Home Cronaca Marola, i Neanderthal cacciavano in Appennino oltre 50mila anni fa

Marola, i Neanderthal cacciavano in Appennino oltre 50mila anni fa

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Il luogo del ritrovamento dell'utensile

Chi fu il primo abitante di Marola, nota località del medio Appennino reggiano? Si è sempre pensato che fosse Giovanni da Marola, il frate eremita, guida spirituale di Matilde di Canossa. Ma in realtà le cose non stanno proprio così perché decine di migliaia di anni prima che il frate costruisse in loco un ricovero in cui pregare e meditare, lì c’era l’uomo di Neanderthal. Lo testimonia uno strumento di selce trovato dietro l’abbazia. Per un bizzarro gioco di coincidenze, a meno di 30 metri da dove c’era il muro nord dell’originario ricovero-chiesetta dell’eremita, intorno al quale poi Matilde decise di costruirvi un’abbazia.

Fu insomma l’uomo di Neanderthal, molto prima di Giovanni, il primo “abitante di Marola”. In altri tempi di diffuso campanilismo ciò avrebbe suscitato facili battute “sui burberi del luogo”, ma alla luce delle ultime ricerche su questo nostro cugino della preistoria, averlo avuto come “primo cittadino”, rappresenta un vanto. Tanto che il Comune di Carpineti, di cui Marola è frazione, patrocinerà una mostra dedicata a lui che si terrà nella Biblioteca in data da stabilirsi. A curarla sarà lo scrivente con la consulenza scientifica di Davide Delpiano, ricercatore di archeologia del Paleolitico dell’Università di Ferrara e la collaborazione dei Musei civici di Reggio Emilia, con la conservatrice Giada Pellegrini.

 

Ma veniamo al ritrovamento del prezioso strumento di pietra. Questo avvenne nel 1981, 40 anni fa, ma la notizia era rimasta confinata fra gli addetti ai lavori per essere praticamente dimenticata, con lo strumento finito fra i tanti della vasta collezione archeologica del museo di Reggio. Poi la “riscoperta” negli archivi del Gruppo Archeologico Albinetano di Borzano, rintracciando la foto dell’oggetto che accompagnava una breve descrizione di G. Cervi e P.Magnani. La scoperta indica che il Neanderthal si spingeva, freddo per freddo, anche in montagna, a caccia di cervi megaceri, caprioli, uri e bisonti. Se le sue tracce vengono in genere ritrovate in pianura o sulle prime colline, come nell’area di Borzano di Albinea, è perché tali aree, con poca pendenza, sono state meno soggette nel tempo a erosione dei suoli antichi. Ma in presenza di pianori, possono essere scoperte anche quassù a quota 800 metri, sulla media montagna. L’ambiente, a livello di vegetazione, non doveva essere molto diverso dal bosco del Borello, che oggi troneggia sul versante opposto del moderno abitato di Marola.

 

“Si stava scavando la cisterna del Seminario quando un ricercatore, Giuliano Cervi, venne a controllare il materiale di risulta accumulato” racconta Don Umberto Iotti, ex rettore del Seminario. “Non si sa mai che emerga qualcosa dal Medioevo, avevamo pensato. In realtà la ruspa aveva sollevato uno strato giallastro, argilloso, molto più antico e il ricercatore vi individuò un utensile di selce, con i margini taglienti e tracce d’uso”. Metodo di produzione: Levallois.

Difficile determinare con precisione l’età dell’utensile: almeno 50 mila anni, ma ne potrebbe avere anche 150 mila. Il metodo Levallois (dalla località francese in cui fu per la prima volta individuato) era innovativo per i tempi: invece di accontentarsi di ricavare schegge taglienti da un blocco di selce, il Neanderthal aveva bene in mente in anticipo la forma da ottenere: con una serie di scheggiature arrivava a rendere convesso il blocco con margini taglienti delineati. Poi con una singola percussione, staccava l’oggetto della forma desiderata, bello e pronto. Niente male come primitivo artigiano.

Ma cosa sappiamo oggi sull’uomo di Neanderthal?

Molte cose, tanto che l’immagine del “bruto cavernicolo” è stata completamente ribaltata. Comparve 300 mila anni fa in Europa e durò fino a circa 40 mila anni or sono. Un tempo lunghissimo a dimostrazione che fu una specie (umana) di successo.  E oggi sappiamo, attraverso la mappatura del suo Dna confrontato con il nostro, che dal 2 al 5 per cento del suo corredo genetico è ancora presente in noi europei (e anche fra gli asiatici visto che si spinse fino al Vicino Oriente). Perché quando noi Homo sapiens arrivammo dall’Africa, circa 45mila anni fa, ancora con la pelle nera, qui in Europa il bianco era lui. In diverse località ci furono incroci fra le due specie. In particolare erano le donne di Neanderthal a trasferirsi nelle comunità di Sapiens, poiché gli esami del Dna indicano che i loro geni si trasferivano negli ibridi discendenti per linea materna . Vivendo sparsi in un territorio immenso in piccoli gruppi, per evitare di accoppiarsi fra consanguinei, i Neanderthal si univano volentieri agli estranei di altre tribù, e lo stesso fecero quando arrivarono i primi sapiens, anche se erano alquanto diversi fisicamente.

 

Come erano fatti i Neandertaliani? Erano molto robusti e di bassa statura, brevilinei. Questo per conservare meglio il calore nell’ambiente freddo. Noi Sapiens, al contrario, eravamo alti e longilinei, gli arti lunghi in Africa aiutavano a meglio disperdere il calore. E mentre lo sviluppo della scatola cranica in noi Sapiens era avvenuto in verticale, conferendo una fronte alta e una testa rotondeggiante, quello della  scatola cranica dei Neanderthal era avvenuto sul piano orizzontale. Il Neanderthal aveva infatti una testa piatta, allungata, che conteneva comunque un cervello grande come il nostro, se non di più. Considerando come costruiva i suoi strumenti di pietra e che era in grado di cacciare in modo organizzato grandi pachidermi, tutte tecniche che prevedevano insegnamento e comunicazione complessa, molti studiosi sono concordi nel ritenere che avesse anche lui un linguaggio parlato. Convinzione avvalorata dal fatto che seppelliva i morti, produceva monili e collane, copricapi di piume e aveva iniziato a disegnare sulle pareti di roccia e a creare spazi rituali. Per esempio, costruendo “cerchi magici” con centinaia di pezzi di stalattiti. Quindi anche lui pensava e si esprimeva in modo simbolico. Perché allora sparì dalla scena?

 

Nel presentare il primo abitante di Marola e del carpinetano, la mostra, con ricostruzioni e tanti altri reperti, farà il punto sulle ultime scoperte che sembrano portare a una conclusione: non furono le differenze fisiche e genetiche fra noi e loro a contare. Ma quelle culturali. I Neanderthal evoluti nel freddo, vivevano in equilibrio con un ambiente molto duro., glaciale, dove l’importante era restare vivi, e sapevano accontentarsi. Vivevano nella natura senza avere troppe ambizioni di dominarla. I Sapiens, al contrario, si erano evoluti in un ambiente più facile, quello dei tropici, ricco di risorse. Erano quindi portati a fare più figli, a espandersi e a “vedere oltre”. I Neanderthal furono alla fine assimilati da chi prometteva di manipolare la natura. E noi oggi ne sappiamo qualcosa.

 

(Franco Capone)

1 COMMENT

  1. …” facili battutte sui burberi del luogo”.
    Da marolese, noto con stupore che per i pianzani e i forestieri in genere, la naturale riservatezza e il carattere un po’ schivo degli “indigeni” del luogo venga ancora, tutt’oggi, confuso per burbera ritrosia.
    Con simpatia…

    Alberto

    • Firma - Alberto