La prima lettura di questa domenica dà voce alla figura del servo sofferente, la prefigurazione di Cristo. Egli non viene come un uomo forte, ma resta umile e non oppone resistenza al potere umano, accettando la sofferenza cosicché la volontà di Dio sia stabilita nella vita umana. Il suo atteggiamento quindi non è di mera arrendevolezza, ma la volontà di insegnarci che la forza di Dio agisce attraverso l’umiltà.
Nella seconda lettura l’apostolo Giacomo ci ricorda che la fede non è solo teoria, ma anche pratica: quando vediamo chi soffre dobbiamo operare secondo carità che deriva dalla fede. Se crediamo davvero all’amore di Dio, allora le nostre azioni devono dare testimonianza di ciò che abbiamo ricevuto. Detto altrimenti, dobbiamo vivere la fede nella sua concretezza, mediante l’aiuto al nostro prossimo che si trova nel bisogno.
Il vangelo è ambientato nella zona vicino a Cesarea di Filippo, una fertile terra presso la sorgente del Giordano. Questa città vantava opere magnifiche come il palazzo di Erode Filippo e un tempio dedicato ad Augusto; tutti i viandanti che passavano di là ammiravano il tetrarca per le sfarzose opere che testimoniavano il suo potere. Proprio qui, in questo contesto di vanto, Gesù pone ai discepoli una domanda cruciale: «La gente, chi dice che io sia?». I discepoli nominano alcune importanti personalità (Giovanni il Battista, Elia o uno dei profeti), che secondo la gente avevano tutte le caratteristiche del Figlio dell’uomo perfetto. Ma Gesù alza la posta: «Ma voi, chi dite che io sia?»; e Pietro, facendosi quasi portavoce dei discepoli, risponde: «Tu sei il Cristo», affermando così la sua fede nella divinità di Gesù.
Dopo aver imposto su di loro il segreto messianico, Gesù annuncia ai discepoli che «doveva soffrire molto, […] venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere»; sapeva già infatti che per compiere il suo progetto di rinnovamento dell’idea di Dio si sarebbe dovuto scontrare con tre categorie di persone: gli «anziani» (i custodi della tradizione antica, che spesso interpretavano la Scrittura a loro favore per mantenere il loro status, anche economico), i «capi dei sacerdoti» (i quali credevano di poter ottenere la salvezza per gli uomini mediante i sacrifici, che ovviamente erano celebrati dietro compenso) e gli «scribi» (gli studiosi dell’Antico Testamento e gli interpreti della Legge). Laddove questi imponevano il loro potere con l’autorità, Gesù risponde con la misericordia e la legge dell’amore; ma questo deve passare dalla sua morte.
Pietro però crede sia impossibile che il Figlio di Dio possa (o addirittura debba) morire, quindi lo rimprovera. Ma Gesù gli risponde duramente: «Va’ dietro a me, Satana!». Questa frase viene spesso interpretata come se Gesù volesse allontanare Pietro, ma il significato è più sottile. In quel frangente Pietro stava intralciando il compimento del progetto di Dio; Gesù gli ordina invece di mettersi dietro di lui e di seguirlo, per non impedire la realizzazione della volontà divina (detto in altri termini, per non essere Satana).
Come implicita reazione al comportamento di Pietro, Gesù spiega poi ai discepoli che seguirlo significa rinnegare sé stessi: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». Dobbiamo notare che “prendere la croce” in senso teologico non ha un senso negativo, ma vuol dire essere pronti ad abbracciare l’amore al livello massimo, fino a dare la propria vita per il prossimo. Rinnegare la propria vita significa quindi purificare il nostro spirito dalle inclinazioni negative, dalle ideologie, dai nostri falsi dèi (anche materiali) per creare spazio al progetto di Dio per noi. Questa dovrebbe essere la prima preoccupazione di un credente: infatti con nient’altro al mondo, né denaro né ricchezze, potremo riscattare la nostra vita (cfr. Sal 49). Il nostro scopo sia quello di vivere in sintonia con l’amore di Dio: così facendo saremo ricompensati con la vita eterna.
Buona domenica