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Ci ha lasciato Giuseppe Valentini. Il racconto della sua particolare storia di vita

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È deceduto ieri sera, all’età di 78 anni, Giuseppe Valentini, ex camionista di Pregheffio di Castelnovo ne' Monti.

La sua particolare storia di vita, che di seguito riportiamo, era stata raccontata sul mensile Tuttomontagna.

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20 novembre 1983

Giuseppe Valentini, autotrasportatore di Pregheffio di Castelnovo ne’ Monti, stava partendo dall’Emilia per raggiungere il Passo del Brennero. Era domenica, lui era piuttosto irritato poiché per un disguido, uno sciopero della dogana, il giorno prima aveva dovuto lasciare il suo tir nel piazzale della Guardia di Finanza invece di fare ritorno direttamente a casa: col rimorchio frigo pieno di alimenti, carne in particolare, stava tornando a Modena dalla Germania. Uno dei suoi soliti viaggi, che compiva ormai da anni in giro per il nord e centro Europa. Ai tempi farei l camionista non era semplice: non esistevano navigatori, non si conosceva la lingua dei posti che si visitavano: l’unico aiuto era la propria intelligenza naturale. Giuseppe il sabato sarebbe potuto rientrare senza problemi, una volta passato il valico, ma quell’imprevisto lo aveva costretto a cambiare i propri piani, a lasciare il tir carico di merce nel piazzale e, grazie al passaggio di un amico, a fare ritorno a casa almeno per il sabato sera. Il 20 novembre, una domenica come un’altra, l’Italia era ancora sconvolta per l’arresto di Enzo Tortora avvenuto mesi prima e Giuseppe, ripartito dopo pranzo da casa sua con un altro autotrasportatore, discuteva con lui delle sorti dell’America, di Reagan, allora presidente in carica e dei rapporti con la Russia. Arrivarono verso sera al passo del Brennero e Giuseppe riconobbe subito il posto in cui aveva parcheggiato il tir, ringraziò, salutò l’amico e si avvicinò al rimorchio.

L’ultimo chiaro ricordo che ebbe di quel giorno fu la sensazione della mano sulla maniglia fredda della porta della cabina.

Il misterioso incidente

Lunedi, 21 novembre, verso mezzogiorno, il responsabile della ditta di Autotrasporti Salardi ricevette una strana chiamata: il tir di Valentini non era ancora arrivato a destinazione, l’azienda si preoccupava per lui e per il carico di carne che doveva essere velocemente processato. Subito scattò l’allarme, in dogana andarono a verificare e trovarono il tir italiano ancora parcheggiato. Quando si avvicinarono per controllare videro che, nella cabina di guida, un uomo giaceva sdraiato, con la bava alla bocca: ruppero il vetro e lo estrassero dal mezzo. Provarono a chiamarlo ma non rispose e lo trasportarono immediatamente all’ospedale di Vipiteno. Lì constatarono lo stato di incoscienza e lo inviarono entro poche ore alla Clinica Universitaria di Innsbruck, in Austria, dove il dottor Saltuari Leopold, famoso neurologo, si occupava con cure sperimentali di trattare  pazienti politraumatizzati considerati irrecuperabili, in fin di vita.

 La famiglia

Giuseppe non era sposato e non aveva figli ma apparteneva ad una famiglia molto numerosa: i genitori Ultimio e Giuseppina erano viventi, così come gli altri loro 12 figli, residenti tutti in zona, ad eccezione di due che per lavoro e per amore si erano trasferiti a Genova e a Fivizzano. Quando la famiglia venne avvisata, subito si cercò di  contattare l’Austria per sapere quale fosse la situazione in cui versava Giuseppe: provarono a telefonare in ospedale ma ci furono numerosi ostacoli legati alla lingua e solo dopo molti sforzi, ottennero una diagnosi: si trattava di stato apallico, il termine tecnico per definire il coma vegetativo. La madre di Valentini capì la gravità della situazione e temendo che il figlio potesse spirare da un momento all’altro, disse che bisognava andare subito ad Innsbruck, per non lasciare Giuseppe da solo in mano al suo destino. Nessuno dei fratelli che poteva partire sul momento aveva i documenti per l’espatrio. Fu grazie alla solerzia e alla disponibilità del sindaco e dei tecnici comunali che, nel mezzo della notte fra lunedi e martedi, vennero completati gli incartamenti e le carte d’identità per poter partire e passare il valico con l’Austria.

 

Il Professor Loris Borghi

Quando i fratelli arrivarono in ospedale, si trovarono davanti un cadavere che respirava: incapace di parlare né di mostrare segni di lucidità, Giuseppe era immobile nel letto del reparto di terapia intensiva, visitabile solo poche ore al giorno, sotto le cure del Dottor Saltuari. Per i fratelli iniziò un periodo molto duro, fatto di grandi rinunce e viaggi, sempre in coppia, per non lasciare mai Valentini solo: anche se non potevano stare a lungo in camera con lui, erano sempre la sua ombra, nella sala d’aspetto della clinica. Chi poteva, partiva per Innsbruck, facendo cambio ogni settimana con altri due fratelli, mentre chi rimaneva a casa faceva di tutto per sostenere Giuseppe: la madre fece costruire una piccola cappella davanti a casa in onore alla Madonna; un cognato fece un voto, la richiesta della guarigione di Giuseppe, raggiungendo scalzo da Felina il Santuario della Pietra di Bismantova, il giorno di Natale del 1983.

Le condizioni erano gravi e soprattutto non c’era una diagnosi certa: nessuna prognosi sicura, nessuna spiegazione delle cause che portarono allo stato  in cui versava Giuseppe.

Fu grazie al Professor Borghi Loris, l’unico medico italiano che partì da Reggio Emilia per constatare personalmente la situazione, che la famiglia Valentini ebbe qualche informazione ulteriore. Per questo motivo, per averli sollevati dal dubbio e dal tormento in quei brutti momenti, tutta la famiglia Valentini ancora ringrazia e ricorda la figura del Professore Borghi Loris come quella di un eccellente medico, di una persona umana, votata alla medicina e alla cura di chiunque avesse bisogno del suo aiuto.

La ripresa

I tre mesi successivi furono per la salute di Giuseppe una vera incognita: novanta giorni  in coma, al limite fra la vita e la morte. Mentre un giorno si sperava nella ripresa, il giorno dopo si temeva il peggio. Poi, miracolosamente anche per il pernonale medico, il corpo tornò a reagire e fu il momento della lenta ripresa, fatta di piccolissimi passi: Valentini tornò a parlare, a pensare autonomamente.

I miglioramenti erano quasi impercettibili e il tempo scorreva veloce. Ma la famiglia non si arrendeva: mentre la logopedista parlava a Giuseppe in tedesco, la sorella che lo vegliava insisteva a parlargli e insegnargli il dialetto e così capirono che, per guarire del tutto, Giuseppe doveva tornare a casa sua. Fu così che a nel maggio del 1984 i medici di Innsbruck cedettero alle richieste dei fratelli e decisero per la dimissione di Giuseppe. Da quarantenne che era il giorno in cui era partito, quella fatidica domenica di novembre, Valentini tornò a casa dalla madre come un bambino di pochi anni: tutta la famiglia unita gli insegnò a camminare, ad andare in bicicletta, a scrivere. Per lui fu come ritornare a vivere una seconda volta. Dopo parecchi anni ricordò alcuni avvenimenti salienti: la sera dell’incidente aveva avuto un forte mal di denti, che lo aveva spinto a ingerire numerosi antidolorifici e si era appisolato in cabina: c’era freddo e aveva lasciato acceso, come molte altre volte, l’impianto di riscaldamento che era stato appena sostituito.

I referti medici, dopo quasi trent’anni, parlano chiaro: una grave infezione batterica aveva provocato una sepsi che si era diffusa in tutto il corpo di Giuseppe, mentre nell’aria della cabina si disperdeva, inodore, il monossido di carbonio: un mix micidiale che avrebbe potuto uccidere Giuseppe, se solo i soccorsi fossero scattati qualche ora dopo o se non avesse avuto il fisico forte di un emiliano cresciuto a lavorare nei campi.

 

Marzo 2018

 

Si sa che il destino è strano e prende direzioni inaspettate. Giuseppe ha ripreso in mano la sua vita e dopo una decina d’anni dall’incidente si è sposato con una signora brasiliana, Luzarina, che aveva con sé una bambina, Virginia; ha avuto anche un figlio, Giorgio, ora ventenne. Una volta cresciuta, la figlia acquisita Virginia si è trasferita in Austria, dove ha conosciuto Emanuel, residente proprio ad Innsbruck. Lo scorso marzo Giuseppe, in vacanza da Virginia, che lo ha reso nonno del piccolo Samuel, ha avuto un piccolo malore. Trasportato per un controllo alla clinica di Innsbruck, ha ritrovato proprio il Dott. Saltuari,che lo ha riconosciuto, curato ed abbracciato nuovamente, come  trenta anni prima lo aveva salvato dal coma, dandogli una seconda vita.

 

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