Elda Zannini, storica collaboratrice di Redacon e alle cui storie i lettori sono ormai affezionati, ha prodotto la sua prima raccolta di 36 racconti. All'interno del volume si alternano racconti inediti e alcuni già pubblicati sul nostro giornale nel corso della triennale collaborazione. Ai racconti si alternano fotografie di un tempo passato, di un Appennino che negli anni ha mutato forma e carattere.
"Vi chiederete perché mai ho voluto racchiudere in un libro cose già lette e rilette su questo giornale o in una rivista - racconta in una lettera ai lettori, l'autrice Elda -. Ecco l’ho semplicemente fatto, perché amo la carta, mi piace il suo
profumo, mi piace sentirla al tatto, mi piace il suo fruscio quando la sfogli, poi ogni qualvolta che ne hai voglia, allunghi una mano e la trovi su uno scaffale o dentro a qualche cassetto, perché un libretto lo puoi infilare dentro una borsa o in una tasca e lo tiri fuori quando vuoi. O forse perché sono vecchia e sono cresciuta ai tempi del “vegg” dove gli anziani raccontavano le loro storie seduti vicino al camino e noi bambini stavamo ad ascoltarli incantati. Ora questo non si fa più allora cosa fare per farti ascoltare?".
"In questo modo - spiega- volevo solo farvi sapere che in questo libretto sono raccolti i miei primi approcci con questo giornale, in questo modo ho voluto ringraziare loro e voi che mi avete sempre seguito".
A questa prima raccolta l'intenzione è di farne uscire una seconda. " Se io non farò in tempo a farla ci sarà qualcuno che ci penserà - conclude -. Vi abbraccio e vi ringrazio. Fin che la testa mi ubbidirà continuerò a scrivere e a raccontare per voi".
Bravissima Elda, complimenti anche per la copertina!
(Angela Pietranera)
Gentile Signora, mi perdoni questa invadenza, ma i Suoi racconti e i Suoi libri, (sono nella copertina di uno di loro), mi promuovono flashback della vita che ho vissuto. Mi permetto di raccontare uno dei tanti momenti di cantiere dove, perdere compagni, amici, gente con cui dividevi il tuo giorno feriale era una delle regole del gioco, peggio, un item, alla voce ‘costi’, nella stesura dei preventivi ma, per quanto crudo fosse, era ancora un rispettare la vita.
…
La costruzione del north-braak-water era un organismo vivo. Le due ‘Twica’, bettoline auto-scaricanti, facevano la spola dal terminale di arrivo del materiale di cava al corpo di avanzamento del molo. Al largo, due draghe scavavano il canale d’accesso al porto sparando in sorbone da 40 pollici a due miglia sulla costa il dredged material utilizzato poi per realizzare la reclamation – area. Tre grossi rimorchiatori trainavano convogli di bettoline cariche di ogni sorta di prefabbricati, tetrapodi, solette, pile caps, travi. Dumper e scraper da 36 mc scaricavano materiale dredged sulle progressive della reclamation-area fornendolo ai dozer che lo stendevano seguiti dai grader che lo livellano a loro volta seguiti dalle cisterne e dai rulli che lo avrebbero poi compattato. Due rosari di betoniere tra le tre centraline di betonaggio e le pompe fisse che a loro volta sparavano nelle casseforme del masso di carico del muro di coronamento. Undici americans cucivano la protezione del molo con tetrapodi nelle tre pezzature di tonnellaggio. Una giornata straordinaria senza vento. Eravamo sul “ragno” , e ci apprestavamo a battere quattro pali da 50 pollici in quella palificazione a mare supporto al futuro bulk-berth. Il “manitowak” , un’antenna di 43 metri aveva pinzato con il martello-vibratore un’asta saldata da 18 mt e la guardavo scendere lentamente, molto lentamente, nei rulli di invito a pressione idraulica della modina di posizionamento. Il secondo braccio con il martello da 20 tonnellate, tarato su quattro gradi frequenza, pronto a battere appena finita l’impostazione. Tutto perfetto … un suono che non dimenticherò mai … “risonanza” . Risonanza, lo standard-deviation, del più serio, del più attento, del più documentato modello statistico: il caso. Il caso tradotto nel suono del vento contro cavi tesi o qualcosa di simile, un salire di vibrazioni su tutta la struttura, poi colpi secchi dei dadi del 32 dei fazzoletti ai nodi tranciati e sparati come fossero proiettili di un plotone d’esecuzione, profilati del 36 spezzati come fossero stuzzicadenti … un attimo, solo un attimo per vedere il ‘ mechanical-level’, su a quota 23, aprirsi e vomitare in acqua la batteria dei compressori. Finimmo tutti in mare e tutta quella piattaforma con noi. Dodici metri di adrenalina, sganciarsi da quell’ormai mozzicone di trave e risalire: il buio, poi poco a poco la luce fino a l’esplosione del Sole. Quella volta nessuno di noi morì. Vidi più di ottocento uomini, tanti eravamo su quel turno, inginocchiarsi e pregare il Corano. Solo allora mi resi conto che tutto il cantiere si era fermato e tutti stavano pregando. I tre rimorchiatori sparavano acqua dai getti antincendio come inno alla vita, il momento più statico, il più assurdo che io abbia mai vissuto. Poi quel silenzio fu squarciato: il sirene dei tre rimorchiatori e di tutto ciò che il quel momento era in mare cominciarono ad urlare …
Era un giorno di luglio dell’ 83
(Giovanni Annigoni)
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Ero amica delle tue sorelle, specialmente della Giovanna che ricordo con affetto
assieme a tua madre, vedi i miei racconti sono per le persone di una certa età, il tuo bellissimo può interessare molti giovani, allora, perchè non farlo?
In bocca al lupo Elda
(EldaZannini)
Elda carissima, ci affascini con i tuoi ricordi. Un grande abbraccio. Ti voglio bene Dilva Attolini
(Dilva Attolini)