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Giornata Internazionale delle Persone con disabilità, il messaggio di Papa Francesco

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"Voi siete miei amici" (Gv 15,14) il tema della Giornata Internazionale delle Persone con disabilità che ricorre oggi, venerdì 3 dicembre, e ripreso dal Papa nel suo messaggio alla comunità

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Cari fratelli e sorelle!
In occasione della vostra Giornata Internazionale, vorrei rivolgermi direttamente a voi che vivete una qualsiasi condizione di disabilità, per dirvi che la Chiesa vi ama e ha bisogno di ognuno di voi per compiere la sua missione al servizio del Vangelo.

Gesù, l’amico

Gesù è nostro amico! È Lui stesso a dirlo ai suoi discepoli durante l’Ultima Cena. Le sue parole giungono fino a noi e illuminano il mistero del nostro legame con Lui e della nostra appartenenza alla Chiesa. «L’amicizia con Gesù è indissolubile. Egli non ci abbandona mai, anche se a volte sembra stare in silenzio. Quando abbiamo bisogno di Lui, si lascia trovare da noi e sta al nostro fianco dovunque andiamo». Noi cristiani abbiamo ricevuto un dono: l’accesso al cuore di Gesù e all’amicizia con Lui. È un privilegio che abbiamo avuto in sorte e che diventa la nostra chiamata: la nostra vocazione è essere amici suoi!

Avere Gesù per amico è la più grande delle consolazioni e può fare di ognuno di noi un discepolo grato, gioioso e
capace di testimoniare come la propria fragilità non sia un ostacolo per vivere e comunicare il Vangelo. L’amicizia
fiduciosa e personale con Gesù può essere, infatti, la chiave spirituale per accettare il limite che tutti sperimentiamo e vivere in maniera riconciliata la propria condizione. Da essa può nascere una gioia «che riempie il cuore e la vita intera» poiché, come ha scritto un grande esegeta, l’amicizia con Gesù è «una scintilla che appicca l’incendio dell’entusiasmo».

La Chiesa è la vostra casa

Il Battesimo rende ognuno di noi membro a pieno di titolo della comunità ecclesiale e dona a ciascuno, senza esclusioni né discriminazioni, la possibilità di esclamare: “Io sono Chiesa!”. La Chiesa, infatti, è la vostra casa! Noi, tutti insieme, siamo Chiesa perché Gesù ha scelto di essere nostro amico. Essa – vogliamo impararlo sempre meglio nel processo sinodale che abbiamo intrapreso – «non è una comunità di perfetti, ma di discepoli in cammino, che seguono il Signore, bisognosi del suo perdono». In questo popolo, che avanza tra le vicende della storia guidato dalla Parola di Dio, «tutti sono protagonisti, nessuno può essere considerato semplice comparsa. Per questo anche ognuno di voi è chiamato a portare il proprio contributo al percorso sinodale. Sono convinto che, se esso sarà davvero «un processo ecclesiale partecipato e inclusivo», la comunità ecclesiale ne uscirà realmente arricchita.

Purtroppo, ancora oggi molti di voi «vengono trattati come corpi estranei della società. Sentono di esistere senza appartenere e senza partecipare», e «ci sono ancora molte cose che [vi impediscono] una cittadinanza piena».

La discriminazione è ancora troppo presente a vari livelli della vita sociale; essa si nutre di pregiudizi, di ignoranza e di una cultura che fatica a comprendere il valore inestimabile di ogni persona. In particolare, considerare ancora la disabilità – che è il risultato dell’interazione tra le barriere sociali e i limiti di ciascuno – come se fosse una malattia, contribuisce a mantenere separate le vostre esistenze e ad alimentare lo stigma nei vostri confronti.

Per quel che concerne la vita della Chiesa, «la peggiore discriminazione è la mancanza di attenzione spirituale», che a volte si è manifestata nel diniego di accedere ai Sacramenti, sperimentato purtroppo da alcuni di voi. Il Magistero è molto chiaro in merito e, di recente, il Direttorio per la Catechesi ha affermato in maniera esplicita che «nessuno può rifiutare i Sacramenti alle persone con disabilità». Di fronte alle discriminazioni, è proprio l’amicizia di Gesù, che tutti riceviamo come dono immeritato, che ci riscatta e ci permette di vivere le differenze come ricchezza. Egli, infatti, non ci chiama servi, donne e uomini dalla dignità dimezzata, ma amici: confidenti degni di conoscere tutto ciò che Egli ha ricevuto dal Padre.

Nel tempo della prova

L’amicizia di Gesù ci protegge nel tempo della prova. So bene che la pandemia di Covid-19, dalla quale con fatica
stiamo uscendo, ha avuto e continua ad avere ripercussioni molto dure sulla vita di molti di voi. Mi riferisco, ad esempio, alla necessità di rimanere per lunghi periodi in casa; alla difficoltà di molti studenti con disabilità ad accedere agli strumenti di didattica a distanza; ai servizi alla persona che in molti Paesi sono stati a lungo interrotti; e a molti altri disagi che ciascuno di voi ha dovuto affrontare. Ma, soprattutto, penso a quanti di voi vivono all’interno di strutture residenziali e alla sofferenza che ha comportato la separazione forzata dai vostri cari. In questi luoghi il virus è stato molto violento e, nonostante la dedizione del personale, ha mietuto troppe vittime. Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sono vicini in maniera particolare, con affetto e tenerezza!

La Chiesa è al fianco di coloro tra voi che stanno ancora combattendo contro il Coronavirus; come sempre essa
ribadisce la necessità che ci si prenda cura di ognuno, senza che la condizione di disabilità sia di ostacolo all’accesso
alle migliori cure disponibili. In questo senso, già alcune Conferenze Episcopali, come quella di Inghilterra e Galles e
quella degli Stati Uniti, sono intervenute per chiedere che sia rispettato il diritto di tutti ad essere curati senza
discriminazioni.

Il Vangelo è per tutti

Dall’amicizia con il Signore deriva anche la nostra vocazione. Egli ci ha scelti perché portiamo molto frutto e il nostro
frutto rimanga. Presentandosi come la vera Vite, ha voluto che ogni tralcio, unito a Lui, sia in grado di dare frutti. Sì,
Gesù desidera che giungiamo alla «felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci
accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente».

Il Vangelo è anche per te! È una Parola rivolta ad ognuno, che consola e, nello stesso tempo, chiama alla conversione.
Il Concilio Vaticano II, parlando della chiamata universale alla santità, insegna che «tutti coloro che credono nel Cristo, di qualsiasi stato o rango, sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità. Per raggiungere questa perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo volle donarle, affinché, si consacrino alla gloria di Dio e al servizio del prossimo».

I Vangeli ci narrano che, quando alcune persone con disabilità hanno incontrato Gesù, la loro vita è profondamente
cambiata e hanno iniziato ad essere suoi testimoni. È il caso, ad esempio, dell’uomo cieco dalla nascita che, guarito da Gesù, afferma con coraggio davanti a tutti che Lui è un profeta; e molti altri proclamano con gioia ciò che il Signore ha fatto per loro.

So che alcuni tra voi vivono condizioni di estrema fragilità. Ma vorrei rivolgermi proprio a voi, magari chiedendo –
dove ce ne fosse la necessità – ai vostri familiari o a chi vi è più vicino di leggere queste mie parole o trasmettere
questo mio appello, e chiedervi di pregare. Il Signore ascolta con attenzione la preghiera di chi confida in Lui. Nessuno dica: «Io non so pregare» perché, come dice l’Apostolo, «lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili» . Nei Vangeli, infatti, Gesù ascolta chi si rivolge a Lui anche in maniera apparentemente inadeguata, magari solo attraverso un gesto o un grido. Nella preghiera c’è una missione accessibile ad ognuno e ve la vorrei affidare in maniera speciale. Non c’è nessuno così fragile da non poter pregare, adorare il Signore, dare gloria al suo Nome santo e intercedere per la salvezza del mondo. Di fronte all’Onnipotente ci scopriamo tutti uguali.

Cari fratelli e sorelle, la vostra preghiera è oggi più urgente che mai. Santa Teresa d’Avila ha scritto che «in tempi
difficili sono necessari forti amici di Dio a sostegno dei deboli». Il tempo della pandemia ci ha mostrato in maniera
chiara che la condizione di vulnerabilità ci accomuna tutti: «Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti
fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme». Il primo modo di farlo è proprio pregare. Possiamo farlo tutti; e anche se, come Mosè, avremo bisogno di un sostegno, siamo sicuri che il Signore ascolterà la nostra invocazione.

Vi auguro ogni bene. Il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca.

(Giuseppe Adriano Rossi)