Sergio Mattarella con 759 voti è stato rieletto presidente della Repubblica. Il giuramento è previsto per il 3 febbraio.
Per l’elezione del Presidente della Repubblica è andato in scena, ancora una volta, uno spettacolo indegno: ‘la politica’ ha dato il peggio. Nonostante nei mesi scorsi avesse, più volte, lasciato intendere che non era interessato alla rielezione, il Capo dello Stato ha preso atto della situazione che si è venuta a creare e ha dato la sua disponibilità. Dopo sei giorni, all’ottava votazione, è stato rieletto Presidente della Repubblica.
Le sue parole dopo l'elezione: “Ringrazio i Presidenti della Camera e del Senato per la loro comunicazione. Desidero ringraziare i parlamentari e i delegati delle Regioni per la fiducia espressa nei miei confronti. I giorni difficili trascorsi per l’elezione alla Presidenza della Repubblica nel corso della grave emergenza che stiamo tuttora attraversando - sul versante sanitario, su quello economico, su quello sociale – richiamano al senso di responsabilità e al rispetto delle decisioni del Parlamento. Queste condizioni impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati – e, naturalmente, devono prevalere su altre considerazioni e su prospettive personali differenti – con l’impegno di interpretare le attese e le speranze dei nostri concittadini”.
Buon lavoro Presidente!
Questo epilogo viene visto da molti come una sconfitta, o debolezza, oppure irrisolutezza, se non di più, della politica, e anche in queste righe se ne coglie l’eco, ma una tale condizione della politica, se fosse effettiva, dovrebbero sostanzialmente intestarsela quanti hanno in qualche modo contribuito alla proliferazione dei partiti, rispetto al passato, il che rende oggettivamente più difficile raggiungere un accordo (peraltro, anche allora sono talora occorse numerose votazioni per poter scegliere l’inquilino del Colle).
Prima di addossare tutte le colpe alla politica, mi chiederei però se una qualche responsabilità non sia ravvisabile anche nel nostro sistema di voto, e piuttosto che pensare ad una riforma elettorale, come si legge all’interno dell’articolo “Quirinale, Mattarella bis: le reazioni dei politici locali”, io vedrei preferibile una riforma costituzionale, che cerchi di conciliare la governabilità con la rappresentanza, visto che quest’ultima pare molto sentita, se stiamo appunto al modo con cui gli elettori distribuiscono il proprio voto.
Per quanto posso capirne, a me sembra che una combinazione del genere sarebbe ottenibile tramite il presidenzialismo, col candidato a tale carica sostenuto da una o più lista di partito, ciascuno col proprio simbolo, così da salvaguardare la rappresentanza, la quale funzionerà nel contempo da contrappeso rispetto al potere e alle prerogative del Presidente (avremmo a mio vedere un sistema “forte” ma anche bilanciato, in cui tutte le figure vengono designate dagli elettori, ma è solo un semplice ed opinabile punto di vista).
P.B. 30.01.2022
P.B.
Io credo invece, ma è solo una mia altrettanto opinabile opinione, che l’attuale sistema di elezione del Presidente della Repubblica sia stato studiato dai nostri Padri Costituenti proprio per avere al Quirinale una figura imparziale, tecnicamente preparata, garante della Costituzione e delle nostre Istituzioni. Una elezione diretta, al contrario, rischierebbe di trasformarsi in una tornata elettorale dove ogni partito (o coalizione) cercherebbe di convincere gli elettori a votare un Presidente che sia di parte, e che tuteli gli interessi di una sola delle “fazioni”. E ciò non gioverebbe ai nostri equilibri istituzionali. Un Presidente della Repubblica, nel nostro ordinamento, non può e non deve essere eletto a colpi di numeri e di maggioranze, ed una elezione diretta andrebbe a mio avviso proprio in questa direzione. Di conseguenza, per introdurre una elezione diretta del Presidente della Repubblica, bisognerebbe rivederne il ruolo, ed in pratica riscivere o quasi la notra Costituzione e rivedere completamente il nostro assetto istituzionale.
Andrea
Se si andasse verso il presidenzialismo, per rispondere ad Andrea, verrebbe di riflesso naturale rivedere i ruoli istituzionali, posto che nella figura del Presidente convergerebbe il cosiddetto potere esecutivo, come credo avvenga nella maggior parte dei Paesi in cui vige tale sistema, e a quel punto andrebbe giocoforza ridisegnato anche l’insieme dei contrappesi (elemento indispensabile in una democrazia).
Gli esempi in tal senso non mancano fuori dai nostri confini, ma volendo tener presente anche la nostra mentalità e tradizione – che per certi versi è rimasta legata al proporzionale, e ai partiti identitari – la vedrei giustappunto rispettata da un modello in cui il candidato alla Presidenza è sostenuto da una lista o coalizione di liste, ciascuna col proprio simbolo, i cui candidati saranno eletti in maniera proporzionale.
Sulla falsariga, in buona sostanza, del metodo vigente per le elezioni regionali, dove il Presidente esercita funzioni di governo, tramite la rispettiva Giunta, ma necessita nel contempo della fiducia espressa dalla maggioranza dei componenti del Consiglio, ferma restando la centralità dell’organismo preposto alle decisioni politiche, ossia ai provvedimenti che incidono sul quotidiano della nostra società.
P.B. 31.01.2022
P.B.
Egregio P.B.
riforme costituzionali così ampie (e anche molto meno a dire il vero), sono sempre state clamorosamente bocciate nei rispettivi referendum costituzionali.
E come dare torto al pronunciamento popolare, visto che a riscrivere oggi la costituzione non ci sarebbero più i nostri Padri Costtituenti, ma piuttosto Salvini, Letta, Meloni, Renzi, Berlusconi, Conte e tutta la loro pletora di scagnozzi? Concordo con Giovanni Annigoni: parliamo di graffiti su muri scrostati di una realtà che non c’è più..
Andrea
Riguardo ai Referendum costituzionali, a me sembra che le cose non siano sempre andate come le descrive Andrea, visto che quello del 2001 approvò la riforma del Titolo V della Costituzione, allora voluta e sostenuta da una determinata parte politica, la quale oggi non vorrebbe forse averne la paternità visto lo scarso entusiasmo che sembra aver suscitato tale riforma (nella fase attuativa).
Fermo restando il riconoscimento dovuto ai Padri Costituenti per il grande e delicato lavoro allora svolto, si può supporre che la Carta da loro concepita risentisse di quel momento storico, il che può renderla “aggiornabile”, pur se non obbligatoriamente, ma in ogni caso andrebbe riconsiderata nel suo insieme (chi vi accennò a cavallo anni Settanta-Ottanta parlava infatti di Grande Riforma).
Circa i “graffiti su muri scrostati di una realtà che non c’è più”, mi sono già espresso nei commenti ad altro articolo di due giorni fa, sempre in tema Quirinale, e riportante il pensiero dei politici locali, e qui mi limito a dire, riguardo ad una realtà non più esistente, che quella realtà non è venuta meno per una casualità o per uno scherzo del destino, il che dovrebbe farci quantomeno riflettere.
P.B. 01.02.2022
P.B.
Egregio P.B.
il referendum sulla riforma del Titolo V non è a mio avviso nemmeno lontanamente paragonabile a quella di cui stiamo discutendo (cioè trasformare la nostra repubblica da parlamentare a presidenziale), visto che al tempo furono riformati solo pochi articoli che regolamentavano il rapporto tra stato e regioni.
I successivi referndum costituzionali del 2006 e del 2016, al contrario, chiamavano i cittadini ad esprimersi su modifiche nettamente più sostanziali, che difatti sono state puntualmente bocciate. Questo io intendevo con “riforme costituzionali così ampie sono sempre state clamorosamente bocciate”.
La invito infine a non strumentalizzare quanto scritto da Giovanni Annigoni: non è affatto scontato, difatti, che la realtà che non c’è più (e che viene in qualche modo rimpianta) sia la stessa che intende lei, e cioè il periodo della Prima Repubblica dove tanti (troppi) politici hanno utilizzato il denaro e la cosa pubblica in maniera, per usare un eufemismo, estremamente disinvolta.
Andrea
Egregio Andrea,
a ben vedere, andando un po’ più indietro nel tempo, fino ad arrivare al 1991 e 1993, si tennero in quegli anni molteplici Referendum, con raggiungimento del quorum e prevalenza dei SI’, due dei quali inerenti al sistema elettorale e che farei abbastanza fatica a definire poco o nulla sostanziali, visto che portarono a cambiamenti di non poco conto nei temi a seguire, ma qui le opinioni possono ovviamente e legittimamente divergere.
Quanto alla “realtà che non c’è più”, a me sembra che in giro, checchè se ne pensi, non manchino rimpianti, e fors’anche ripensamenti, riguardo alla cosiddetta Prima Repubblica – da me non attribuiti in particolare a chicchessia – mentre non ho sentito dire altrettanto per periodi successivi, ma potrebbe essere che io non sia sufficientemente informato (basterebbe che qualcuno ritenesse di aggiornarmi in proposito).
P.B. 02.02.2022
P.B.
Egregio P.B.
mi stupisco, visto il suo livello culturale, di doverle ricordare che i referendum un po’ più indietro nel tempo, fino ad arrivare al 1991 e 1993, non erano relativi a riforme costituzionali. La prima riforma costituzionale sottoposta a referendum fu appunto quella sul Titolo V del 2001.
Riguardo i rimpianti, e ripensamenti, sulla prima repubblica, ci sono come ci sono per qualsiasi argomento, inclusi Hitler, Mussolini, Stalin e Pol Pot. Ma la mia impressione, forse sbagliata, è che la maggior parte degli italiani quel periodo non lo rimpianga affatto, ma che piuttosto i rimandi possano essere a stagioni precedenti, come quelle del dopoguerra o degli anni 60/70 (i periodi di De Gasperi, Berlinguer o Moro per intenderci…).
Andrea
La poca simpatia che Andrea sembra provare per la Prima Repubblica non dovrebbe fargli comunque dimenticare che anche i tre nomi da lui menzionati appartenevano a quell’epoca, e di uno di loro divenne celebre la eloquente frase “non ci faremo processare nelle piazze” – se l’ho riportata nella versione giusta – frase ricordata in anni recenti nell’Aula del Senato unitamente al discorso fatto in Parlamento, nel 1992, dal Segretario socialista (nonostante gli ostinati tentativi di quanti ne vorrebbero oscurare o “appannare” la figura, per usare un eufemismo).
Circa i Referendum, c’è chi vede negli effetti di quello del 1991 – ossia della preferenza unica nelle elezioni per la Camera – l’avvio del declino della Prima Repubblica, che non sarebbe poca cosa, mentre secondo altri si tratterebbe di mera coincidenza, ma al di là delle rispettive opinioni sta di fatto che nel marzo 1993 venne approvata la legge per l’elezione diretta del Sindaco, un bel cambiamento rispetto a prima, e da allora abbiamo sentito ripetutamente parlare, per simmetria, di “Sindaco d’Italia” (espressione che a mio vedere richiama da vicino il Presidenzialismo).
P.B. 03.02.2022
P.B.
Egregio P.B.
comunque lei cerchi di rigirare la frittata, di referendum costituzionali si stava discutendo. Tirare in ballo altri tipi di consultazioni, a prescindere dal fatto che abbiano o meno portato a “un bel cambiamento”, significa a mio avviso uscire dal seminato…
Riguardo infine alla caratura ed al profilo morale dei vari politici della Prima Repubblica, poi, credo che ognuno abbia la sua opinione in merito. Quello su cui dissento è, come appunto scritto in un commento precedente, strumentalizzare parole scritte da altri, visto che non è affatto scontato che chi rimpiange il passato, rimpianga la stesso passato di cui lei (unitamente ad una parte a mio avviso davvero minoritaria del paese) ha così tanta nostalgia…
Andrea
La frittata rigirata di Andrea resta comunque tale, e le sue due facce non divengono parti distinte e separabili, così come, fuor di metafora, norme costituzionali ed ordinarie non sono entità disgiunte e scollegate, vedi ad es. il caso dell’art. 21 della nostra Carta, il cui primo comma stabilisce che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, ossia un dettato che a me sembra piuttosto lapidario, e non interpretabile, anche perché non rimanda a successive leggi ordinarie il compito di disciplinare la materia, eppure, se non sbaglio, ve ne sono delle seconde, ossia ordinarie, che limitano in qualche modo il predetto diritto costituzionale (mettendo paletti che introducono, secondo un filone di pensiero, il “reato di opinione”, non previsto dal disposto costituzionale).
Intendo significare che norme costituzionali e ordinarie non mi paiono così inscindibili, e nel dirlo non mi sembra di “uscire dal seminato”, secondo le parole di Andrea, di cui conoscerei volentieri il parere riguardo a quanto ho di sopra esposto, e gradirei pure sapere se ritiene o meno che stiamo assistendo ad un Presidenzialismo di fatto, come più d’uno pensa, perché in caso affermativo mi sembrerebbe abbastanza naturale concepire una Riforma costituzionale in tal senso, in una coi relativi contrappesi, vedi il bicameralismo paritario, pur mettendo in conto che possa non superare la prova referendaria (nel Vecchio Continente c’è un Paese di antica democrazia che, per quanto è dato sapere, ricorre non di rado a consultazioni referendarie, senza destar stupore).
P.B. 05.02.2022
P.B.
Il mio parere riguardo a quanto ha di sopra esposto è, per l’appunto, che siamo usciti dal seminato. Pur essendo ovvio che norme costituzionali ed ordinarie non sono entità disgiunte, è altrettanto vero che la mia osservazione era relativa al fatto che cambiamenti sostanziali della Costituzione sono sempre stati bocciati quando sottoposti a referendum, il che significa, a mio avviso, che gli italiani sono in genere poco disposti ad apportare grandi cambiamenti alla nostra Costituzione. Tirare in ballo altri tipi di referndum, che hanno scoopi, meccanismi e regole diverse significa semplicemente accomunare mele e pere.
Riguardo il presidenzialismo di fatto, infine, personalmente non lo ravvedo per nulla, e ritengo che ancora per fortuna ci sia in Italia una centralità del parlamento che può sfiduciare il Presidente del Consiglio (come avvenne a Berlusconi nel 2011), o financo quello della Repubblica.
Andrea