in comunione con i nostri fratelli, così da essere capaci di cingerci le vesti ai fianchi e metterci al suo servizio.
Buona domenica
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