Si sta avvicinando il carnevale e ho pensato di raccontarvi il mio di molti anni fa. Avevo quindici anni, fino allora il carnevale in casa mia si risolveva con un cestino di “intrigoni” fritti in abbondante strutto e ricoperti di zucchero che poi sparivano subito, appena scendevano in cucina i miei fratelli maschi prima di recarsi al lavoro.
Come dicevo avevo quindici anni e una sera mio fratello Nello più grande di me di dieci anni mi disse: “La prossima settimana è giovedì grasso, la sera ti porto con me a festeggiarlo nel teatrino delle suore”.
Non aggiunse altro, lui è sempre stato di poche parole. Restai stupita, non credevo alle mie orecchie, eppure l’aveva detto a tavola davanti al papà e alla mamma, allora era una cosa vera e pensavo: “Ma perché mai mi ha fatto un invito del genere? Da tempo non si occupava più di me, mi aveva insegnato a leggere, a scrivere, a studiare le poesie, ma poi a un certo punto avevo perso anche lui come Nilo che se ne era andato in seminario. Ora si rifaceva vivo, mah! Forse questi ragazzi della parrocchia si erano proposti di invitare anche le ragazze, forse ne mancava una per completare il numero”.
Aspettai il giovedì gasso con ansia, ma non gli chiesi mai niente a questo fratello grande che sapeva tante cose, mi faceva un po’ soggezione. Arrivato il fatidico pomeriggio mi disse: "Preparati alle otto dobbiamo essere là”. Gonna scozzese pieghettata, maglioncino rosso lavorato ai ferri da me, calzettoni e scarponi, questo era ciò che offriva il mio guardaroba, ma mi spazzolai a lungo i capelli biondi, lunghi e ricci e li raccolsi in una coda.
Fuori in terra c’era la neve e continuava a cadere qualche fiocco, perciò lui andava avanti e io lo seguivo cercando di mettere i piedi dentro le sue orme. Arrivati alla Sarzassa, trovammo altri ragazzi che erano appena usciti di casa che si unirono a noi, Rigadìn, Giurgiùn, Piero, Dingo, Merigiòt e altri che non ricordo il nome, era tutto un chiacchierare accompagnato da risate e io un po’ intimidita da tutti questi maschi li seguivo stando un passo indietro.
Entrammo nel teatrino cercando prima di sbattere bene i piedi e i cappotti pieni di neve. Avevano cambiato posto alle sedie, c’era musica e un tavolo con in bella vista piatti di intrigoni, tortellini, frittelle e qualche bottiglia di vino e l’Iride Agosti che faceva da padrona di casa e offriva i dolci.
Subito l’Elide e l’Ermanna che io conoscevo per aver recitato con loro, mi prendevano e mi portavano dietro al palco, dove c’erano la Iolanda Cavazzoni , la Pasquina e altre ragazze e mi spiegano: “Devi fare una parodia di Vittorio”.
Cominciarono a togliermi la gonna, m’infilarono un paio di pantaloni rossi attillati, dove da dietro al sedere, pendeva una lunga coda che finiva a punto interrogativo. Il maglione rosso andava bene, ma m’infilarono sopra una cotta da chierico con un lungo pizzo all’orlo, sui capelli un’aureola, ma dietro di essa spuntavano due corna rosse.
Intanto l’Ermanna mi spiegava: “Sai lui, è combattuto fra il bene e il male, fra la chiesa e la piazza, devono capire chi vogliamo rappresentare, ma assolutamente non devi fare nomi”.
In quattro e quattr’otto, mi spiegò cosa dovevo fare. Finalmente avevo capito il perché di quell’invito, avevano bisogno di una teatrante, loro non volevano compromettersi anche perché erano vicine di casa.
La serata cominciò con canti in coro o a soli di queste ragazze che avevano belle voci intonate, accompagnate al pianoforte dal cappellano “dun Svulàss”, poi i maschi cominciarono a fare imitazioni, poi barzellette raccontate da Bruno Simonazzi (era più grande di noi, ma si divertiva in mezzo ai giovani) lui di barzellette, ne aveva un repertorio ben fornito e sapeva raccontarle così bene che ti incantava e alla fine scoppiavano le risate.
A un certo punto mi buttarono fuori conciata in quel modo. Restai un attimo perplessa sentendo la risata unanime, ma poi cominciai a muovermi accarezzandomi la coda, fingevo di pregare, ma poi cambiavo espressione dicendo parolacce, mi inginocchiavo, poi mi alzavo facendo le corna ecc… Tutti avevano capito chi mimavo, solo lui non l’aveva capito oppure fingeva e alla fine applaudirono tutti.
Poi giocammo come bambini facendo girotondi e alla patacca o allo schiaffo del soldato, intanto avevo recuperato la mia gonna pieghettata a quadri rossi e verdi e cominciavano a piovere coriandoli e stelle filanti, mentre i ragazzi sturavano le bottiglie e facevano brindisi, poi il cappellano si metteva a suonare “Vola stornello a pungolo” una canzone in voga, un po’ “osè” per quel periodo. Mi divertii con questi ragazzi, semplici, buoni, genuini.
Certamente c’era anche chi a carnevale, andava a ballare al “Gatto Verde”, per esempio le mie amiche di Bagnolo, la Mirella, la Miranda e la Marina ci andavano accompagnate da una mamma, che stava seduta vicino alla parete, ma teneva gli occhi ben aperti per controllare le ragazze affidate a lei per l’occasione (non si sa mai cosa poteva succedere), ma allora era così.
Torniamo ai ragazzi di Azione Cattolica, frequentatori della parrocchia, a mezzanotte in punto, tutti cominciarono a mettersi il cappotto era ora di rientrare, in quel periodo non si scherzava con l’orario, potevi trovare la porta di casa sbarrata. Questo è stato il mio primo e forse ultimo carnevale, non ne ricordo altri se non per vestire e far giocare dei bambini.
Elda Zannini
Ancora una volta, Gentile Signora, scava nella mia memoria: il carnevale al “treatrino delle suore”
Dalla Divina Commedia ( solo inferno) di Giansoldati, Favali, Campari, Annigoni. (anno 1964)
Nel mezzo del cammin
della Sarsassa,
dopo l’ospedal,
ma prima della piazza,
mi ritrovai un dì
da un figaro provetto
per forza di parole e
lume d’intelletto.
Quel dì nevicava e tempestava
ed Egli contro Moro imprecava
chè i suoi calli da gran capitalista
vittime erano del centro-sinistra …
…
Quando la finimmo, dopo non aver dimenticato nessuno del paese, andammo dal dott. Pedrazzoli, il farmacista, per le correzioni del testo: “Ragazzi, al di là delle rime e della metrica che fanno schifo, non avete neanche la più lontana idea di quante querele vi arriveranno”.
Non andò mai in scena.
Giovanni Annigoni
Queste “Satire” nel passato venivano attaccate alla porta del comune, naturalmente di notte di nascosto e senza firma. Un bel ricordo del nostro teatrino.
EldaZannini