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Gente di mare, la Casa di Carità di Cagnola va in vacanza

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Riceviamo e pubblichiamo da Suor Antonella Bussetti, della Casa di carità di Cagnola

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Ho scoperto che il mare è vivo: tace o parla, sussurra o grida, risucchia e ritorna, ruba e riporta, sommerge e scopre, ti accoglie e ti respinge, inquieta e rilassa…
La montagna è immobile, il mare si muove: verso di te che lo guardi, si avvicina e si ritrae, si carica di forza da lontano e ti sfida, come un gigante incatenato, e lui sa (e anche tu sai) che potrebbe raggiungerti e travolgerti… Il mare è affascinante, ipnotico, ora assopito, ora minaccioso…

Lunedì 2 agosto 2021 arriviamo in quattro a completare la ciurma della Casa di Carità di Cagnola al mare: Leonarda, Suor Gianna, Erika ed io. Ci hanno preceduti da due giorni Alfio, Anna L., Patrizia e Angela, scortati da Nino, Antonio Marginesi e Deanna. Questi ci accolgono con grandi feste e premure straripanti, Nino in veste di “capo” e Deanna di “supernonna”, ma dopo un po’ continuano a ripeterci: “Siamo stati così bene, ma così bene… prima che arrivaste!”. Che carini…

Io sono l’unica (forse in tutta la Congregazione Mariana) a non aver mai visto la mitica casa di Marina di Massa, che la Parrocchia di Novellara condivide ogni estate con le Case di Carità. La struttura è funzionale, con un ampio giardino recintato, un terrazzo da cui s’intravedono le meravigliose Alpi Apuane, a 300 metri dalla spiaggia dell’Istituto Don Gnocchi, dove abbiamo riservati ben 4 ombrelloni, 4 lettini e 4 sdrai tutti per noi: un privilegio! Intorno, altri posti occupati da persone diversamente abili, forse ospiti fissi oppure pazienti in cura riabilitativa al Don Gnocchi. Lungo la costa si alternano stabilimenti balneari e spiagge libere, perlopiù rocciose, mentre sull’altro lato della strada che costeggia il mare una lunga serie di grandi edifici abbandonati, che in altri tempi ospitavano centinaia di bambini nelle famose “colonie” (spauracchio della mia infanzia), e che oggi offendono il panorama con la loro bruttezza. La folta vegetazione, tra cui svettano i caratteristici pini marittimi, sta invadendo gli spazi lasciati a se stessi da un’evidente assenza di investimenti sul patrimonio ambientale di questo tratto del litorale toscano. Un vero peccato.

Noi “montanari” ci inseriamo subito nel ritmo classico della vacanza marinara: alzata-colazione-spiaggia-pranzo-pisolino-spiaggia-doccia-cena-pinnacolo-nanna. Qualcuno anticipa la sveglia per scrutare il cielo, da cui dipende la nostra giornata, e per partecipare all’Eucaristia celebrata nella cappella della FACI (Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia), in faccia al mare e con il suo sciabordio di sottofondo.
Per il resto del gruppo, mettersi in moto richiede molta calma e pazienza: chi scende vestita di tutto punto ma senza il costume sotto, chi ha già il costume ma cerca il cappello, chi non trova più i suoi occhiali da sole, chi lascia la bottiglietta dell’acqua in camera e non ha voglia di salire a prenderla, chi scompare proprio quando siamo tutti pronti per partire… e poi, una volta arrivati in spiaggia, chi ha troppo freddo per spogliarsi e chi ha troppo caldo per restare vestita, chi non vuole fare il bagno e chi vorrebbe ma non può farlo senza aiuto, chi non vuole stare al sole e chi non vuole stare all’ombra, chi deve fare la pipì e ha già indosso il costume intero… “Voi non siete gente di mare!!!” esclama sdegnato il nostro Nino, cresciuto nuotando nel Mar di Sicilia. Ha perfettamente ragione, ma piano piano, onda dopo onda, anche noi nordici ci lasciamo poi addomesticare.

Parlo per me: sono passati 20 anni dall’ultima volta che ho affrontato la vita di spiaggia (per non parlare del bagno!) per cui ho bisogno di recuperare gradualmente una dimensione che avevo dimenticato.
Mare, infatti, è tornare bambini, perché davanti all’immensità ci si sente piccini e ci si riconosce in quei fanciulli che giocano spensierati nella sabbia e nell’acqua. In un tempo lontanissimo, anch’io con mia sorella facevo i castelli e le piste sul bagnasciuga, raccoglievamo conchiglie (ma qui non ce n’è neanche una), c’infilavamo nell’acqua con i braccioli e le scarpette di plastica traforate (chissà se le vendono ancora) e dopo il bagno correvamo sotto l’ombrellone dentro l’asciugamano della mamma, che aveva sempre in serbo per noi una buona merenda e un’altra spalmata di crema solare sulle spalle già rosolate. Oggi devo a Nino e soprattutto a Leonarda il superamento delle mie paure e l’esperienza del galleggiamento senza appoggi, le prime bracciate, l’immersione ad occhi aperti (con gli occhialini) e la scoperta che ha stupito prima di tutto me: so nuotare, e non lo sapevo!!! Ma la tensione mi irrigidisce e la mancanza di allenamento mi fa restare presto senza fiato. Torno sul lettino sfinita, e mi manca tanto la merenda della mamma…

Anna mi guarda da dietro gli occhiali neri stile Vasco: sembra una statua di sale, perché una volta raggiunto lo sdraio non si muove da lì fino all’ora del rientro, schiena dritta, braccia lungo il tronco, cappello di paglia in testa, sorriso stampato e crema sul naso biscottato. Anche per lei sono anni che non veniva al mare, ma ora che c’è, se lo gode, eccome!
Angela è sempre elegante nei suoi completi da spiaggia e i capelli raccolti con arte. Le piace stare seduta davanti al mare in silenzio, cullata dalle onde delle fantasie, ma non si sottrae né alle mille domande di Erika, né alle duemila di Federico Favali, né alle lusinghe del venditore ambulante, con il quale concorda un acquisto alla moda.
Erika ama stare accovacciata sulla battigia, con gli occhialini da sub, ad aspettare ridendo l’onda di acqua, sabbia e sassi che le lascia puntualmente un deposito sostanzioso nel costume.
Patty è la “vamp” della compagnia, con i suoi abitini sexy (si fa per dire), gli occhialoni e il cappello di paglia a larghe tese anni ‘50. Adocchia i bagnini (che potrebbero essere suoi figli) e punta tutto sul bagno, operazione complessa che impegna almeno tre persone fisicamente abili, possibilmente maschi, da cui farsi sostenere nel tragitto dal lettino all’acqua e poi nel galleggiamento con la ruota di scorta (il salvagente). All’uscita, non sempre riesce ad evitare di finire spiaggiata, come le balene.
Sr. Gianna dichiara di sentirsi respinta dall’acqua, quindi il primo contatto che azzarda è quello delle passeggiate sul bagnasciuga, gridando per l’onda fredda e i sassolini sotto i piedi; negli ultimi giorni, anche lei si accovaccia a riva e si lascia raggiungere fino alla pancia.
Alfio ha un suo posto d’osservazione, accanto al bagnino-capo, al riparo dal sole diretto. Da lì ci guarda e ride, anche lui con il suo paio di occhiali da sole che gli donano un fascino misterioso. Anche il suo bagno richiede una certa abilità per trasferirlo sul lettino pensato per agevolare la discesa in acqua e poi per farlo galleggiare, con le dovute attenzioni. Stefano Curini, Fede e Francesco Marconi sono stati un team perfettamente all’altezza (sempre monitorati a distanza dal “capo”). È un’esperienza unica, fonte di piacere per Alfio e di commozione per chi lo aiuta.

Mare è sabbia e mosaico di sassolini multicolori in continuo movimento, cielo di nubi scomposto e ricomposto dal vento, profumo di iodio, pesce, pineta e crema, giochi di schiuma schizzata sugli scogli, gabbiani in planata e sulla linea blu dell’orizzonte piccole vele bianche e boe rosse che fanno capolino. Mentre lo contemplo, non riesco a non pensare ai tanti migranti che ne affrontano i pericoli per realizzare il sogno di una vita migliore e vi trovano la morte. Capisco perché per il popolo d’Israele (migrante anch’esso) il mare rappresentava la forza del male. Per molti altri, invece, è fonte di vita, come per i pescherecci al largo o i pescatori solitari che vedo sulla riva la mattina presto.

Mare è anche rottura degli schemi ordinari: la comunità è dimezzata, i volontari sono con noi h24, le suore sono vestite (e svestite) come tutti gli altri. Quest’ultimo non è un dettaglio: sbircio la mia immagine riflessa nelle vetrine e quasi non mi riconosco. Decidere come vestirmi, in base al clima previsto e alla situazione (spiaggia o casa) mi ha richiesto un attimo di concentrazione sul tema, qualche disagio iniziale, ma poi mi sono molto divertita a cogliere lo stupore negli occhi di chi mi ha sempre visto in marrone e soprattutto a gustare la libertà dal “ruolo” che - volenti o nolenti - l’abito religioso conferisce. Giro per strada e chi m’incrocia non mi guarda più incuriosito, ma nemmeno tende a salutarmi come prima, né si vergogna di dire parolacce in mia presenza. Un guadagno o una perdita?

Ringrazio Dio per questi giorni belli, per il clima fraterno e sereno, l’aiuto reciproco, le risate e le chiacchiere con “questi ragassi che hanno fatto una cosa molto bella a venire con noi ad aiutare anche noi ragassine” (Anna, 82 anni).
Ora che siamo tornati a casa, ci aspetta la sfida della vita comunitaria quotidiana… facciamo nostri i propositi di una festa con tante bandiere rosse che ha animato il parco da cui passavamo ogni giorno: RESISTERE – ORGANIZZARSI – PASSARE ALL’ATTACCO!
Vi aspettiamo per combattere insieme contro la dittatura dell’individualismo… non lasciateci soli nella lotta! Grazie ancora a chi ha scelto di starci, anche solo per un giorno.

Suor Anto, Cagnola 10 agosto 2021

3 COMMENTS

  1. Meraviglioso leggere e poi immaginare e fare un lungo viaggio lontano dalla nostra infanzia è bello leggere queste grandezze !! Quanti ricordi in ognuno di noi …..
    E quanta emozione hai trasmesso a tutti noi racontando li anche a noi .
    Grazie
    Irene Leccese

    IreneLeccese

    • Firma - IreneLeccese