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La tragica sorte di Paulinho in un documentario

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Dall’Italia, da più di 20 anni, in lotta contro il traffico illegale di organi in Brasile

22 anos lutando por justiça. 13 anos asilado pelo Gov. Italiano” (Ventidue anni lottando per la giustizia. Tredici anni in asilo presso il Governo italiano). È la battaglia infinita di un padre brasiliano, Paulo Airton Pavesi, 55 anni, costretto ad abbandonare il suo paese perché minacciato a causa di quanto ha scoperto. Nel 2008 è arrivato per la prima volta in Italia e ora vi è tornato, dopo diverse peripezie, e da qualche mese vive in Appennino, a Castelnovo Monti. Ora cerca un produttore per raccontare la sua storia in un documentario.

Suo figlio, Paulinho, oggi avrebbe 32 anni, se non fosse stato assassinato - racconta -, a soli 10 anni, nel silenzio e con la compiacenza delle autorità e del governo brasiliano, al fine di espiantargli gli organi e venderli. Nonostante la disperazione - la sua vita e quella della sua famiglia sono state completamente distrutte -, lui non si è mai arreso. Ha indagato e portato in tribunale un’equipe di medici degli ospedali Pedro Sanches e Santa Casa di Poços de Caldas, poi incriminati. Ma nessuno ha ancora pagato in modo definitivo. La giustizia, in Brasile, è lenta e corrotta - denuncia -, il traffico degli organi un crimine silenzioso e un mercato che muove grandi cifre (un rene può costare dai 20 mila ai 200 mila dollari), e di cui non si può parlare.

“Mio figlio è stato assassinato in una clinica nell’aprile del 2000 - precisa -, è stato portato là dopo una caduta dal terrazzo da un’altezza di 10 metri, ma stava bene, parlava con la mamma. Nel 2004 ho portato il caso a una commissione parlamentare d’inchiesta in Brasile. Sono riuscito a impossessarmi di alcuni documenti (però tanti mancano ancora, come la Tac al cervello di mio figlio), e a dimostrare che in quell’ospedale un’organizzazione criminale si occupava di traffico illegale di organi. Sono stati condannati 6 medici, gli ultimi tre nel 2021; di uno ho chiesto l’assoluzione. Un altro medico, il principale attore nella vicenda, è riuscito a rimandare il giudizio al 20 febbraio. È incredibile essere riusciti a farli condannare, ma, con la possibilità dei ricorsi, è praticamente impossibile che finiscano in prigione. Nel frattempo hanno cambiato ospedale, ma continuano a lavorare”. 

Pavesi ha investito molte risorse in questo lungo percorso legale, senza ricevere alcun indennizzo. “Ho speso tantissimi soldi - sottolinea -. Ho perso la mia famiglia, il mio lavoro, l’auto, l’appartamento. Nel 2018 ho anche avuto un infarto, e non riesco più a lavorare. Ma in Brasile non ci sono aiuti per i famigliari delle vittime, solo per i criminali. Sono riuscito a parlare con la Ministra dei Diritti umani, ma ha cercato di farmi passare per un’opportunista”.

Negli anni Paulo ha fatto scoperte importanti. “È emerso che quel traffico era coperto dal Governo - rivela -, e finanziato dal Ministero della Salute. C’era una lettera di un politico brasiliano che chiedeva a uno dei dottori incriminati un rene per un amico, era stata inserita nell’inchiesta, poi è sparita, ma ho la deposizione del capo della polizia federale che ne riconosce l’esistenza”.

In Brasile sono 40mila i bambini che scompaiono ogni anno senza lasciare traccia. “I diritti umani non sono rispettati - commenta -, la giustizia funziona bene solo se la stampa si occupa della vicenda, e del mio caso purtroppo non se n’è parlato”. 

Per denunciare tutto questo, Paulo sta lavorando a un documentario. “È un’idea che ho da tempo - spiega -. Nel 2009 ho collaborato con il regista Roberto Rasi a un documentario, e abbiamo pensato di farne uno sulla tragedia toccata a mio figlio, però lui ne aveva in mente uno più romanzato, io uno più giornalistico. Nel 2014 ho scritto un libro, ‘Trafico de orgaos no Brasil’ (Traffico di organi in Brasile), non me l’hanno lasciato vendere, ma è disponibile su Amazon, ed è stato letto da più di 60mila persone. Ora sto scrivendo il documentario, ‘Meu filho e eu’ (Io e mio figlio). In Brasile ho fatto un crowdfunding, ma il Governo mi osteggia. Cerco un produttore e collaborazione per realizzarlo”. (Per contattarlo: [email protected]).

 

 

 

La storia di Paulinho

Paulinho, Paulo Veronesi Pavesi, è un bambino dolce e solare di 10 anni. Nell’aprile del 2000, cade da un’altezza di 10 metri da un terrazzo di una palazzina, a Poços de Caldas, nel Minas Geiras (Brasile), e ha un trauma cranico. Viene soccorso da un vicino e portato subito all’ospedale della città. Paulinho è cosciente e parla con la mamma. I medici gli inducono un coma controllato, lo sottopongono a una Tac e dicono ai genitori che deve essere operato per togliere un coagulo di sangue. 

Il giorno dopo il padre viene informato della sua morte cerebrale e firma il consenso per la donazione degli organi. Un’equipe trasferisce il bambino in un altro ospedale e con un’anestesia generale gli vengono estratti gli organi, ma non c’è conferma della morte encefalica, nessun documento che lo attesti. 

Il padre, Paulo Airton Pavesi, di origini italiane da parte del bisnonno (emigrato in Brasile nel 1896) e amministratore informatico in una multinazionale, sporge denuncia alla polizia e inizia a indagare. Scopre che gli organi sono stati estratti quando il figlio era ancora in vita, e anche un traffico illegale di organi, coperto dalle autorità. Da quel momento inizia un battaglia legale che non si è ancora conclusa. Si susseguono i processi, alcuni medici vengono indagati e incriminati. Lui stesso viene accusato di calunnia ma assolto. Nel 2021 altri tre medici vengono dichiarati colpevoli, però Paulo chiede che uno venga assolto, perché non ci sono prove della sua partecipazione all’organizzazione, mentre un altro viene rinviato a giudizio al 20 di febbraio di questo’anno.

Nel frattempo la vita di Paulo viene completamente sconvolta. La moglie cade in depressione e si separano. Paulo conosce una giornalista che lo aiuta nelle indagini, s’innamorano, diventa la sua compagna e hanno una figlia. Ma a causa delle indagini svolte da Paulo, subiscono minacce e vivono in costante pericolo, per cui decidono di trasferirsi in Italia. Tramite una famiglia brasiliana che vive nel Reggiano, i De Barros, a cui è scomparsa una nipote in Brasile, entra in contatto con il presidente della Caramella Buona, Roberto Mirabile, e nel 2008, unico caso in occidente, ottiene una specie di asilo politico, un permesso umanitario dalla commissione territoriale ministeriale di Milano, poi nel 2009 la cittadinanza italiana. 

Subito dopo lo raggiunge la sua nuova famiglia, ma nel 2012 per problemi economici si trasferiscono in Inghilterra. Paulo trova lavoro in un ospedale. Nel 2016, per pressioni varie, si separa dalla compagna. Nel 2018 ha un infarto e non può più lavorare. Nel 2019, dopo 11 anni, torna in Brasile, ma là non è cambiato nulla: non si sente al sicuro, la situazione si fa pericolosa, e decide di tornare in Italia, anche con l’idea di lavorare a un documentario che racconti tutta la sua storia. Va a vivere prima in provincia di Viterbo, poi tre mesi fa si trasferisce a Castelnovo Monti con la sua nuova compagna. Nel 2021 fonda anche l’Instituto Paulinho Pavesi (https://paulinhopavesi.com/) e sta lavorando a un app per aiutare le persone a sporgere denuncia in caso di mala sanità.

(Giuliana Sciaboni per Il Resto del Carlino - Reggio Emilia)