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Elda racconta: l’attesa

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Naturalmente vi voglio raccontare l’attesa del Natale di parecchi anni fa.

A otto anni ho passato un periodo di grande solitudine, la guerra era finita ormai da due anni, ma la mamma ne subiva ancora le conseguenze con la sua grande depressione dopo la morte di mia sorella e il papà faceva ancora fatica a parlare, poi in quel periodo mio fratello Nilo decideva di entrare in seminario a Marola. Questa decisione mi aveva fatto molto soffrire, perdevo il mio amico, fino a quel momento avevamo condiviso tutto, perdevo un compagno di giochi, di corse nei prati, di avventure nei boschi, una spalla che al momento giusto mi sorreggeva, così mi ritrovai con due fratelli molto più grandi che presi dai loro problemi, non si accorgevano neanche della mia esistenza. Così andavo avanti fra casa scuola e suore che erano l’unico mio rifugio in quel periodo.

Il mese di dicembre per noi era sempre stato un mese di attesa, arrivava il Natale, quando c’eravamo ancora tutti e cinque era tutto un progettare, presepe, albero, ecc…

Quell’anno mi ritrovai sola, ma caparbia com’ero non volevo passare un altro Natale triste e scarno come l’anno prima.

Cominciai a tirare fuori le statuine del presepe, mi rigirai in mano quel Gesù Bambino che anni prima mi aveva fatto felice quando il papà me lo aveva messo in mano, dopo averlo guardato per un po’ me lo infilai in tasca. Decisi: avrei fatto il presepe, l’albero no non sarei stata capace di andare sulle rive vicino al cimitero per tagliare un ginepro e neanche potevo chiederlo a qualcun altro.

Partii sola con Gesù Bambino in tasca Lui mi avrebbe accompagnato, mi infilai un cesto nel braccio e cominciai a girare nel bosco alla ricerca di muschio o di sempreverdi o di bacche. Ad ogni fruscio, ogni battito d’ali, mi irrigidivo, anche se ero nel bosco vicino a casa, lì tra rovi rinsecchiti e cespugli di spine, ero sola per la prima volta, anche lo scricchiolare delle foglie sotto i piedi mi facevano tendere l’orecchio, sapete ero cresciuta coi vari racconti di una volta che parlavano soltanto di diavoli e di lupi, però continuavo coraggiosamente a raccogliere muschio vicino al ruscello del Fontanone e rivoltavo sassi per trovarne uno adatto a simulare una grotta.

Infine tornai a casa coi piedi zuppi, le scarpe riciclate e molto usate, non mi avevano riparato abbastanza e le mani erano violacee, in più mi presi una severa ramanzina dalla mamma, perché non l’avevo avvisata. No non glielo avevo chiesto, perché sicuramente avrei ricevuto un bel no secco, lei nei boschi vedeva ancora quei figuri di due anni prima.

Adesso il necessario ce l’avevo, pensai che la stanza che era stata di mia sorella sarebbe andata bene, lì c’era un tavolo grande dove lei che faceva la sarta, tagliava le stoffe e c’era anche la macchina da cucire, una volta addossato a una parete, vicino a un grande armadio c’era anche un lettino dove dormivamo io e lei, ora però il papà l’aveva trasferito nella camera matrimoniale dalla sua parte, così per farmi sentire più protetta.

Il tavolo era lì bello grande e cominciai ad allestire il mio presepe, la camera non era riscaldata, come del resto anche le altre due stanze, la stufa era solo in cucina a pianterreno, ma chissà perché non sentivo assolutamente freddo, alla fine tirai fuori dalla tasca Gesù Bambino lo baciai, ma dopo un ripensamento lo rimisi dov’era per Lui era presto.

Guardavo la mia opera e vedevo la mamma sull’uscio che cercava di sorridermi, allora mi feci coraggio:

“Mama andemi àla mesa ed mesanota”. Mamma andiamo alla messa di mezzanotte?

Rimase colpita, ma mi disse di sì, forse pentita della sgridata che mi aveva dato, però aggiunse che non dovevo addormentarmi. Dovete sapere che in casa nostra non c’era neanche la corrente elettrica, ma solo un lume a petrolio che col calore della stufa ti invitava a chiudere gli occhi. Il papà che aveva capito quanto ci tenessi ad andare in chiesa, mi diceva:

“Alzati da vicino alla stufa e bevi una mescola d’acqua che il sonno ti passa”.

 Non so dirvi quanta acqua ho bevuto quella notte, ma nasceva Gesù e io volevo andare alla messa che Lo ricordava e poi in chiesa c’era il presepe grande da vedere.

Finalmente si sentiva in lontananza il coro dei “Carnolini” cantavano sempre quando erano in gruppo, arrivavano anche loro per andare a messa, allora la mamma, si alzava si metteva la sciarpona nera, grande, che poi era il suo cappotto (non gliene ho mai visto indossare uno) dopo accendeva il lume da carrettiere che si portava a mano e ci univamo al folto gruppo che passava. Il papà non veniva era ancora quel periodo che a messa non ci andava, ma non ha mai proibito a noi di farlo. La mamma era molto devota anche se per un certo periodo si era ribellata a questo Dio che la faceva soffrire e discuteva con Lui.

Arrivammo che era quasi mezzanotte, il coro cantava lassù in alto con le belle voci dei cantori e l’Onorevole che suonava l’organo, tutte le luci dei due lampadari centrali erano accese, sull’altare c’era già il prete, ma con un tuffo al cuore notai che mio fratello Nilo non c’era, Remo figlio di un mezzadro del prete era solo e non doveva più contendersi il campanello dell’Elevazione, sospirai e cominciai a guardarmi attorno. La chiesa era fredda, ma noi che arrivavamo da fuori lo eravamo di più, perciò nessuno ci faceva caso, ecco nell’altare dell’Immacolata c’era il presepe e andai lì davanti per guardarlo dicendo a me stessa:

“Anch’io quest’anno l’ho fatto, da sola senza l’aiuto di nessuno”.

Improvvisamente mi sentii grande come i miei fratelli, d’ora innanzi avrei deciso da sola cosa fare o non fare.

Beh vi dirò!!… Poi… Non è stato proprio così.

Quando tornammo a casa tolsi dalla tasca Gesù Bambino e lo misi fra la Sua Mamma e San Giuseppe, ora poteva starci finalmente era nato.

-TRILUSSA -

il presepe lo raccontava così:

Vi ringrazio de core, brava gente,

pè sti presepi che me preparate

ma che li fate a fa? Si poi v’odiate,

si de st’amore non capite gnente…

Pe st’amore sò nato e ce sò morto

da secoli lo spargo dalla croce,

ma la parola mia pare ‘na voce

sperduta ner deserto, senza ascolto.

La gente fa er presepe e nun me sente;

cerca sempre de fallo più sfarzoso,

però cià er core freddo e indifferente

e un capisce che senza l’amore

è cianfrusaja che nun cià valore.

Caro e amato Trilussa come è veritiero ciò che hai scritto.

Elda Zannini