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Il progetto Life Claw per salvare il gambero di fiume: coinvolto anche il Parco nazionale

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Nasce il progetto Life Claw per conservare il gambero di fiume, a rischio d'estinzione a causa dell'inquinamento e della minaccia di un "invasore", il gambero rosso della Louisiana. Una decina di partner pubblici e privati si sono mobilitati per realizzare il progetto europeo, tra cui il Parco nazionale dell'Appennino tosco-emiliano.

Tra gli altri enti coinvolti nel progetto ci sono le Università di Pavia e del Sacro Cuore di Piacenza, i Comuni di Ottone e Fontanigorda, il parco regionale di Antola in provincia di Genova, i tre parchi regionali tra Parma e Piacenza, l'Acquario di Genova, il Consorzio di Bonifica di Piacenza e l'Istituto zooprofilattico delle Venezie.

Un primo tentativo di collaborazione che mira a salvare il gambero di fiume, la cui presenza è diminuita del 70% in vent'anni. L'area d'osservazione e tutela va da Reggio Emilia fino a Savona, "ma è solo l'inizio" - afferma il coordinatore del progetto Willy Reggioni che è anche responsabile del servizio conservazione natura del Parco Nazionale Appennino tosco emiliano - successivamente trasferiremo i nostri strumenti su altre aree della penisola".

I principali nodi da sciogliere per salvare il gambero di fiume autoctono (Austropotamobius pallipes) sono legati alla presenza del suo concorrente principale alloctono, il gambero rosso della Louisiana (Procambarus clarkii). "Questo animale, importato nei nostri fiumi dall'uomo, porta con sé la peste a cui riesce a sopravvivere solo lui - spiega Reggioni - , inoltre il gambero rosso è  aggressivo e deposita molte più uova".

Un secondo aspetto che condiziona la diminuzione del numero del gambero di fiume è, invece, l'inquinamento e in generale la trasformazione delle condizioni ambientali.

"E' un progetto inclusivo - spiega sempre Reggioni - e stiamo formando anche i pescatori con diversi incontri per sensibilizzarli a questo problema".  Le prime soluzioni sono legate alla cattura con speciali nasse del gambero alloctono che minaccia severamente la permanenza di quello autoctono. Anche se l'Università di Pavia sta lavorando per migliorare anche le condizioni ambientali perché il gambero italiano possa rigenerarsi in futuro. "Stiamo ultimando la misurazione dello stato di salute e della densità del gambero autoctono nelle acque di questa zona - esordisce Daniela Ghia, ricercatrice di ecologia all'ateneo di Pavia - dovremmo preparare anche le condizioni ideali per permettere a questa specie di vivere e proliferare nei nostri fiumi. Un flusso costante di acqua, temperatura attorno ai 20 gradi e la sua qualità rappresentano l'habitat ideale per il gambero".

All'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza ci sono tre gruppi: uno utilizza software specifici per identificare le condizioni perfette in cui il gambero dovrebbe vivere e le aree in cui sono presenti.  Un altro team valuterà le conseguenze socio-economiche che scaturiranno da queste operazioni (ad esempio come incentivare il turismo?).

"Noi ci occuperemo della caratterizzazione genetica - spiega Licia Colli, ricercatrice di genomica animale all'ateneo piacentino  - in sostanza identificheremo le differenze del Dna esistenti tra le popolazioni e verificheremo come siano distribuite sul territorio. Questo ci permetterà di selezionare maschi e femmine da far riprodurre in condizioni controllate. Le tecniche molecolari sono fondamentali per la conservazione della biodiversità". Fino a settembre del prossimo anno in quattro vasche verrà indirizzato l'accoppiamento e i nati da questa operazione saranno successivamente trasferiti nei ruscelli scelti appositamente per tornare a vivere".

(Fonte "La Repubblica")

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