Dal 7 febbraio riprendono gli incontri di catechismo in presenza

Il tema principale delle letture di questa domenica è l’annuncio, il compito che Dio ha affidato ai profeti perché portassero la parola del Signore a tutto il Suo popolo.
La Parola che Dio ci rivolge, lo abbiamo già intravisto nelle letture di domenica scorsa, è tagliente come una spada, perché ha lo scopo di purificare la nostra vita da ciò che l’allontana dalla volontà del Signore; per questo a volte può risultare molto difficile accoglierla, e ancor di più metterla in pratica nella nostra quotidianità.

Nella prima lettura, è Dio stesso a mettere in guardia il profeta Geremia dall’ostilità che avrebbe ricevuto dai suoi uditori (ma da cui Dio l’avrebbe difeso). Qual è il contenuto più profondo, più essenziale, dell’annuncio della parola di Dio? Come san Paolo ci mostra nella seconda lettura, esso è la carità, l’amore infinito e totale che Dio prova per ciascuno dei Suoi figli: senza di esso nulla avrebbe importanza, né l’annuncio della Parola né la stessa fede.
Come vediamo nel Vangelo, questo messaggio d’amore universale si realizza concretamente (potremmo dire, s’incarna) con Gesù, che può ben dire ai suoi concittadini riuniti nella sinagoga: «Oggi si è compiuta in mezzo a voi questa Scrittura che voi avete ascoltato». La sua rivelazione suscita nel cuore dei presenti dapprima stupore, poi una reazione di scandalo: da cosa è generato? Dai versetti precedenti del Vangelo (che abbiamo ascoltato domenica scorsa), sappiamo che Gesù aveva appena letto un brano del libro di Isaia (Is 61, 1-2) in cui il profeta veniva unto dal Signore per evangelizzare i poveri, annunciare la libertà agli schiavi, proclamare l’anno di grazia, ecc. Tuttavia Gesù sceglie di riavvolgere il rotolo del libro omettendo di leggere le seguenti parole: «[proclamare] il giorno di vendetta del nostro Dio». Nell’ottica ebraica la vendetta di Dio si sarebbe abbattuta sui popoli pagani, che non avevano conosciuto l’amore del Signore: decidendo di “censurare” queste parole Gesù afferma che il suo messaggio è rivolto a tutti gli uomini, sia ebrei che pagani: ogni uomo è oggetto dell’amore di Dio! Per questo non esiste vendetta nei piani di Dio, ma solo il desiderio di accogliere chiunque abbia il cuore puro per riceverlo.
I presenti, scioccati dalla scelta di Gesù, mettono in dubbio la sua buona fede. Se quell’uomo che stava parlando a loro era il «figlio di Giuseppe» (uomo giusto e retto, che non aveva mai messo in discussione la tradizione ebraica), come osava affermare qualcosa di contrario all’insegnamento predominante?
A quest’obiezione Gesù risponde citando due episodi presenti nell’Antico Testamento, in cui i profeti hanno aiutato non due ebrei osservanti ma due pagani, proprio per sostenere l’universalità del messaggio d’amore del suo vangelo.
Lo sdegno degli uditori di Gesù aumenta a tal punto che, cacciatolo fuori, lo conducono sul ciglio del monte fuori dalla città per gettarlo giù. Il momento apparentemente drammatico si conclude con un Gesù che, quasi impassibile, si allontana da loro per mettersi in cammino.

Tutta la scena ha un profondo significato spirituale: in senso teologico la montagna è il luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo; la volontà di voler gettare Gesù dalla montagna esprime il netto rifiuto che i nazareni oppongono al messaggio di Gesù che hanno appreso nella sinagoga. Di fronte a questa ostilità, il Signore non può fare altro che allontanarsi e mettersi in cammino, per diffondere il suo annuncio d’amore in tutta la Terrasanta.

E noi? Siamo pronti ad aprirci al messaggio dell’amore universale di Dio o vogliamo restare attaccati alle nostre finte sicurezze, ancorati alle nostre vane tradizioni, rinchiusi nei nostri sterili confini?
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