“E.c.o.forest è un progetto ambizioso che intende mantenere efficacemente il carbonio nelle foreste utilizzate a ceduo e, quindi, contribuire a contrastare il cambiamento climatico”. Così Giuseppe Vignali direttore del Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano commenta il progetto presentato a finanziamento PSR Regione Emilia-Romagna dal Gruppo operativo per l’innovazione Ecoforest 2.0, di fatto una alleanza tra Parco nazionale, Università di Parma, Consorzi Forestali, imprese e cooperative del settore forestale, denominato e sostenuto dall’Unione Europa, attraverso il Piano di sviluppo rurale.
“Altro elemento di forza di questo progetto – spiega Willy Reggioni, coordinatore tecnico del progetto – è il fatto che mette insieme per la prima volta diversi attori locali del settore come I Briganti del Cerreto, l’Azienda agricola nelle Piane di Bardini Davide, Manoverde e i Consorzi Volontari Forestali Alpe di Succiso e quello dell’Alta Valle del Secchia con l’Università di Parma, una società specializzata in servizi di pedologia, scienze agronomiche e forestali come è la società Timesis (Pisa) e un ente di formazione (Irecoop) che si occuperà dell’organizzazione di veri e propri percorsi di formazione sul campo ”.
“Siamo partiti dal chiederci – continua Reggioni – in quale modo anche le foreste d’Appennino potessero contribuire a contrastare il cambiamento climatico e quindi quale potessero essere le migliori e possibili azioni di mitigazione. Nell’ambito del progetto indaghiamo gli effetti della gestione ordinaria della foreste (governo a ceduo e/o la conversione da ceduo ad altofusto) sul ciclo di carbonio”.
Le azioni concrete da mettere in atto sono molteplici. "Cercheremo prima di tutto di stimare quanto carbonio le nostre foreste sono in grado di sequestrare dall’atmosfera e quanto di questo viene stabilmente stoccato nei serbatoi forestali ovvero nelle parti epigee degli alberi ma anche, nelle parti ipogee, negli strati superficiali e più profondi del suolo - spiega il coordinatore -. Quindi cercheremo di valutare gli effetti degli interventi da utilizzazione sugli stock di carbonio ma anche sulla qualità biologica e fertilità del suolo e sulla complessità ecosistemica delle foreste, utilizzando la comunità degli insetti volatori come indicatore. Dovremo in questo modo individuare buone pratiche di utilizzazione delle foreste in grado di garantire la conservazione di definiti livelli di stock di carbonio e quindi di promuoverle e replicarle in altri contesti”.
“Da tutto questo – conclude Reggioni – dovremo essere in grado di individuare le migliori pratiche di utilizzazione dei cedui, delle fustaie transitorie e di quelle artificiali di conifere nella speranza che possano presto rientrare nella pianificazione forestale (Piani di gestione forestale) dei Consorzi forestali partner di progetto e delle aree demaniali gestite dal Parco nazionale. Pratiche che dovranno essere replicate, anche, sensibilizzando adeguatamente l’opinione pubblica sull’argomento, che è di grande complessità e che non appartiene alla nostra tradizione”.
Tra le novità del progetto anche quella di mettere a punto e promuovere un sistema locale di remunerazione dei servizi ecosistemici e ambientali, creando una piattaforma per la cessione dei crediti di carbonio/sostenibilità sul mercato volontario degli stessi crediti. In altre parole, attraverso una piattaforma ad hoc di riconoscere ai proprietari delle foreste opportunamente gestite un valore economico, generato da chi acquisterà i crediti di carbonio.
Il Parco nazionale ricorda che entro il 2050 c’è l’impegno dell’Europa a rimuovere la stessa quantità di anidride carbonica dall’atmosfera al pari di quella che emettono le attività umane. La nuova intesa siglata a marzo scorso prevede, oltre alla neutralità climatica al 2050, il taglio delle emissioni al 2030 di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990. Il progetto E.c.o.forest durerà 30 mesi. La responsabile scientifica è Cristina Menta, professore associato del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale Università di Parma.
Mi auguro che finalmente i Parchi, le Regioni e l’Italia intera riesca finalmente a riconoscere ai proprietari di boschi, un adeguato contributo economico, essendo questi alberi un credito ecosistemico.
Spero che il Parco Nazionale si faccia carico di portare avanti a nome di tutti i montanari, questa iniziativa che ridarebbe un valore ai paesi montani e una speranza di ricavare un contributo per il bene che si da all’intero pianeta.
Per quanto è dato di capire, e a meno di fraintendimenti, il progetto in discorso ha anche (o innanzitutto e prioritariamente ??) carattere sperimentale e interlocutorio, atteso che si propone di indagare “gli effetti della gestione ordinaria delle foreste ……. sul ciclo del carbonio”, nonché “individuare buone pratiche di utilizzazione delle foreste”, così da essere in grado di “individuare le migliori pratiche di utilizzazione dei cedui, delle fustaie transitorie ……” (riportando qui alcuni dei passaggi che troviamo in questo articolo).
Il progetto o studio sembra dunque configurarsi come un “percorso tutto in divenire”, le cui risultanze o conclusioni – una volta che vi si giungerà – darebbero modo di comprendere quale sia la conduzione ottimale del nostro patrimonio boschivo al fine delle sua miglior resa quanto a serbatoio di carbonio, e vedere quindi in quale maniera poter incoraggiare e “premiare” una tale “strategia”, vista la sua grande complessità, che “non appartiene alla nostra tradizione” (sempre mutuando i concetti del testo).
L’iniziativa ha la sua indubbia e ragionevole logica, salvo che due anni fa (agosto/settembre 2019) l’argomento era già stato affrontato, in un’ottica dall’apparenza piuttosto conservativa, ossia volta alla riduzione della consueta periodicità di taglio, quale premessa per fare di questi boschi appenninici la “nostra Amazzonia”, nel senso che sembrava essersi già imboccata una strada abbastanza precisa, senza una preliminare fase di studio e ricerca – vedi quella di cui qui si parla – o comunque anticipandola.
Ho cioè l’impressione – forse sbagliata, ma l’esporla non nuoce a chicchessia – che si sia invertito “l’ordine delle cose”, visto che lo studio del fenomeno dovrebbe costituire il primo passo; in ogni caso, al di là dei personali ed irrilevanti sentori, e poiché il ciclico taglio del bosco rientra nella nostra tradizione, oltre ad essere fonte di reddito, mi concedo di ritenere utile che il “gruppo di progetto” includa, se non già prevista, una rappresentanza delle Ditte che praticano l’attività di taglio del bosco.
P.B. 28.11.2021
Nella “strategia” del Parco Nazionale, enunciata- non a caso- in 10 punti distinti ,sono previste azioni ( come eco forest) che puntano a migliorare le esistenti gestioni a ceduo, altre che puntano ad altri obiettivi . Per es ad avere “più alto fusto” anche per sostenere un’utilizzo della materia legnosa come legno da opera (che non va a combustione e dunque conserva e non rilascia immediatamente CO 2) a sostegno di una filiera di utilizzo più importante e redditizia. Per es -specialmente in boschi demaniali – ad avere foreste vetuste,più ricche di biodiversità e capacità di resilienza e stoccaggio di carbonio. Per es ad avere una certificazione delle gestioni ( specie negli usi civici) tese a migliorare professionalità know how e controllo nelle gestioni di ampie superfici. Per es ad organizzare meglio la prevenzione incendi, che stanno diventando anche qui un pericolo concreto Per es a favorire accorpamenti di proprietà senza i quali è difficile portare avanti sul terreno diversi obiettivi di miglioramento . “ Il bosco” appenninico in realtà è fatto di realtà diverse e differenziante cui devono corrispondere strategie e progetti articolati. Eco forest è solo uno di quelli già oggi in campo… e come altri – così come nell ‘ idea base del centro “uomini e foreste – prevede il coinvolgimento di imprese del settore , che peraltro ,spesso , sono le stesse incaricate dell attuazione di altri progetti del parco.
Fausto Giovanelli