Il presidente dell’Unione e sindaco di Carpineti, Tiziano Borghi, e il sindaco di Castelnovo Monti e delegato ai Servizi sociali nell’ambito dell’Unione, rispondono alla lettera aperta inviata dalla psicologa Nicoletta Beretti sulle competenze dell’area minori affidate all’ASC Teatro Appennino.
“Nel merito delle osservazioni avanzate dalla dottoressa Beretti - affermano i due sindaci - vogliamo rimarcare che l’Azienda Speciale Consortile Teatro Appennino è un ente completamente pubblico, detenuto esclusivamente dal Comune di Castelnovo Monti e dall’Unione dei Comuni. Le aziende speciali consortili sono realtà che hanno una funzione mutualistica, nascono dalla volontà di due o più soggetti di unire, coordinare e condividere le rispettive organizzazioni, al fine di migliorare le loro attività ed interventi in specifici ambiti di interesse territoriale. Il conferimento di competenze, - continuano - compresa l’area minori (ma spesso anche l’ Area Adulti, l’Area Anziani, l’Area Disabilità) ad ASC di questo tipo che sono, lo ripetiamo, enti pubblici senza alcuna commistione pubblico - privata, è stata adottata da molti Comuni ed Unioni di Comuni, in Emilia-Romagna come in Veneto, o in Lombardia e altre Regioni, da ormai diversi anni. Gli atti dell’ASC sono regolati come quelli degli Enti Pubblici, anche per la selezione del personale quando si ravveda l’esigenza di effettuare assunzioni. La trasparenza di questi atti quindi, è la medesima di ogni concorso pubblico. Nel caso oggetto di intervento da parte della dottoressa Beretti peraltro, non si trattava di un procedimento di assunzione, ma di una semplice raccolta di disponibilità da parte di psicologi, che possano essere poi coinvolti in progetti ed azioni coordinate dall’ASC. Un atto pienamente lecito e regolare, tanto che la stessa dottoressa Beretti vi ha partecipato”.
Concludono Borghi e Bini: “Quello che vogliamo aggiungere è che paventare irregolarità, scarsa trasparenza, criticare le modalità di lavoro dell’ASC, oltre a rappresentare accuse senza fondamento, va a discapito in primis proprio delle persone che vi operano, che presentano tutte professionalità importanti e certificate, e che si trovano ad agire in settori estremamente delicati proprio come l’Area Minori”.
Intervenire in questo dibattito, sollecitato dalla dottoressa Beretti con le sue numerose e argomentate questioni, non è per me facile, in quanto ex componente del cda dell’azienda consortile. Sento tuttavia di doverlo fare perché, dopo un anno di lavoro nel cda, ho deciso di presentare le dimissioni, motivate, oltre che dal mio trasferimento a Bologna, anche dal fatto che non condividevo più gli obiettivi dell’azienda. È vero che asc è formata da enti pubblici, ma può agire come ente privato. È uno dei motivi per cui le asc sono nate: evitare il blocco delle assunzioni, snellire la burocrazia nelle assunzioni, ecc. Era il periodo dei bilanci sotto stretto controllo. Nel tempo le asc sono diventati contenitori dentro cui far confluire servizi di vario genere e forse anche problemi. Credo che oggi occorra un ripensamento di tali organismi che spesso si trovano a gestire servizi importanti, come quelli alla persona, senza averne la struttura organizzativa. A questo proposito voglio ribadire la mia fiducia e ammirazione al direttore dell’asc, alle colleghe del cda che si trovano a prendere scelte che spesso toccherebbero alla politica. Credo che metter fuori dai comuni servizi fondamentali non sia giusto ( Attenzione! Diverso è consorziare i servizi per renderli più efficienti). Il comune è ente stabilito dalla Costituzione, gli organismi di governo sono elettivi, il consiglio comunale è sede di discussione democratica tra maggioranza e opposizione. Ecco io credo che tutto questo vada recuperato. In questi anni, in nome delle finanziarie abbiamo assistito ad un depotenziamento dei servizi alla persona, anziani e minori in difficoltà, cultura. Servizi che non saranno mai in pareggio. I comuni devono recuperare la loro capacità progettuale e non delegarla ad enti anche se di propria emanazione. Nella società le fragilità sono in aumento e il compito degli enti pubblici e della politica è quello di farvi fronte, senza delegare ai tecnici ( spesso bravissimi) di trovare le soluzioni migliori. Cleonice Pignedoli
Signora Cleonice, ha spiegato in modo chiaro ed esaustivo come stanno le cose.
Il livello politico, quindi di discussione, scelta, indirizzo, impostazione è garantito da un’assemblea… di due persone! Già nell’elenco dei soci -i due proprietari del Teatro Bismantova – si trova l’origine e la funzione dell’Azienda Speciale Consortile Teatro Appennino, ulteriormente confermata dal nome. Ma perché servizi sociali importantissimi e in genere e tutto ciò che è fuori dal teatro devono essere “governati” non all’interno dell’Unione dei Comuni, ma dagli eredi dei proprietari originari del teatro, la Comunità Montana e il Comune di Castelnovo, oggi l’Unione e da uno dei Comuni della stessa Unione? Chissà se si può assistere alla loro “assemblea” come ai consigli comunali… E quale dei due è maggioranza, quale minoranza? Il sorriso non può che essere amaro. Del resto la lettera della dott.ssa Beretti e l’intervento della prof.ssa Cleonice Pignedoli sono approfondite e ben argomentate, entrano nella sostanza e nella concretezza dei problemi: non si può dire lo stesso della risposta dei sindaci. E poiché entrambe erano amministratrici un tempo, i loro interventi possono ravvivare la nostalgia di “un’altra” politica o sollecitare la nostra partecipazione a rinnovare quella di oggi.
(Partigiana Jane)
A chi, per ragioni di età, non ne è stato testimone diretto, vorrei ricordare che abbiamo avuto un tempo in cui la politica non demandava o delegava ad altri “soggetti” funzioni importanti e delicate, nell’uno e altro settore della vita sociale, e questo accadeva prima che l’antipolitica avesse il sopravvento, al punto che la prima, ossia la politica, vide di fatto crollare e collassare le proprie “fondamenta”, e si trovò altresì
nelle condizioni di cedere spazi che le erano tradizionalmente e storicamente propri, con tutto il seguito che stiamo ancora vedendo.
Ad onor del vero, non mancarono allora forze politiche, o linee di pensiero, che assecondarono o “cavalcarono” le posizioni dell’antipolitica, dandole di riflesso “man forte” e ingrossandone per così dire le fila, e a quanti adesso si augurano di poter “ravvivare la nostalgia di un’altra politica o sollecitare la nostra partecipazione a rinnovare quella di oggi”, mi sentirei di chiedere loro come la vorrebbero (perché se somigliasse a quella di una volta, credo difficile se non impossibile il riuscirvi, visto che le “fondamenta” sono andate distrutte)
P.B. 24.11.2021
IL SINDACO ENRICO BINI E IL PRESIDENTE DELL’UNIONE MONTANA, Dr. TIZIANO BORGHI CI RACCONTANO CHE: “ TUTTO VA BENE, MADAMA LA MARCHESA …”
Dispiace per chi ha redatto il titolo di questo articolo, ma la logica è errata: non sono i sindaci della montagna, ma due sindaci di comuni montani … Se fosse vero quanto scritto nel titolo sarebbero tutti e sette i sindaci a rispondere alla dottoressa Beretti e non solo due.
Così come il titolo è inesatto e porta ad un errore marchiano e politico: due sindaci su sette non sono “i sindaci”, non sono la maggioranza ne’ la totalità. Per chi ha capacità discriminative la ratio è evidente. A meno che non si voglia, sin dal titolo, lasciare intendere che quanto scritto è l’opinione non solo della maggioranza PD, ma della totalità dei primi cittadini. Come se tutti i sindaci condividessero le opinioni, tra l’altro deboli e discutibili dei due che parlano.
L’imbarazzo della altrettanto ballerina maggioranza Bini-Borghi, vuole nascondere l’irritazione per essere criticati da una psicologa che sa quello che dice e lo espone in modo egregio. Nel commento pubblicato a nome del gruppo, sotto la lettera della dottoressa Nicoletta Beretti, avevamo anticipato che non ci sarebbe stato alcun ripensamento, come si vede da questa grottesca risposta. Da Bini, (eletto con i voti del PD), ce l’aspettavamo, da Borghi, (eletto sindaco di Carpineti, con voti non PD), meno, anche se comprendiamo che è costretto a mediare tra le sue convinzioni personali e quanto gli viene imposto dalla maggioranza politica PD. Insomma il presidente dell’Unione Montana Dr. Tiziano Borghi, in carica da pochi mesi e solo per il termine di un anno, si barcamena e fa di necessità virtù …
Mi pare appropriato qui ricordare un vecchio racconto: “Tutto va bene, signora la Marchesa”.
La frase, ironica, vuole canzonare coloro che lodano tutto, non vedendo o fingendo di non vedere, il lato tragico delle cose. Deriva da un racconto in cui il servitore riferisce alla marchesa, di ritorno da un viaggio, che tutte le cose vanno bene “al di fuori di un piccolo incidente”. L’incidente in realtà era la morte di una gazza, per aver mangiato la carne del cavallo, morto per la fatica di aver portato tanti secchi d’acqua, serviti per spegnere l’incendio della casa, in seguito al suicidio del marito. Del resto, a parte quello che era successo, tutto andava bene.”
I due sindaci in coro affermano: “Tutto va bene, signora la marchesa …” Ma così non è. Sempre più evidente che questa cattiva politica ha necessità di mentire, mentire e troncare qualunque critica, anche la più assennata.
Per fermare il degrado istituzionale c’è una sola cura, elezioni che sostituiscano le teste e il pensiero dominante di questa classe dirigente locale ormai dannosa per tutta la comunità montanara.
Saluti ai lettori,
Alessandro Raniero Davoli
Consigliere Unione Montana dei comuni dell’Appennino reggiano
Credo che la situazione sia stata ben inquadrata da Cleonice Pignedoli. Nella sua analisi non sono però ben chiare le cause che hanno portato a queste modifiche. Non credo sia una questione di ‘antipolitica’, anche se questo fenomeno – fomentato e gestito ad arte – è diventato un passaggio fondamentale per capire alcuni meccanismi. La radice di tutto questo sta nel processo di integrazione economica europea, e nei vincoli alla politica economica dei singoli Stati. Siamo in Novembre e, tra poco, la Commissione Europea darà la sua (vincolante) valutazione sulle nostre scelte di bilancio. Già si sente parlare di eccessivo debito pubblico e di taglio delle spese correnti. Tra le ‘spese correnti’ ci sono appunto quelle delle attività che ‘devono essere in perdita’ perché hanno valenza sociale, come giustamente sottolineato. I tagli di bilancio della Pubblica Amministrazione (blocco del turnover, soprattutto), hanno fatto si che, oggi, il personale della Pubblica Amministrazione sia sottodimensionato di più di un milione di dipendenti (considerando un numero di dipendenti per abitante pari a quello dei principali Paesi europei). Un sottodimensionamento di tale portata rende impossibile gestire i servizi che la PA deve offrire ai cittadini; necessariamente, si cerca di ovviare con queste società formalmente miste, in realtà private, che devono essere gestite con modalità di gestione tipiche dell’azienda, e secondo i principi della redditività di azienda. Non è altro che il perseguimento dello ‘Stato minimo’ previsto dai trattati europei. Lo ‘Stato minimo’ deve gestire solamente l’esercito e la pubblica sicurezza (anche in funzione antisommossa, come stiamo osservando proprio in questi giorni) lasciando tutto il resto all’impresa privata. È chiaro che tutto questo ha come conseguenza necessaria la compressione degli spazi di democrazia (e da qui anche la necessità di gestire il malcontento popolare nelle piazze, e di minimizzare le conseguenze sociali della disoccupazione con strumenti quali il reddito di cittadinanza – che, per inciso, non ha nulla a che vedere con il diritto al lavoro, affermato dalla Costituzione). Questo è l’obbiettivo – al di là delle parole e dei principi altisonanti – che si sta di fatto perseguendo. E fa male prendere atto che questa spinta alla progressiva privatizzazione dello Stato sia stata patrocinata, in Europa come in Italia, proprio da quelle forze politiche che si ispirano alla sinistra e alla socialdemocrazia.
L’ultimo commento parte col focalizzare l’attenzione sulle “cause che hanno portato a queste modifiche”, e trovo che ciò non manchi di logica, ma finisce poi accumunando sinistra e socialdemocrazia, un accostamento da cui invece mi dissocio, poiché la seconda, intesa come quella delle origini, si ispirava al riformismo, cioè all’idea di affrontare i problemi con gradualità e pragmatismo, senza perdere d’occhio il “contesto”, coi suoi molteplici aspetti, costi inclusi, nell’ottica di poter mantenere il necessario equilibrio tra servizi erogati e rispettiva spesa (in maniera da renderla sopportabile nel tempo).
C’è stata viceversa una sinistra, o linea di pensiero, orientata al massimalismo, che spingeva sulle rivendicazioni, incoraggiando e moltiplicando in tal modo le aspettative di quanti potevano fruire dei servizi, fatte passare quali intangibili diritti, e come “variabile indipendente” rispetto alla sostenibilità economica, cui si è fatto fronte aumentando via via il carico fiscale dei ceti “abbienti”, salvo rendersi poi conto che il “sistema” era divenuto troppo oneroso e “non teneva più”, così che alcune sue parti sono state mano a mano dismesse, esternalizzate o “precarizzate”, mentre per altre non è successo altrettanto (coi relativi divari).
Privatizzazione non significa comunque, e necessariamente, precarizzazione, il che invece accade allorché ci troviamo davanti ad occupazioni molto garantite e ad altre che lo sono parecchio meno, quanto a remunerazione e stabilità del lavoro, con la politica apparentemente non in grado di rimediare a tali “disparità”, e la disillusione cresce se le disparità sono riconducibili a quella ideologia che per anni ha proclamato uguaglianza e parità di diritti, alimentando di fatto illusorie utopie (qualcuno si era però già accorto delle sue contraddizioni, se non “ipocrisie”, e qui il pensiero corre inevitabilmente alla “Fattoria degli Animali”)
Circa i vincoli europei, proprio nell’area socialdemocratica/riformista si era levata per tempo una voce tesa a pronosticare i rischi di una visione acritica dell’Europa, mentre per l’odierna sinistra bisogna essere europeisti a prescindere, senza se e senza ma, pena il venir bollati come indesiderabili sovranisti, quando occorrerebbe la consapevolezza che una accondiscendenza totale indebolisce il peso negoziale nei confronti degli altri interlocutori (il riformismo non significa imporre le proprie ragioni, ma neppure cedere incondizionatamente a quelle altrui, nel senso che bisogna saper trovare le giuste mediazioni).
P.B. 26.11.2021